GLI EMBRIONI SINTETICI: LA TENTAZIONE DI SUPERARE I CONFINI ‘NATURALI’ DELLA RIPRODUZIONE

embryoMAURIZIO BALISTRERI

A giugno 2023 due diversi gruppi di ricerca internazionali hanno reso noto di essere riusciti a produrre embrioni umani sintetici a partire da cellule staminali embrionali e di essere stati capaci di crescerli in laboratorio fino ad uno stadio di sviluppo equivalente a più di 14 giorni di un embrione ‘naturale’. Non è la prima volta che i ricercatori producono embrioni umani assemblando cellule staminali, ma fino ad oggi non erano mai stati capaci di portare avanti il loro sviluppo fino a questo punto. Le ragioni per cui un intervento di questo ha sollevato tanto interesse si può facilmente spiegare. Si tratta di un intervento che potrebbe cambiare profondamente il volto della riproduzione: nella riproduzione sessuale la produzione di un embrione passa sempre per la fecondazione e pertanto servono sempre un gamete maschile (spermatozoo) e uno femminile (ovocita). Per questa ragione le coppie che mancano di spermatozoi o di cellule uovo o che, comunque, hanno gameti ‘difettosi’ (ad esempio molto poco vitali o con anomalie genetiche) sono sterili (: anche le coppie sterili possono avere bambini ma devono ricorrere ai gameti di un donatore). In laboratorio (ovvero in vitro) le cose sono un po’ diverse in quanto abbiamo tecnologie che ci permettono di produrre embrioni umani anche senza passare per la fecondazione dell’ovocita. Ad esempio, nella clonazione gli embrioni sono il risultato del trasferimento del DNA nucleare di una cellula (somatica o embrionale) in un ovocita precedentemente privato del DNA nucleare. I partenoti, invece, sono embrioni prodotti attraverso la stimolazione dell’ovocita (cioè per partenogenesi): anche in questo caso non c’è bisogno della fecondazione e gli spermatozoi non servono. (Detto per inciso, i partenoti non hanno al momento le potenzialità degli embrioni clonati, in quanto, a differenza degli embrioni umani clonati, non sono ancora in grado di svilupparsi pienamente, ma i problemi che impediscono il loro sviluppo potrebbero un giorno anche essere superati.) Infine, possiamo produrre embrioni anche dividendo in due o più parti qualsiasi embrione, ma anche in questo caso (per produrre l’embrione di partenza) abbiamo bisogno di almeno un ovocita. Nel caso, invece, degli embrioni sintetici possiamo fare completamente a meno dei ‘gameti’. È sufficiente avere un certo numero di cellule staminali precedentemente coltivate e assemblarle in maniera tale che esse incomincino a comportarsi e svilupparsi come un nuovo organismo. Le cellule staminali possono provenire da un embrione (cioè, cellule staminali embrionali), ma possono anche essere ottenute da cellule del corpo e trasformate in cellule staminali). Gli interventi di cui hanno parlato i giornali hanno usato cellule staminali sviluppate da embrioni, ma in passato embrioni sintetici umani sono stati prodotti anche con cellule staminali pluripotenti indotte, cioè con cellule ottenute a partire da cellule somatiche precedentemente differenziate. La possibilità teorica di produrre un embrione e, in prospettiva, un nuovo essere umano a partire da cellule diverse da uno spermatozoo e da una cellula uovo ha suscitato molto allarmismo. È stato affermato che dovremmo resistere alla tentazione di aprire questo vaso di Pandora e difendere la natura umana da una comunità scientifica motivata solo dalla seta della conoscenza. E, soprattutto, che dovremmo fermarci davanti ai limiti naturali della riproduzione, perché quando si va oltre “si finisce di necessità a creare nuove forme di vita para-umana del tutto ignote”. Una narrazione di questo tipo, però, ricorre ad una retorica ormai datata, oltre che poco convincente. Se infatti allarghiamo lo sguardo possiamo facilmente osservare che gli embrioni sintetici rappresentano soltanto l’ultima (ma non evidentemente definitiva) tappa di un processo di riprogettazione e trasformazione della riproduzione umana che ci vede impegnati da più di quarant’anni. L’esito di questo processo non lo conosciamo ancora, ma qualcuno incomincia già ad affermare che la riproduzione sessuale ha ormai fatto il suo tempo e che probabilmente nel prossimo futuro la maggior parte degli esseri umani si riprodurrà soltanto attraverso le nuove tecnologie. Del resto, nella riproduzione sessuale