I NODI DELLA GOMENA: REMO BODEI TRA DÉJÀ VU E GENERAZIONI FUTURE

Remo_Bodei_2-1GABRIELE DE FILIPPO

Ognuno di noi costituisce una novità inimitabile che dà inizio ad una nuova storia al centro della quale inevitabilmente ci poniamo. Nascendo, però, troviamo dinanzi a noi un mondo già fatto in cui dobbiamo sforzarci di entrare a farne parte in modo più o meno armonico o conflittuale, immettendoci nel suo ordine complesso e cangiante, composto da istituzioni, poteri, saperi, regole e tradizioni di durata spesso millenaria.

Ciascuno è, dunque, obbligato a ripercorrere a tappe forzate il cammino della civiltà cui appartiene, ricapitolandolo proprio mentre, in parallelo, si arrischia nell’impresa di forgiare se stesso secondo la personale prospettiva che lo caratterizza e rende unico.

Oltrepassare i limiti e i condizionamenti della nascita, racchiusa in un particolare tempo, luogo e ambiente mediante l’acquisizione di conoscenze condivise e in grado di arricchire l’esperienza soggettiva, consente, dunque, di impadronirsi della tradizione in maniera tale da poterla anche eventualmente cambiare: soltanto così diventa davvero possibile per l’individuo portare il proprio, seppur piccolo, contributo innovativo a partire dalla inaggirabile situazione storica, dai suoi vincoli e dalle sue promesse.

In altri termini: se, da un lato, non tutti siamo emigranti nello spazio geografico, dall’altro, tutti siamo emigranti nel tempo. Ci muoviamo, infatti, da un presente conosciuto verso un futuro comune ma ignoto. Secondo Remo Bodei, pertanto, una conquista assai preziosa per la nostra vita, piuttosto difficile da conseguire, è proprio la gestione ottimale del tempo.

Solo in quanto fluire, costruzione di sé istante per istante, nodo dell’identità che collega il passato e il futuro, il nostro presente si inserisce in un orizzonte di senso più ampio ed articolato.

Lo «storicismo non invertebrato» di Bodei – così amava definirlo l’Autore –, in Piramidi di tempo, ha spinto il filosofo a interrogarsi riguardo un fenomeno in apparenza trascurabile come il déjà vu che, specie in determinati periodi, ha attirato l’attenzione quasi ossessiva di scienziati, poeti e filosofi.

Scrive Bodei: «Ognuno di noi ha provato la netta e improvvisa sensazione di aver già vissuto in un passato indefinibile situazioni assolutamente identiche: di aver già conosciuto una certa persona che incontra per la prima volta, di aver già visto un luogo in cui non è mai stato, di aver già pronunciato frasi che non ha mai detto. A tale sporadica, labile e improvvisa impressione di paradossale riconoscimento dell’impossibile si accompagna l’acuta consapevolezza che la percezione attuale non corrisponde ad alcun ricordo effettivo. Sappiamo anzi perfettamente che solo ora stiamo vivendo, per la prima volta, quella determinata esperienza.

Eppure la sensazione di ripercorrere frammenti di passato è, per alcuni istanti, così netta e imperiosa da riempirci di sconcerto e provocare un disorientamento temporale».

Diversamente dall’esperienza onirica, nel déjà vu, si diventa vittime di un «sogno rovesciato»: invece di prendere l’allucinazione per realtà come accade nel sogno, in questo caso, è la realtà a venir scambiata per allucinazione, qualcosa che stentiamo a credere pur avendo il mondo sotto gli occhi (spalancati) e a portata di mano. Sfidando l’ovvietà di quel collaudato ingranaggio che è per noi la quotidianità, secondo Bodei, gli attimi del déjà vu producono almeno due effetti notevoli su di noi: in primo luogo, mettono in dubbio la presunta irreversibilità del tempo che ogni nostra felicità consuma e, inoltre, incrinano la fede in una inscalfibile e monolitica realtà, il solo sostrato permanente capace di resistere persino al lavorio del tempo e delle sue proteiformi mutazioni.

