IL TRAMONTO DELLA TENTAZIONE
ROBERTO FESTA
Le nostre azioni sono motivate da una straordinaria varietà di desideri, interessi e principi. Come viene riconosciuto nella cultura popolare – basti pensare a proverbi come “Non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca” e “Meglio un uovo oggi che una gallina domani” –, talvolta i nostri desideri confliggono. Possiamo affrontare queste situazioni in modo razionale, determinando un punto d’equilibrio tra desideri incompatibili. Per esempio, mi rendo conto che non posso comperare una bellissima automobile e spendere molto poco per il suo acquisto; quindi, ne cercherò una sufficientemente bella e non troppo costosa. D’altra parte, quando provo un desiderio incompatibile con il mio interesse di lungo periodo, può accadere che la tentazione prevalga sulla razionalità. Per esempio, muoio dalla voglia di addentare un doppio hamburger. Sono consapevole del fatto che, soddisfacendo spesso questo desiderio, ingrasserò orribilmente e che, di conseguenza, l’opzione migliore è quella di rinunciare al doppio hamburger. Tuttavia, non sempre questa consapevolezza mi impedisce di cedere alla tentazione. Nel caso qui descritto, cedere qualche volta alla tentazione mi procurerà pochi danni. I danni sarebbero molto più gravi se cedessi frequentemente al desiderio di assumere una dose di eroina.
I due casi appena descritti mettono in luce un aspetto saliente della tentazione: chi vi soccombe sceglie, fra due opzioni, quella che ritiene peggiore. In entrambi i casi, la tentazione attrae l’agente verso un’azione imprudente, che confligge con i suoi interessi di lungo periodo. In altri casi, cedendo alla tentazione di soddisfare un forte desiderio, l’agente viola i suoi principi religiosi, politici o morali.
Data la varietà delle tentazioni e delle loro conseguenze, non stupisce che la riflessione sull’argomento sia antica quanto la storia della civiltà. Nella tradizione religiosa giudaico-cristiana, la tentazione viene identificata con la seduzione del peccato, cioè con lo stimolo a compiere cattive azioni. I racconti sulla tentazione sono disseminati in tutta la Bibbia, a partire dalla tentazione cui cedettero Adamo ed Eva, raccontata nel primo libro del Vecchio Testamento, per finire con le tentazioni superate da Gesù, di cui si racconta nei Vangeli. La teologia cristiana si è sempre occupata della natura e dell’origine della tentazione. Gli esiti delle riflessioni sull’argomento sono condensati nel Catechismo di San Pio X, pubblicato alla fine dell’Ottocento: “Iddio permette che siamo tentati per provare la nostra fedeltà, per far aumentare le nostre virtù e per accrescere i nostri meriti. […] Non è peccato aver tentazioni, ma è peccato acconsentirvi, o esporsi volontariamente al pericolo di acconsentirvi.”
Fin dagli inizi, i teologi hanno dedicato molta attenzione anche al problema della resistenza alla tentazione. Nella Lettera di Giacomo, la cui paternità è attribuita a Giacomo il Giusto, capo della Chiesa di Gerusalemme dopo la morte di Gesù, leggiamo: “Beato l’uomo che resiste alla tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.” (Giacomo 1: 12-13). Dobbiamo a San Tommaso (Summa Theologiae, Secunda Secundae, q. 141) la prima riflessione sistematica sulla temperanza, cioè sulla virtù che consente di resistere alle tentazioni. Tommaso definisce la temperanza come “la disposizione a trattenere l’appetito dalle cose che più attraggono l’uomo” e a “regolare le passioni che tendono ai beni sensibili”. Nel solco di Tommaso, il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), afferma che la temperanza è “la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati”, aggiungendo che “essa assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà”.
Almeno fino alla metà dell’Ottocento, la filosofia occidentale ha quasi sempre affrontato il problema della tentazione in accordo con il punto di vista cristiano. Per esempio, secondo Ralph Waldo Emerson (Essays, 1841), “ogni male al quale non soccombiamo, è un nostro benefattore. Come l’isolano delle isole di Sandwich crede che la forza ed il coraggio del nemico che egli uccide passino in lui, così noi acquistiamo la forza di quella tentazione, alla quale resistiamo.” A partire dall’epoca classica, i filosofi hanno condiviso per circa due millenni l’idea che il cedimento e la resistenza alla tentazione fossero l’esito di una libera scelta dell’individuo, cioè del suo libero arbitrio. Successivamente, a partire dall’Illuminismo, la fiducia nel libero arbitrio fu progressivamente sostituita da una concezione deterministica del comportamento umano. Poiché le idee di libero arbitrio e tentazione sono intimamente connesse, il tramonto del libero arbitrio fu accompagnato dal tramonto della tentazione. Lo psichiatra statunitense Thomas Szasz si occupa dell’espulsione del libero arbitrio e della tentazione dalla scena intellettuale in Our right to drugs (1992), ove così si esprime: “Nelle discussioni politiche contemporanee, il problema del libero arbitrio viene discusso solo per asserire la sua assenza e, quindi, l’inadeguatezza delle relazioni di mercato alla vita economica in generale, ma specie dove sono in gioco i beni e servizi emotivamente carichi, a partire dalle droghe. Invece di riconoscere che le persone sono dotate di libero arbitrio, cioè che possono scegliere liberamente le loro azioni e, in particolare, possono decidere se resistere o cedere alle tentazioni, i politici e l’opinione pubblica hanno progressivamente abbracciato la convinzione che la maggior parte delle persone non sono in grado di fare le scelte ‘giuste’ perché sono troppo giovani, troppo vecchie, malate di mente o incapaci di intendere per qualche altra ragione.”