il concepimento dell’embrione avviene causalmente; con le nuove tecnologie riproduttive, invece, possiamo avere un maggior controllo sul concepimento. Non soltanto possiamo selezionare i gameti (spermatozoi e cellule uovo) che impiegheremo, ma possiamo anche valutare la qualità degli embrioni prodotti e scegliere quale impiantare. Inoltre, con lo sviluppo delle tecnologie di genome editing potremmo intervenire sul DNA dell’embrione non soltanto per correggere eventuali anomalie ma anche per migliorare le sue caratteristiche. In linea di principio interventi di questo tipo potrebbero essere praticati anche in vivo (cioè, sugli embrioni che sono stati prodotti sessualmente e che, poi, crescono nel corpo della donna) ma le cose potrebbero essere molto più semplici se l’embrione è prodotto in vitro (laboratorio). Innanzi tutto, l’intervento potrebbe essere praticato sull’embrione in una prima fase di sviluppo (al momento, cioè, della fecondazione o, comunque, quando ha ancora pochissime cellule): inoltre, potrebbe essere molto più facile e meno rischioso controllare i risultati dell’intervento. Infine, lo sviluppo dell’utero artificiale (o ectogenesi) potrebbe aprire ulteriori scenari, in quanto l’embrione umano potrebbe crescere anche fuori di un corpo, all’interno di una macchina. Di fronte a questi scenari che delineano il quadro del futuro della riproduzione (umana), qualsiasi tentativo di trarre conclusioni morali su questo processo appellandosi ad un presunto limite ‘naturale’ della nascita (che avremmo il dovere di rispettare) sembra condannato all’insuccesso. Quale sarebbe, infatti, questo limite naturale e come faremmo a stabilirlo oggettivamente? Inoltre, l’idea che esista (o possa esistere) un limite naturale oggettivo (e sempre uguale) sembra implicitamente contraddetta dalle stesse persone che si appellano all’etica del limite. In passato, infatti, di fronte allo sviluppo e all’affermarsi delle tecniche di riproduzione assistita, il presunto limite naturale della riproduzione è stato identificato con il concepimento sessuale. In seguito, al profilarsi di tecnologie riproduttive come, ad esempio, la clonazione (riproduttiva), il limitato naturale è stato fissato nella fecondazione delle cellule uovo con uno spermatozoo. Oggi, nelle critiche che vengono rivolte alla produzione degli embrioni (umani) sintetici, il limite moralmente invalicabile appare lo sviluppo dell’organismo umano da un’unica cellula. Per cui, si può anche accettare che l’embrione sia prodotto attraverso le tecniche di riproduzione assistita, e non sembra nemmeno rilevante con quale tecnica quest’embrione viene prodotto (cioè, da un punto di vista morale non cambia se è prodotto per fecondazione o per clonazione). Quello che conta (‘moralmente’) è il processo che caratterizza lo sviluppo dell’embrione: è naturale (e di conseguenza giusto) che l’embrione si sviluppi da un’unica cellula (umana); mentre la produzione di un embrione da più cellule (staminali embrionali o pluripotenti indotte) è sempre moralmente criticabile, in quanto rappresenterebbe il superamento di un limite naturale. Tuttavia, questa inclinazione a spostare continuamente il presunto limite naturale è sospetta. L’impressione è che il ‘limite’ naturale sia semplicemente un’invenzione dell’immaginazione che serve a tracciare un confine tra noi e scenari che si presentano per la prima volta. Attraverso il limite, cioè, noi fissiamo una distanza sufficiente tra noi e le cose che sembrano minacciarci e in questo modo possiamo immaginare che, se saremo responsabili, non ci accadrà nulla. La verità è che le cose nuove all’inizio ci spaventano e che abbiamo bisogno di tempo per abituarci. Una volta, però, che le cose diventano più familiari, la paura, che prima ci assaliva, piano piano si spegne, permettendoci di confrontarsi in maniera più equilibrata con il mondo che ci circonda. A quel punto quello che prima appariva artificiale o innaturale (e di conseguenza incompatibile con la nostra umanità) diventare naturale ed anche un segno distintivo della nostra umanità. Questo è successo in passato con tante tecnologie che all’inizio sono state condannate senza appello, domani la stessa cosa potrebbe accadere con gli embrioni cosiddetti sintetici e con la possibilità di portare al mondo un figlio a partire da cellule staminali pluripotenti assemblate insieme.