Attraverso la piccola fessura del déjà vu scorgiamo una realtà che non ci appare più come un qualcosa di dato e che si limita a precedere l’esperienza soggettiva, ma come un cantiere soggettivamente aperto e in costruzione. Sfidando l’ovvietà di un morto passato che si sovrappone al presente nell’ora, il déja vu «mostra lo sforzo, non sempre riuscito, che ciascuno compie per conservare nel tempo il senso complessivo della propria vita, per tenere assieme la propria identità personale situandola nell’orizzonte di un mondo dotato di sufficiente coerenza».

Di una preoccupante assenza di vitali connessioni fra i tempi, al contrario, ci accorgiamo soprattutto ai nostri giorni quando, specie in Occidente, almeno un’intera generazione si trova a vivere un’esistenza precaria a causa dell’eclisse del futuro. Di conseguenza, si inocula nel giovane precocemente disilluso una rassegnazione senza desideri perché sa che, se si proponesse delle mete, probabilmente non otterrebbe nulla. Il non riuscire a individuare minimamente i contorni della propria sorte retroagisce negativamente sul suo presente, producendo demotivazione e disimpegno.

Almeno un’intera generazione si trova così ad affrontare un’esistenza precaria a causa dell’abbassamento dell’orizzonte delle attese e la coscienza individuale oggi trattiene meno il passato, smarrendo l’abitudine a ricongiungerlo al presente in modo coerente. Ciò produce talvolta una sorta di implosione nell’arco dell’esistenza individuale, sottratta alla speranza ma non alla paura, così che l’insicurezza, l’angoscia verso il domani, i disturbi nell’individuazione e nella socializzazione che ne conseguono fanno regredire e fomentano l’“irrazionalità di massa”, annullando le conquiste civili e culturali più recenti e più labili.

In Generazioni, Bodei ha sottolineato al riguardo come il concentrarsi nel presente, allentando o recidendo i rapporti vitali con il passato e con il futuro, è un fenomeno per noi recente e oggi diffuso in molte parti del mondo. Non potendoci più situare all’interno di un’epoca che si rapporta a un passato di tradizioni relativamente salde e ben individuate o a un futuro remoto di attese collettive, sembra, a maggior ragione, che nessun individuo sia più realmente interessato a rappresentare l’anello di congiunzione tra le generazioni e a sentirsi partecipe di una storia condivisa.

Tendiamo sempre più a vivere alla giornata, anche perché il flusso ininterrotto di notizie induce a privilegiare l’ultimo aggiornamento, in maniera tale che i più recenti strati di senso finiscono con l’occultare i precedenti. A causa del veloce succedersi di momenti sconnessi nella coscienza non coltivata, non facciamo più in tempo a riannodare sufficientemente le fila di passato e futuro nel presente: il tempo si trasforma allora in spreco, in dissipazione di sé, in passiva resa alle correnti erratiche dell’esistenza (tutto il contrario del déjà vu insomma).

Anche per questo oggi si registra un preoccupante ottundimento generale del pensiero critico, l’immaginazione si fa pigra e standardizzata, mentre i sentimenti sfumano nell’indistinto e le passioni inselvatichiscono.

Il fenomeno della compresenza di più generazioni in un dato periodo riceve luce dal modello di Ungleichzeitigkeit (non-contemporaneità) elaborato da Ernst Bloch in riferimento agli squilibri temporali, vale a dire alla non appartenenza alle stesse condizioni e prospettive di quanti vivono sì nello stesso tempo cronologico, ma non nello stesso tempo storico-culturale. La distanza storica tra le generazioni – in quanto percezione della loro continuità o discontinuità – si accompagna a una disarticolazione di quei legami che univano amore e potere, sentimenti e istituzioni, affetti e regole: la famiglia è ormai diventata più porosa e permeabile ai mutamenti, meno isolata, più simile al resto della società.

Gli insegnanti poi, al pari dei genitori, sono quindi, da un lato, costretti a difendere la loro autorità e, dall’altro, indotti a negoziare con gli alunni e le loro famiglie, con la burocrazia scolastica e ministeriale. Sebbene tale situazione abbia anche l’effetto positivo di spingere i docenti a una migliore comprensione delle esigenze dei propri studenti e a consumare le residue scorie di autoritarismo post-bellico, il risultato è che la scuola perde spesso di importanza come fattore di crescita consapevole degli studenti e principale cinghia di trasmissione culturale (e non solo biologica o occupazionale) fra le generazioni.