Il moderno punto di vista sulla tentazione viene formulato nella raccomandazione di Oscar Wilde: “Il solo modo di liberarsi di una tentazione consiste nel cedervi.” Ne Il mito della droga (1974), Szasz osserva che “Wilde coglie una ‘verità’ importantissima, sempre che si sia convinti che il ‘libero arbitrio’ non esista e che l’autocontrollo sia, nel migliore dei casi, un’illusione necessaria”. L’aforisma di Wilde, citato con approvazione da milioni di persone, compare ne Il ritratto di Dorian Gray, pubblicato nel 1890. Ciò significa che, alla fine dell’Ottocento, l’idea che il libero arbitrio e la tentazione non esistano era già penetrata nella cultura di massa. Mezzo secolo dopo, questa idea si era ormai pienamente affermata, al punto che René Gillouin, ne L’Homme moderne bourreau de lui-même (1951), poté affermare che “l’umanità non sa più cosa sia la tentazione”.
Szasz osserva che la scomparsa della tentazione dal nostro orizzonte intellettuale è stata talmente radicale che “siamo attualmente privi di un vocabolario adatto per trattare questo tema. […] Oggi non riconosciamo le tentazioni perché non abbiamo parole con cui designarle; e non abbiamo parole per designarle perché non vogliamo avere a che fare con esse in quanto tentazioni.” In particolare, Szasz nota che la maggior parte degli specialisti che si occupano della dipendenza dall’eroina, o da altre droghe, evitano accuratamente di occuparsi del problema della tentazione: “Una delle conseguenze più serie e più tragiche del punto di vista secolarizzato-tecnico contemporaneo a proposito del consumo […] della droga sta nella cecità che tale punto di vista provoca nei confronti del tema più importante di questo dramma – e cioè la lotta contro la tentazione e il cedimento alla tentazione. […] Benché sia evidente che l’abuso di droga e l’assuefazione a essa ci coinvolgano in situazioni umane nelle quali nessuno è costretto da forze esterne a prendere una droga – il che fa chiaramente del consumo di droghe illegali, almeno in parte, una questione di tentazione e di resa alla tentazione – nessun moderno approccio ‘scientifico’ a questo problema prende in benché minima considerazione questi concetti.”
Secondo Szasz, con il passaggio da una prospettiva morale sull’uomo a una prospettiva “scientifica”, gli individui non vengono più visti come agenti moralmente responsabili, bensì come organismi, sottoposti a svariate “forze” biologiche e sociali: “Nel primo caso, quello della prospettiva morale, l’uomo è un agente responsabile, soggetto alle tentazioni alle quali può resistere o soccombere. Nel secondo caso, quello della prospettiva “scientifica”, l’uomo è un organismo non responsabile che non agisce, ma esprime le conseguenze di impulsi (o pulsioni, istinti, ecc.).” La fantasia degli psichiatri impegnati nella “guerra alla droga” – dichiarata all’inizio degli anni Settanta dal governo statunitense, presto seguito da molti altri –, si è scatenata con esiti sconcertanti, vigorosamente denunciati da Szasz: “Gli psichiatri impegnati nella guerra alla droga stanno ridando vita alla mitologia della follia masturbatoria: come si credeva che un solo atto di masturbazione conducesse, attraverso una tentazione irresistibile a ripeterlo, a una masturbazione incontrollata e incontrollabile e di qui alla follia, cosi oggi si crede che una sola boccata di fumo da una sigaretta di marijuana conduca, attraverso una tentazione irresistibile a ripeterla, a un bisogno incontrollabile e incontrollato di ogni ‘droga pericolosa’ della farmacopea, e di qui a un’‘assuefazione incurabile’.”