Non dobbiamo però correre troppo: al momento non soltanto sarebbe illegale trasferire embrioni sintetici nel corpo di una donna, ma la possibilità che, una volta traferiti in utero, essi si sviluppino come normali embrioni fino alla nascita di un nuovo individuo è in pratica vicino allo zero. Alcuni mesi fa i ricercatori cinesi hanno provato a vedere che cosa succede impiantando embrioni sintetici di scimmia in femmine adulte e in alcuni casi hanno anche osservato i segni di una gravidanza, ma lo sviluppo di questi embrioni è andato avanti al massimo per qualche giorno, non oltre. Al momento pertanto la preoccupazione principale che gli embrioni sintetici sembrano suscitare non riguarda tanto la possibilità che qualcuno possa usarli per portare al mondo nuovi individui: il timore è che attraverso l’uso di questi embrioni i ricercatori possano riuscire ad aggirare facilmente il limite dei quattordici giorni che oggi vale per le ricerche sugli embrioni umani. Secondo alcuni, del resto, la regola che proibisce lo sviluppo degli embrioni umani fuori del corpo umano (cioè, in laboratorio) oltre il quattordicesimo giorno non si applica agli embrioni sintetici, in quanto gli embrioni sintetici sarebbero qualcosa di diverso rispetto agli embrioni ‘naturali’. Non tutti, ovviamente, sono d’accordo con questa posizione, ma, come ha affermato Françoise Baylis si può facilmente immaginare che “la verità della questione dipenderà dalla capacità degli embrioni sintetici di produrre un bambino vivo, ma l’unico modo per saperlo è fare l’esperimento”. Cioè, portare avanti una ricerca sugli embrioni sintetici oltre per l’appunto il 14° giorno. Comunque, è un fatto che la produzione di embrioni sintetici ci spinge ad interrogarci di nuovo sull’accettabilità morale delle norme che regolano attualmente la ricerca sugli embrioni umani. Oggi i ricercatori hanno la capacità di portare avanti lo sviluppo di un embrione umano in laboratorio (cioè, al di fuori del corpo umano) oltre il quattordicesimo giorno, forse per 3 o 4 settimane. Inoltre, dalle ricerche sugli embrioni umani noi possiamo ottenere conoscenze fondamentali non soltanto relative allo sviluppo embrionale, ma anche per la cura di importanti patologie (ad esempio, gli embrioni sintetici potrebbero essere un modello prezioso per lo studio e la conoscenza dei disordini genetici e per la comprensione delle cause principali di aborto spontaneo). Per questa ragione è arrivato il momento di aprire un dibattito pubblico per confrontarsi con i nuovi scenari che caratterizzano la ricerca sugli embrioni umani e ragionare criticamente su quali sono le politiche più appropriate per affrontare il presente e preparare il futuro. Per un paese come l’Italia che vieta da sempre ai ricercatori qualsiasi uso degli embrioni umani (salvo poi permettere loro di importare le cellule staminali embrionali prodotte all’estero) questa non è un’opzione, ma l’unica strada percorribile per promuovere la ricerca scientifica e lo sviluppo.

