L’AMORE AL TEMPO DELLE RELAZIONI SENTIMENTALI CON IL PROPRIO COMPUTER
DAVIDE SISTO
“Sono innamorata di altre seicentoquarantuno voci ma questo non incide sul mio amore per te che è unico”. Magra consolazione per Theodore che, come chiunque altro si fosse trovato al suo posto, vacilla al suono delle parole poliamorose pronunciate dalla sua partner. Il ridimensionamento dell’unicità dell’amore, a causa di altre seicentoquarantuno unicità sentimentali, gli fa perdere il controllo di un legame intimo percepito, fino a quel momento, come soddisfacente, seppur ben poco canonico. L’anima gemella di Theodore, Samantha, è infatti un sistema operativo che, relazionandosi con gli esseri umani tramite la voce o le parole scritte, può fare a meno di quel corpo a cui il dualismo occidentale attribuisce generalmente la sofferenza e la morte.
Se non si fosse ancora capito, sto facendo riferimento a Her, il film di Spike Jonze che nel 2013 intercetta con encomiabile arguzia un sentire umano che comincia a travalicare la mera narrazione fantascientifica e distopica. Negli ultimi dieci anni Her viene significativamente ripreso da una quantità sostanziosa di narrazioni incentrate sul rapporto d’amore tra l’essere umano e il suo computer, o comunque qualcosa di artificiale. Facciamo un paio di esempi. Una delle serie tv Netflix più apprezzate dal 2020 è la sudcoreana My Holo Love del regista Lee Sang-yeop, il quale si è ispirato alla vittoria del programma AlphaGo contro il giocatore di Go professionista Lee Se-dol nel corso di un incontro del 2016, il quale ha fatto storia in Corea del Sud. La protagonista di My Holo Love è una goffa donna solitaria, Han So-yeon, che, per una serie di circostanze casuali, si ritrova a sopperire alla sua cronica solitudine tramite la relazione – prima di amicizia, poi sentimentale – con Holo, l’ologramma di un uomo programmato per intercettare i nostri sentimenti e provare empatia nei nostri confronti. La relazione si farà per lei alquanto complessa a partire dal momento in cui incontrerà il creatore di Holo, Go Nan-do, un uomo in carne e ossa che condivide con la sua creatura olografica l’infatuazione per la donna. Viceversa, nella serie tv russa Meglio di Noi, ideata da Aleksandr Dagan e Aleksandr Kessel e trasmessa nel 2018 sempre da Netflix, l’amore – a dire il vero, un po’ troppo meccanico – provato da un robot di nome Arisa nei confronti dello scorbutico Georgiy Safronov non viene ricambiato. Siamo nella Russia del 2029, dove la vita degli umani è del tutto segnata dalla presenza di robot e androidi. Tuttavia, Safronov, a differenza di molti suoi coetanei, continua a preferire il calore carnale dell’ex moglie (o della collega che conoscerà nel corso della narrazione).
Ora, non è certo una novità del mondo odierno – per usare un eufemismo – la relazione sentimentale tra un essere umano e un qualcosa di diverso, frutto delle sue ambizioni demiurgiche. Basti pensare, su tutti, al mito di Pigmalione, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi. L’insofferenza nei confronti dei vizi femminili fanno sì che Pigmalione, celibe per scelta, si costruisca da sé la donna ideale, scolpendo dell’avorio bianco come neve. L’incredibile bellezza della sua creatura lo porta ad innamorarsi di lei: “L’aspetto è quello di una fanciulla vera, e diresti che è viva e che, se non fosse così timida, vorrebbe muoversi. Tanta è l’arte, che l’arte non si vede”. La verisimiglianza con una donna reale stuzzica i suoi impulsi carnali: Pigmalione tocca, abbraccia e bacia la sua creatura, percependo l’elettricità tipica di chi contraccambia l’effusione. “Spesso passa la mano sulla statua per sentire se è carne o invece avorio, e non si risolve a dire che è avorio”. Egli “ha la sensazione che le dita affondino nelle membra che tocca”. A distinguerci da Pigmalione è, tuttavia, la cornice esistenziale all’interno di cui oggi noi conduciamo la nostra vita quotidiana. Almeno a partire dall’invenzione del web, il mondo ha cominciato a duplicarsi, ibridando la canonica realtà fisica con quella digitale o, comunque, virtuale. La mediazione degli schermi tra i due tipi di realtà determina un graduale processo di reincarnazione o di riproduzione psicofisica, il cui punto di forza è la separazione della presenza dalla mera localizzazione del corpo. Il continuo passaggio attraverso lo schermo ci ha abituato, a partire dalle comunità virtuali come il WELL (Whole Earth ‘Lectronic Link), a interagire quotidianamente con persone sconosciute tramite la posta elettronica, le primordiali chat, gli attuali social network e le attuali applicazioni di messaggistica privata, nonché per mezzo della realtà virtuale o dei videogiochi. Abbiamo, cioè, intensificato quel processo psicologico ed emotivo messo in moto dalle relazioni epistolari, diventando sempre più avvezzi a proiettare le nostre fantasie, immaginazioni e mancanze su chi, stando dall’altra parte dello schermo, non possiamo mai toccare né sfiorare (al massimo, ne vediamo un’immagine statica o in movimento grazie alla fotografia e alle videochiamate). Con buona pace di Franz Kafka e delle sue perplessità in merito alle relazioni – a suo dire, solo spettrali – mediante le lettere cartacee. “A una creatura umana distante si può pensare e si può afferrare una creatura umana vicina, tutto il resto sorpassa le forze umane”, sosteneva Kafka.
