IL DÉJÀ VU E L’AUTOBIOGRAFIA

225169051592_632fc3cc6b_h22-Kollage-Kid-CC-BY-NC-SA-cropped-1024x576ALESSANDRO DORIA

Non si può parlare di déjà vu, senza ricordare innanzitutto la famosa scena del film Matrix, in cui il protagonista Neo interpretato da Keanu Reeves, per due volte viene posto di fronte alla  stessa identica scena: un gatto nero che si muove vicino ad una porta. Il déjà vu si manifesta per un tempo molto breve ed è causato da un errore del software che simula la realtà. Matrix non è l’unico esempio in cui il cinema si è occupato di questo fenomeno. Esistono infatti altri titoli che in modo più o meno approfondito hanno proposto una loro rappresentazione.

Déjà vu, corsa contro il tempo di Tony Scott, ad esempio, fonda la propria trama su un altro possibile significato del termine. La storia si basa sull’esistenza di un dispositivo futuristico che permette al protagonista, interpretato da Denzel Washington, la possibilità di indagare un tratto di storia passata, così da poter meglio comprendere le dinamiche di ciò che era accaduto in quel frangente. In sostanza, il dispositivo stimola un déjà vu in cui sia possibile rivivere in modo completo un periodo alquanto lungo di avvenimenti del passato, nella stessa identica maniera nella quale essi sono accaduti.

Quindi, da un lato il déjà vu è un modo per rivivere volutamente il passato, dall’altro un errore esterno all’uomo, dovuto al software di Matrix.

Oggi invece sappiamo che, secondo le spiegazioni scientifiche più recenti, il déjà vu è un fenomeno psichico che valuta erroneamente un avvenimento o un’immagine come un qualcosa di già vissuto, con un concetto più vicino ad uno sbaglio della memoria umana, invece che ad una visione nitida di un passato già esperito.

Sembrerebbe quindi un argomento oramai concluso, ovverosia, un argomento che avesse finalmente trovato la giusta spiegazione scientifica e non avesse più bisogno di alcuna riflessione, derubricato così ad un semplice errore.

Eppure nel corso dei secoli scorsi, il fenomeno del déjà vu ha conosciuto l’interesse da parte di diverse discipline umanistiche, che hanno saputo aprire sempre nuove questioni a partire da esso, senza mai considerare di fermarsi davanti a spiegazioni puramente fisico-funzionali. In particolare, è interessante la riflessione che il fenomeno del déjà vu, apre rispetto al significato di ‘eternità’, riflessione che trovò ampio spazio nel dibattito delle scienze umane soprattutto tra l’Ottocento e il Novecento, coinvolgendo scienziati, filosofi, ma anche scrittori e poeti, e da cui scaturì un dibattito tra la cultura cristiana e il pensiero filosofico dell’epoca.

Le prime considerazioni filosofiche a riguardo, si ritrovano già presso gli antichi Greci, in particolare in Platone. e nel concetto che egli elabora di apprendimento come di un ricordo appreso in un altro tempo, in un’altra vita.

In Nietzsche, invece, il fenomeno entra ancora più in profondità nella sua relazione al tempo, attraverso  il concetto dell’eterno ritorno che ritroviamo nel famoso aforisma 125 della Gaia Scienza: “Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!»”.

Nietzsche esprime così il déjà vu come ricordo di un’esperienza già vissuta, che si ripropone nella sua stessa modalità e all’interno dello stesso mondo.

Volere l’eterno ritorno, seppur caratterizzato da un passato carico di lutti e dolori, diviene frutto della volontà dell’uomo di determinare la propria esistenza, allo stesso modo di ciò che accade nel cristianesimo, dove è la prospettiva di terminare la propria esistenza nella dannazione o nella vita eterna ad orientare i comportamenti effettivi che si mettono in atto durante la propria vita.

Per Nietzsche spostare il paradiso o l’inferno nel concetto dell’eterno ritorno terreno significa riconquistare l’eternità nel senso dei classici, in quanto si tratta di considerare la pienezza della vita a prescindere dalla durata del tempo, senza necessariamente attendere la fine della propria esistenza.