L’idea di una “tentazione irresistibile” implica una totale perdita di fiducia nella possibilità dell’autocontrollo, da cui seguirebbe la necessità di ricorrere a un controllo esterno attuato, quando occorre, con metodi coercitivi. “Medici, psichiatri, giornali e televisioni continuano a servire in tutte le salse questo messaggio anti-autocontrollo. Il nocciolo del messaggio – afferma Szasz (ivi) – può essere facilmente riassunto: ogni accenno o riferimento all’autodisciplina va degradato e rifiutato come “moralistico” e “non scientifico”, mentre le idee più assurde a proposito dell’assoluta incapacità dell’uomo di controllare se stesso e i metodi più disgustosi per controllarlo mediante forze esterne devono essere esaltati come ‘scientifici’ e ‘terapeutici’.” Szasz (ivi), osserva che l’approccio dominante al problema della droga si fonda su una concezione deterministica dell’uomo che non lascia alcuno spazio all’impegno individuale per resistere alla tentazione: “[Secondo] il punto di vista deterministico, ‘scientifico’, sull’uomo, […] non esiste il libero arbitrio e, naturalmente, non esistono né il bene né il male. Quindi non ci aspettiamo che un alcoolista o un tossicomane si ‘impegnino a fondo’ e resistano alla potente passione per l’alcool o per l’eroina esercitando la loro forza di volontà.” Senza celare le sue convinzioni atee, Szasz ritiene che le riflessioni sul libero arbitrio, la tentazione e la temperanza condotte nell’ambito della tradizione cristiana abbiano molto da insegnare a chi si prende cura delle persone con dipendenza.
Per quanto minoritaria, la concezione szasziana della dipendenza non è isolata. Si pensi, per esempio, alle ricerche dello psichiatra Jeffrey A. Schaler che, fin dal titolo del suo volume Addiction Is a Choice (2000), proclama che la dipendenza è una libera scelta. Nel corrente gergo psichiatrico, il termine “dipendenza” (addiction) viene usato con riferimento, come scrive Schaler, a “qualsiasi attività in cui gli individui si impegnano, deliberatamente e consapevolmente, e che sono fisicamente incapaci di smettere”. Con riferimento a questa accezione del termine, Schaler sostiene che la dipendenza è un mito. A suo giudizio, infatti, “l’eroinomane può smettere di iniettarsi eroina, l’alcolista può impedirsi di ingoiare whisky e così via. Le persone sono responsabili del loro comportamento deliberato e consapevole.” Secondo Schaler il “modello della malattia”, ampiamente adottato nel trattamento delle dipendenze, è falso e inefficace. In opposizione a questo modello, egli difende un “modello del libero arbitrio”, fondato sull’idea che le scelte individuali hanno un ruolo fondamentale sia nel contrarre una dipendenza sia nell’uscirne. Le persone diventano dipendenti quando la loro vita va male e possono trovare la loro via d’uscita dalle dipendenze, senza un aiuto esterno, quando riescono a trovare altri modi di affrontare la vita. La dipendenza non è solo una libera scelta, ma è anche una “scelta etica”: “Una persona inizia a bere, modera il consumo di alcol o se ne astiene, perché lo desidera. Le persone fanno la stessa cosa con l’eroina, la cocaina e il tabacco. Tali scelte riflettono i valori della persona. La persona, un agente morale, sceglie di usare droghe o si astiene dall’usare droghe perché trova un significato nel farlo.”. La tesi di Schaler che la dipendenza è un mito viene condivisa dallo psicologo John B. Davies che, in The Myth of Addiction (1997), sostiene che il comportamento delle persone con dipendenza viene scelto liberamente, come ogni comportamento normale. “Coloro che fanno uso di droghe – osserva Davies (ivi) – possono spiegare di aver perso la forza di volontà e la capacità di prendere decisioni personali, perché questa è la spiegazione che ci si aspetta da loro, ma in realtà la maggior parte fa uso di droghe perché lo desidera e perché non vede alcuna buona ragione per rinunciarvi.”
Vi è forse motivo di sperare che il tramonto della tentazione e del libero arbitrio non sia irreversibile. Alcuni segnali in questa direzione vengono dalle ricerche svolte in ambito psichiatrico nell’ultimo ventennio, le quali mostrano una crescente attenzione per il ruolo della responsabilità individuale e dell’autocontrollo nel trattamento delle dipendenze. Si vedano, per esempio, i volumi Addiction and Responsibility (2011), a cura di Jeffrey Poland e George Graham, e Addiction and Self-Control (2013), a cura di Neil Levy. Inoltre, nell’ambito degli studi filosofici si è recentemente registrato un rinnovato interesse per la possibilità che il libero arbitrio esista e sia indispensabile per spiegare il comportamento umano. Uno dei più convincenti sostenitori di questa possibilità è Christian List, autore de Il libero arbitrio (2019). Secondo List, la negazione del libero arbitrio che domina la scena intellettuale contemporanea è il sottoprodotto di una visione riduzionista del mondo, secondo la quale le persone non sono altro che complesse macchine biofisiche. Convinto che il riduzionismo sia sbagliato e non vada identificato con la scienza, List avanza una serie di forti argomenti a sostegno della tesi che il libero arbitrio esiste ed è perfettamente compatibile con una visione scientifica del mondo.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Endoxa luglio 2023 Roberto Festa Tentazioni