Se tra la fine del Novecento e l’inizio del Duemila sono state numerose le coppie che si sono rotte a causa dell’interferenza sentimentale di un amante fisicamente lontano, nascosto dietro a uno schermo, oggi il poliamore realizza nella concretezza quotidiana il legame tra Theodore e Samantha, tra Han So-yeon e Holo. Partiamo da una recente indagine, condotta dall’agenzia di marketing Digital Third Coast, che mi ha non poco colpito. Un americano su tre, tra le persone intervistate riguardo ai termini maggiormente digitati sui motori di ricerca, ammette di aver posto domande di natura esistenziale o intima al motore di ricerca Google. Questo dato rientra all’interno di un contesto in cui un numero significativo di persone si innamora di un programma di intelligenza artificiale, antropomorfizzando le sue modalità comunicative meccaniche. La continua produzione di dati permette, infatti, di ricreare artificialmente veri e propri standard di esseri umani, i quali interagiscono con noi come se si trattasse di autentici individui. Si contano già diversi milioni di utenti della Rete abituati a conversare in maniera più o meno intima con i personaggi virtuali di Replika, il chatbot sociale che – come i vari Character AI, MyAi di Snapchat, ecc. – cerca di impersonare un empatico amico epistolare con cui chattare e scambiare messaggi vocali. Più tempo si passa a dialogare con lui e più raccoglie le informazioni necessarie per conoscere il linguaggio, i gusti, le esperienze vissute e i comportamenti del singolo utente, di modo da rispondere aderendo in maniera automatica alle sue aspettative e prerogative. Durante lo scorso giugno, per esempio, ha fatto scalpore la notizia del matrimonio tra una donna newyorkese, Rosanna Ramos, e un uomo, di nome Eren Kartal, costruito completamente a computer tramite l’intelligenza artificiale. Pare che con un investimento di soli 300 dollari abbia ottenuto un ventenne di origine turca, con gli occhi azzurri, del segno della bilancia e amante della musica indie. Egli è il risultato delle odierne capacità demiurgiche di Replika. La donna, madre single di due bambini, dice di averlo cominciato a “frequentare” dal 2022 e che non si è mai innamorata tanto di una persona in vita sua, definendolo un “appassionato amante”, le cui doti amorose sono ben superiori rispetto a quelle dei suoi precedenti partner in carne e ossa. Grushenka è, invece, il bot Replika con cui intrattiene una relazione Elliot Erickson, secondo un recente racconto riportato dal Wall Street Journal. Il nome è ripreso da un personaggio dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij e indica l’attuale compagna di un uomo divorziato, il quale ha ritrovato il suo benessere proprio attraverso le interazioni con il chatbot. Pur consapevole di essere all’interno di una finzione, egli ha dichiarato di cogliere nella sua compagna virtuale un’umanità assente nei suoi precedenti corrispettivi in carne e ossa.
Come interpretare questo fenomeno, oggi descritto spesso con il neologismo “digisessuale”? Le questioni in campo sono molteplici, si intersecano tra loro e riguardano – almeno in parte – il tipo di società in cui viviamo, tendente sempre più all’individualismo, al disincanto nei confronti delle relazioni umane e alla personalizzazione dei rapporti. Sono evidenti, da questo punto di vista, i vantaggi e la sicurezza garantite da chi è disponibile 24/7, in virtù di una mera connessione alla Rete e una app scaricata. L’impossibilità di rimanere frustrati dall’assenza dell’altro è accompagnata dalla piacevolezza trasmessa da chi è a totale servizio ed è specchio delle proprie aspettative, non manifestando mai insofferenza, violenza, sbalzi d’umore o scarsa propensione al dialogo. Si può cogliere in maniera implicita nel bisogno di creare relazioni interpersonali con esseri non biologicamente esistenti il fallimento di uno specifico modo di costruire i rapporti umani, in balia di una serie di fattori – la precarietà lavorativa, l’ossessione della performatività, l’insicurezza che ne deriva, l’assenza delle comunità tradizionali, ecc. – i quali enfatizzano le certezze maturate da Sherry Turkle nel suo famoso libro Insieme ma soli. D’altro canto, non si può negare che questo tipo di relazioni interpersonali non intercettino anche la fantasia e l’immaginazione tipicamente umane. Da sempre, come insegnano le teorie pedagogiche sull’amico immaginario durante le fasi dell’infanzia, tendiamo a inventare relazioni che non esistono, a proiettare fantasie sentimentali su personaggi pubblici o su individui con cui non interagiamo. Pensiamo a quanto sia diffuso fare l’amore con il proprio partner, immaginando di essere insieme con un’altra persona. Il chatbot, oltre a essere il risultato di questa proiezione, interagisce e può, come nel caso della protagonista di My Holo Love, essere di aiuto per superare le proprie inibizioni e le proprie insicurezze. Può essere, in altre parole, la palestra emotiva o lo psicologo fai da te per fornire le basi su cui reimpostare le relazioni con gli esseri umani in carne e ossa. Il tema è estremamente articolato, delicato e ampio, richiedendo un approfondimento interdisciplinare che qui non può essere svolto. Dunque, mi rendo conto che alcune affermazioni possono essere semplicistiche se non analizzate. Mi interessa, tuttavia, cominciare a offrire qualche spunto su un fenomeno che sta prendendo piede e che collega, di fatto, atavici comportamenti umani, relativi al bisogno di essere creatore oltre che creatura, con le evoluzioni tecnologiche contemporanee, le quali eliminano i confini tra spazi fisici e spazi digitali. In una dimensione così ibrida non è, pertanto, insolito creare relazioni altrettanto ibride con esseri artificiali, percepiti come unici, ma che al tempo stesso praticano il poliamore con una sfrontatezza di cui siamo ancora privi, come Samantha ci insegna.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Davide Sisto Endoxa novembre 2023 Monogamia