Chi ha la forza di vivere questo pensiero, in fondo non fa altro che sottrarsi alla malinconia della perdita e della caducità dell’esistenza, al passato che non può essere recuperato e che proprio per questo motivo rappresenta il fardello dell’esistenza umana.

Per il cristianesimo, invece, è sempre stata considerato inaccettabile ogni spiegazione del déjà vu che avesse come fine quello di mettere in dubbio la linearità del tempo e l’impossibilità di recuperare il proprio passato. Dal punto di vista teologico è il futuro ad avere un valore maggiore e il passato è un momento dal quale poter apprendere qualcosa, consapevoli che ciò che è accaduto si è concluso per sempre e sul quale non si può più incidere, ma si deve imparare a sopportare. Le perdite, i lutti, gli abbandoni, i dolori sono parte della condivisione della propria vita alla sofferenza della croce di Cristo e, in quanto tali, devono essere considerate delle prove da sopportare nella vita presente e futura in funzione di quella eterna che verosimilmente potrà verificarsi dopo il termine della propria esistenza.

In una simile concezione del tempo, non deve sorprendere come il fenomeno del déjà vu nel cristianesimo non sia stato molto considerato, venendo derubricato ad origine demoniaca, così come fu infatti definito da Sant’Agostino.

Al giorno d’oggi, dove si registra un aumento vertiginoso della fiducia verso la tecnica e nelle promesse di vita e di realizzazione nel presente, questo dibattito sull’eternità, in senso cristiano o nell’eterno ritorno, ha perso di forza ed interesse, ed il fenomeno del déjà vu viene studiato soprattutto nell’ambito della psicologia e delle neuroscienze. Una possibilità di ragionamento ancora attuale sull’argomento, ovvero sulla possibilità di rivivere parti del passato, che siano istanti o periodi, che sta pian piano affermandosi negli ultimi anni e che è degna di approfondimento, trova il suo ambito nella filosofia della narrazione, in particolare nella scrittura autobiografica.

Il concetto di tempo in essa assume vari significati, a seconda degli autori di riferimento, pur rimanendo tutti concordi nell’idea cristiana della sua  linearità.

A differenza del concetto espresso da Nietzsche, infatti, il tempo passato è un tempo che può essere rivissuto come ricordo fatto riaffiorare ed affrontato nell’ermeneutica della vita presente. Il passato non porta quindi con sé solo il fardello pesante dei lutti e dei dolori, ma rimane possibile rivisitare ed alleggerirlo attraverso una nuova elaborazione.

E’ per questa ragione che la scrittura autobiografica può essere considerata come supporto prezioso alla psicoterapia, soprattutto quando interviene in quei casi nei quali si rende necessario rielaborare ricordi tragici e dolorosi.

Far rivivere il proprio passato nella scrittura, rileggerlo più volte fino a rendere comprensibile ciò che si è scritto, sono esercizi importanti per poter alleggerire il carico di dolore che molte volte trasciniamo nelle nostre esistenze e rendere il loro ricordo finalmente vivibile.

Nella scrittura autobiografica, poi, il futuro non rimane mai imprigionato nel carico di promesse che potranno realizzarsi solo dopo la vita terrena o in un tempo irraggiungibile, ma diviene una direzione, un orientamento, una bussola in grado di indicare una modalità di vita.

Il presente, infine, viene vissuto e rivisitato sistematicamente nella stesura quotidiana di pensieri, esperienze e di tutto ciò che è stato vissuto nella quotidianità, in vista di correggere la rotta della propria esistenza..

Alla pari dell’esercizio filosofico della morte, la scrittura autobiografica pertanto recupera il passato, per vivere pienamente il proprio presente, nella direzione che pensiamo possa avere il nostro futuro.

Il déjà vu, così come inteso nella scrittura autobiografica, diviene allora un momento che permette di ripensare ai propri vissuti, alla vita che è già trascorsa, senza cadere nella malinconia o nella nostalgia, ma rimanendo ben saldi sul tempo presente e sulle direzione che si apre davanti a noi.

Non si riduce il fenomeno solo all’errore della memoria, ma lo si scopre come spunto di pensiero per ciò che è stato e che può e potrà essere.

CINEMA ENDOXA - BIMESTRALE Fantascienza FILOSOFIA

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