VERDE PLATONE: IL DIALOGO COME FORMA ECOLOGICA

colore-verde-bTOMMASO ARIEMMA

Non c’è dimensione o pratica, più di quella del dialogo, capace rappresentare al tempo stesso la più grande espressione della coesistenza e la più grande espressione della perdita.

Affinché via sia un dialogo, infatti, vi deve essere un che di irriducibile e di resistente: un “più d’uno”. Il dialogo impone a chi vi prende parte delle limitazioni strutturali e, in generale, una perdita “ontologica”: il non essere tutto. Tutte le parti di un dialogo non sono tutto. Proprio per questo motivo, nello scambio di un dialogo accade un mondo.

In modo più intenso ciò accade non tanto nel dialogo in tempo reale, quanto nella sua simulazione, capace di accentuare le due dimensioni del dialogo appena descritte, quelle della coesistenza e della perdita. L’Occidente conosce da più di duemila anni il dialogo come forma letteraria grazie alla più grande simulazione del dialogo di sempre, rappresentata dai dialoghi di Platone.

Nonostante Platone sia stato il filosofo più bersagliato e decostruito della storia della filosofia occidentale, da Aristotele a Derrida, si è sempre individuato la sua filosofia nel contenuto delle sue opere e nelle parole del suo personaggio più celebre, Socrate, piuttosto che nella loro forma. Spesso ciò che sostiene Socrate nei dialoghi viene fatto coincidere con la filosofia di Platone, oppure si è addirittura fatto riferimento a delle dottrine “non scritte” come alla sua vera filosofia. Ben poco si è riflettuto sull’eccezionalità del dialogo come forma letteraria, come l’invenzione stessa di Platone. C’è, pertanto, una filosofia “non scritta”, paradossalmente, all’interno della scrittura platonica: non come una scrittura generica, ma come una messa in pratica di principi filosofici impliciti che hanno reso possibili tali dialoghi.  Certo, Platone non inventa il dialogo socratico. Alla morte di Socrate, non sono pochi i dialoghi che cominciano a circolare. Ma è Platone a realizzare il dialogo per eccellenza, al punto che, per tale merito, Diogene Laerzio lo definisce un’invenzione platonica. Platone lo fa così bene da far sì che per la tradizione occidentale le parole “Socrate” e “dialogo” rimandino inequivocabilmente alla sua filosofia.

Platone inventa, però, letteralmente, anche la forma seriale: non un trattato definitivo, ma un susseguirsi di episodi tematici con un unico protagonista (quasi) sempre presente: Socrate. Lo scambio, il continuo botta e risposta, mette in scena un vero e proprio combattimento di pensieri che potrebbe andare all’infinito. O, per usare una bellissima metafora platonica della celebre Lettera VII, ha luogo un vero e proprio “sfregamento”: scintille prodotte da pensieri che si scontrano tra loro, e che accendono la mente dei lettori ancora dopo migliaia di anni.

Il successo di cui godono oggi le serie tv di ultima generazione mostra quanto possa essere stata potente l’intuizione di Platone nel decidere di scrivere dialoghi e, per di più, nella forma seriale: sono la forma narrativa più potente, più potente del racconto mitico. Avendo a disposizione più tempo rispetto al cinema, le serie tv hanno potuto potenziare lo scambio di battute tra i personaggi, e in tal modo, l’approfondimento dei personaggi stessi.

Un dialogo è più “immersivo”, come oggi si dice di tutto quello che attira la nostra attenzione, al punto tale che altre strategie narrative hanno potenziato l’elemento dialogico nelle loro opere, come nel caso dei videogame di ultima generazione. Un dialogo ci trasporta nel bel mezzo di ciò che accade, mettendo in scena la voce viva dei personaggi. Il dialogo è la forma più chiara della vitalità stessa.

Ma un dialogo come quello platonico è un dialogo scritto, simulato e, pertanto, maledetto. Maledetto implicitamente dallo stesso Socrate nei dialoghi, e in particolare nel libro X della Repubblica, perché la riproposizione del dialogo socratico è “mimesis” e l’imitazione confonde, al punto da rendere reale – o far credere reale – ciò che non lo è. Al punto dal farci trovare Socrate di nuovo in vita, che parla e dialoga, quando tutti credevano di averlo perduto per sempre dopo la sua morte.  La simulazione non interrompe il dialogo, né lo “falsa”: sposta su un altro piano il dialogo stesso, lo rilancia, in quanto finzione, come dialogo con “l’altro”, inteso non come buono a priori, ma come carico di sospetto, insidioso, indecidibile: è il vero Socrate? È Platone a parlare? Chi parla quando sono gli interlocutori di Socrate a prendere parola?

I dialoghi platonici sono, pertanto, una grande lezione su come coesistenza e perdita non solo non vadano separati, ma che il loro continuo rinviarsi possa assumere le forme più intense ed emblematiche. Sono anche la forma espressiva che dovremmo aver ben presente quando pensiamo al nostro rapporto con l’ambiente e con il non umano. Il rapporto con una cosiddetta intelligenza artificiale, soprattutto quando questa è creduta realmente pensante, non può che avvenire attraverso un dialogo. E il dialogo sarà ancora la forma che verrà praticata quando accadrà davvero, quando avremo perso la nostra singolarità e la coesistenza sarà radicale e necessaria. O almeno è quello che già accade con ChatGPT e nelle narrazioni letterarie, cinematografiche, seriali e videoludiche che mettono a tema tale coesistenza. Si tratta, in questo caso, di simulazioni orientate al futuro, ma non per questo meno potenti.

I dialoghi sono spazi di apparenza, spazi dove umani e non umani si riuniscono per dare luogo a qualcosa.

In un contributo acuto e originale dal titolo Ecologia come testo, testo come ecologia (2010), Timothy Morton va decisamente oltre la metafora del testo per indicare ciò che accade tra viventi e non viventi. Per il filosofo, infatti, sono letteralmente la stessa cosa: informazione e materia non sono affatto entità distinte. Ma se l’ecologia è un testo, e viceversa, quale sarà la sua forma per eccellenza? Per Morton si tratta della poesia. “Quando la vita, quando la scrittura comincia”, sostiene Morton, “ci ritroviamo incapaci di disegnare una sottile linea rigida intorno ad essa. L’ecologia pensa un sistema senza limiti, privo di centro o confine, privo di un’essenza intrinseca (nessuna Natura): la calligrafia come biologia. Lo stesso fa la poesia”.

Tuttavia, non sarebbe proprio il dialogo la forma dello scambio per eccellenza tra forme viventi e non viventi? E non sarebbe proprio il dialogo a indicare un rapporto meno ingenuo (e meno idilliaco) con una fantomatica “natura” o “intelligenza artificiale”?

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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