Attraverso la ricerca sugli embrioni, poi, un giorno potremmo anche arrivare a capire come produrre embrioni umani sintetici che hanno la capacità, una volta impiantati, di svilupparsi in nuovi individui. Per quale motivo, però, le persone che desiderano un figlio dovrebbero rinunciare alla riproduzione per via sessuale (o comunque attraverso fecondazione) e ricorrere agli embrioni sintetici? Scegliere di avere un figlio assemblando un embrione a partire da cellule staminali (embrionali o pluripotenti indotte) precedentemente coltivate in laboratorio sembra un esperimento che potrebbe venire in mente soltanto al dottor Frankenstein: una mera curiosità scientifica. Siamo sicuri però non possiamo immaginare usi moralmente accettabili di questi embrioni? Ad esempio, gli embrioni (umani) sintetici potrebbero permettere alle persone che ricorrono alla fecondazione assistita di avere a disposizione un numero illimitato di embrioni per l’intervento (è sufficiente che producano un embrione, da questo poi si possono isolare le cellule staminali embrionali che possono essere coltivate all’infinito ed essere usate per assemblare nuovi embrioni). Per le persone, poi, che possono trasmettere al nascituro gravi anomalie genetiche potrebbe essere molto più facile avere un altro figlio sano, in quanto potrebbero usare come ‘gameti’ (cioè cellule di partenza per il concepimento) le cellule somatiche o staminali del primo bambino. Inoltre, la possibilità di produrre embrioni da cellule staminali potrebbe rendere più facile (o comunque più sicuro) praticare interventi di modificazione genetica sugli embrioni usati nella riproduzione. Nel caso, infatti, che la correzione del patrimonio genetico delle cellule staminali non andasse in porto, si potrebbe ripetere l’intervento su altre cellule staminali, fino a quando non ha successo. Infine, ci potrebbe essere una ragione anche più importante per produrre embrioni sintetici. I figli degli uomini (Children Of Men) è un film tratto dall’omonimo romanzo di P.D. James e racconta di un’umanità ormai molto prossima all’estinzione in quanto non è più in grado di riprodursi. Non è spiegato il motivo per cui la specie umana, da un giorno all’altro, è diventata sterile, ma, anche se le cause sono misteriose, il problema riguarda sicuramente gli spermatozoi e gli ovociti. Il rischio che una condizione di sterilità possa colpire improvvisamente la specie umana appare, al momento, molto remoto, ma non possiamo escluderlo a priori e perciò dovremmo considerarlo. Si tratta di un rischio esistenziale, in quanto lo scenario che si potrebbe produrre annienterebbe la vita intelligente originatasi sulla Terra o ne ridurrebbe per sempre il suo potenziale. La nostra estinzione potrebbe derivare da politiche irresponsabili e poco sensibili agli interessi e al benessere delle generazioni future o essere causata da eventi naturali improvvisi e incontrollabili, come ad esempio la caduta di un asteroide o la diffusione di una malattia che rende sterili. Alla fine, comunque, il risultato sarebbe lo stesso, la scomparsa irreversibile della specie umana. Di fronte all’entità della posta in gioco abbiamo il dovere morale (sia come singoli individui che come comunità) di impegnarci a trovare soluzioni utili a controllare e ridurre questo rischio. Una di queste potrebbe essere per l’appunto la produzione di embrioni umani sintetici, che non richiedono la fecondazione ovvero l’uso di spermatozoi e cellule uovo e che, pertanto, in caso di necessità, potrebbe rappresentare una vita alternativa per garantire la sopravvivenza della nostra specie. Le difficoltà che caratterizzano qualsiasi politica di gestione del rischio esistenziale non vanno ignorati: ad esempio – ricorda Nick Bostrom – la natura internazionale di molte delle contromisure necessarie, la partecipazione condivisa di tutte le generazioni, il carattere necessariamente molto speculativo, oltre che multidisciplinare del problema; i problemi metodologici nella valutazione della probabilità dei rischi esistenziali; e lo scarso sviluppo dell’intero settore. Tuttavia, abbiamo il dovere di ridurre il rischio esistenziale e di prevenire l’estinzione della specie umana perché abbiamo una responsabilità nei confronti delle persone che potrebbero nascere. Inoltre, la nostra responsabilità non riguarda soltanto il futuro, ma anche il passato, in quanto abbiamo il dovere di preservare quello che le generazioni passate sono state capaci di raggiungere. Non possiamo ripagare le generazioni future di quello che esse hanno fatto per noi, ma possiamo ripagare il nostro debito di gratitudine trasmettendo la loro eredità alle generazioni future.

Human embryos (four-cell stage)” by ZEISS Microscopy is licensed under CC BY-SA 2.0.

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