PLATONE RELOADED: IL DIALOGO FILOSOFICO E NOI
LUCREZIAERCOLI
“Mentre in silenzio meditavo tra me e me queste cose e marcavo con la scrittura il mio tristissimo lamento, mi parve che sopra il mio capo stesse una donna di aspetto assai venerando”. Così scrive Anicio Manlio Severino Boezio, mentre è recluso in un carcere di Pavia, accusato ingiustamente da re Teodorico. In attesa della sentenza definitiva – verrà condannato a morte due anni dopo nel 524 d.C. – Boezio scrive De consolatione philosophiae, la sua opera più conosciuta che diventerà un vero e proprio best seller dell’epoca e ha influenzato profondamente l’opera dantesca.
Nelle ore più disperate, nella solitudine della sua cella, a Boezio appare, sotto sembianze femminili, niente meno che Filosofia, che si siede accanto a lui, e gli parla, lo scuote, lo consola. La consolazione della filosofia, anzi di Filosofia di Severino Boezio è innanzitutto un dialogo. Non è un caso che – in attesa della sentenza di morte – l’unico rimedio alle lacrime, l’unico argine contro la disperazione sia un dialogo con Filosofia. Uno scambio – tra prosa e poesia – che alterna questioni teologiche, politiche, etiche, metafisiche, in cui i drammi personali si intrecciano con le sorti dell’universo.
Il dialogo di Boezio si nterrompe bruscamente, Filosofia non ha il tempo di uscire di scena: immaginiamo che la scrittura delle ultime pagine abbia accompagnato gli ultimi istanti di vita di Boezio, prima dell’esecuzione capitale. Boezio parla con Filosofia prima di andare incontro a una morte ingiusta, così come Socrate, nel dialogo Fedone, parla ai suoi allievi prima di essere messo a morte dalla città di Atene.
Un esempio – tra i tanti che attraversano la storia della filosofia – per ribadire che la forma dialogica non è una forma espressiva tra le altre, non è un vezzo stilistico trascurabile e marginale. Nel dialogo sono in ballo questioni di vita o di morte.
Platone, Cicerone, Agostino, Hume, Diderot, Feyerabend, Murdoch… Dalla maschera teatrale alle conversazioni degli illuministi, il dialogo è un mezzo indispensabile per ‘dare corpo’ alle domande, per farle risuonare ‘a più voci’.
Il dialogo, infatti, implica uno scambio intersoggettivo: c’è un interlocutore che reclama ascolto e rispetto, che pone obiezioni, che mette in discussione le tesi, che deve essere convinto e coinvolto.
Diversamente dal trattato, nel dialogo sono importanti i dettagli non linguistici che riguardano la gestualità, l’espressione e la postura dei dialoganti. La parola torna ad essere incarnata, c’è un corpo che ascolta e che reagisce alle parole dell’altro.
La voce, infatti, non è semplice soffio incorporeo, ma sgorga dalla gola, nasce dal corpo, è sempre incarnata. La voce nasce ‘dentro’ ed esce ‘fuori’ dal corpo, entra in relazione con altre voci e con altri corpi.
E la voce, diversamente della parola, non è neutra – porta con sé le vibrazioni delle corde vocali e i desideri di quella specifica individualità, evoca un piacere carnale che ha a che fare con il godimento del corpo. “Quando ascolto Socrate – confessa Alcibiade nel Simposio – il cuore mi balza in petto e mi sgorgano le lacrime; la mia anima va in tumulto tanto che non mi sembra più il caso di vivere”.
E anche se la conversazione si spinge verso i massimi sistemi, il dialogo filosofico non può fare a meno di richiamare la concretezza del reale. L’incontro avviene in uno spazio, c’è sempre un contesto che porta con sé elementi concreti che fanno riferimento alla realtà sociale in cui è avvenuto il dialogo, reale o immaginario che sia. Un’ottima occasione per ricordarci che non esiste un solo luogo deputato alla discussione filosofica: può avvenire in case private come nella villa di Agatone del Simposio platonico o nei giardini del Palais Royal come nel Nipote di Rameau di Diderot.
Una messa in scena vera e propria che ha bisogno di una scenografia che funga da ambientazione, più o meno realistica, che spesso dà sostanza all’incontro. Nel dialogo filosofico, infatti, si salda il rapporto stretto che c’è tra filosofia e teatro; non a caso molti dialoghi concepiti per iscritto sono poi stati messi in scena di fronte ad un pubblico come dei veri e propri copioni teatrali.
Oltre a un’ambientazione ben delineata, il dialogo filosofico ha bisogno di personaggi complessi e credibili, con delle caratteristiche riconoscibili. Lo ha dimostrato il filosofo Tommaso Ariemma nel suo Platone showrunner, regole filosofiche per scrivere la serialità, analizzando il Socrate platonico che compare in tutti i suoi dialoghi come primo personaggio seriale della storia.
Il dialogo è una palestra per allenare la consistenza delle argomentazioni e delle obiezioni. Il lettore e/o spettatore non può rimanere passivo: la forma dialogica lo chiama in causa, deve schierarsi da una parte o dall’altra, deve barcamenarsi tra argomentazioni rigorose e seduzione retorica.
Ricostruendo l’importanza del dialogo nella storia del pensiero occidentale il filosofo Vittorio Hösle – nel suo corposo Dialogo filosofico. Una poetica e un’ermeneutica – denuncia la crisi contemporanea del genere dialogico, imputandola alla crisi della cultura della discussione causata dai nuovi media.
Siamo coinvolti in continue conversazioni digitali – in uno scambio ininterrotto tra messaggi scritti, audio e video – eppure sembra scomparso il dialogo profondo. È davvero così? Qual è il destino del dialogo nel cyberspazio?
Siamo chiamati a ripensare le potenzialità comunicative della nuova tecnologia, a riconfigurare i confini e le possibilità del dialogo in tempi in cui è sempre più complicato distinguere tra vita reale e vita digitale, in cui ambienti fisici e ambienti virtuali convivono. La nostra esperienza è onlife – contemporaneamente online e offline – e il dialogo filosofico sopravviverà a questo passaggio di paradigma solo se saprà aprirsi a nuovi linguaggi e a nuovi interlocutori, non necessariamente presenti fisicamente.
Solo se saremo capaci di interpretare le nuove configurazioni del dialogo, la voce di Filosofia potrà raggiungerci e consolarci.