Nella loro formazione, in confronto al passato, sono ora i coetanei ad assumere maggior rilievo rispetto agli adulti come punti di riferimento per i giovani. I mezzi di comunicazione di massa (specie quelli nuovi, come Internet, i cellulari o i social networks, oltre alla televisione e alla radio) forniscono loro sia i modelli cui ispirarsi, sia una variegata quantità di spunti e di materiali grezzi da utilizzare per la costruzione della personalità. Il mondo virtuale e il mondo fisico hanno iniziato lentamente a convergere e l’importanza di questo cambiamento è impossibile da sottovalutare.

Senza dilungarsi troppo né entrare nel complesso discorso di come oggi stiano cambiando, va notato che le relazioni in precedenza vissute quasi esclusivamente nel mondo fisico hanno iniziato a trasferirsi anche nel mondo dei social network, integrando ulteriormente le due sfere. Porzioni sempre maggiori delle nostre vite, delle nostre esperienze e dei nostri ricordi hanno iniziato a passare per i social network, dalle piattaforme di messaggistica e anche da forum, social gaming e altre strutture simili; trasferendosi o prendendo forma direttamente in questi ambienti.

Il metaverso zuckerberghiano spinge a interrogarci se sia possibile, di contro alla tendenza attuale, preconizzare un futuro capace di far convergere proficuamente la comodità del digitale e il coinvolgimento del mondo fisico, senza che questa nuova forma di vita «onlife» risulti puramente immersiva.

Viene, dunque, da chiedersi anche quanto spazio venga riservato alla noia oggi. La giornata è così frenetica che forse manca il tempo anche per annoiarsi. I ritmi lavorativi, l’ambiente familiare e l’utilizzo di dispositivi iperstimolanti vietano tassativamente di fermarsi, negando alla radice la possibilità di interrompere l’oblio di sé consistente nel vivere sempre con il pilota automatico innestato e consentendo, invece, una modalità creativa differente di approccio all’ambiente.

Travolti da un insieme indifferenziato e variopinto di stimoli, pensiamo di dover agire all’istante, di doverci subito sbarazzare di quell’oscuro sentimento che ci rende immobili e momentaneamente privi di senso: ma quale impoverimento di noi stessi si avrebbe se non dedicassimo allora almeno una piccola parte della nostra giornata alla «noia» di un qualche genere di riflessione, di meditazione, di «esercizio spirituale», di periodica pausa mentale rispetto allo scorrere spontaneo del tempo? La sovrabbondanza e la concentrazione nel presente di una miriade di stimoli e di informazioni ci rende avvezzi a usare «pensieri ciechi», trascinandoci verso la dissipazione e lo smarrimento di noi stessi. La lentezza degli uomini, tra l’altro, è un bene che non riguarda esclusivamente il pensiero e la qualità della vita individuali: anche la democrazia ha bisogno di ritmi adeguati per elaborare le questioni da discutere e deliberare attraverso la discussione pubblica.

Per colmare, almeno in parte, il divario tra la lentezza umana e la velocità del tempo storico attuale, occorre anzitutto rendersi conto che la permanenza in noi di un passato ritenuto significativo, frutto di una selezione, consapevole o inconscia, di eventi e nozioni che scandiscono le diverse fasi della vita, rappresenta il filo di continuità dell’io di ciascuno, indispensabile al suo orientamento responsabile nel presente e alla sua proiezione nel futuro.

Nel compiere tale opera di concentrazione in noi stessi – analoga, per alcuni versi, allo sprofondamento involontario nel déjà vu – riscopriamo di somigliare a una gomena, composta dall’annodamento di molti fili, costituiti dal rapporto con noi stessi e con gli altri, sia sul piano reale che quello immaginario. Il nostro «destino», infatti, diventa tanto più ‘personale’ quanti più fili risultiamo capaci di annodare e non far sciogliere nel corso della nostra storia: il suo compito non si limita, perciò, al «conosci te stesso», ma comprende anche il «conosci (e non dimenticarti) il «noi», nesso che, per Bodei, potrebbe fungere da antidoto alla degenerazione e alla senilità della cultura nostrana e suggerire una, sia pur traballante, passerella verso la politica.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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