JAMAIS VU! QUANDO NON SI VEDE LA SOMIGLIANZA TRA POLITICAMENTE CORRETTO E POLITICA COMUNISTA

Doris-Lessing-in-1962.-009ROBERTO FESTA

Abbasso l’amore al prossimo! […] Dobbiamo imparare a odiare. Questa è la nostra religione. Con questo mezzo arriveremo a conquistare il mondo.

Anatolij V. Lunačarskij, Commissario all’Istruzione Pubblica dell’Unione Sovietica

La correttezza politica è la naturale continuazione della linea del partito [comunista]. […] È un’eredità del comunismo, ma sembra che nessuno lo veda.

Doris Lessing, The Sunday Times, 1992

Tutti sanno che l’espressione francese “déjà vu” viene usata in molte lingue, italiano compreso, per indicare la sensazione di aver già visto ciò che si sta vedendo in un dato momento. Ma non tutti sanno che, nel lessico della psicologia cognitiva, “dejà vu” si riferisce alla sensazione illusoria di aver già visto una certa immagine o situazione. Una nozione psicologica strettamente collegata al déjà vu è quella di jamais vu (mai visto), che indica il contrario del déjà vu, cioè l’incapacità di riconoscere una situazione familiare. Il jamais vu è un fenomeno piuttosto comune, provato occasionalmente da almeno la metà delle persone. Mi pare che la percezione dell’orientamento politico noto come correttezza politica, o politicamente corretto (PC), sia comunemente afflitta dal jamais vu. Infatti, quasi tutti gli studiosi considerano il PC come qualcosa di nuovo, non vedendo che è essenzialmente simile alla politica comunista. Nel seguito descriverò alcune manifestazioni del PC e ne identificherò i presupposti ideologici, con l’intento di metterne in luce l’affinità con la politica comunista.

I sostenitori del PC non si stancano di perorare i diritti della comunità LGBTQ+. Con il passare degli anni l’acronimo LGBTQ+ si è gonfiato fino a diventare LGBTQQIA+, che sta per “lesbiche, gay, bisex, trans, queer, gender questioning, intersex, asessuali, + altri”, dove “altri” si riferisce ad alcune decine di identità di genere, come gender fluid, gender creative, non-binaria, pansessuale, demisessuale, e così via. Gli acronimi vengono usati per semplificarci la vita. Quindi, dovrebbero essere brevi e facilmente pronunciabili; per esempio, diciamo ONU, che si pronuncia “onu”, per non dire Organizzazione delle Nazioni Unite. Ma la pronuncia di LGBTQ+, che si legge “ellegibiticuplas”, è un supplizio fonetico di lunga durata – per non parlare di LGBTQQIA+. Chi cita insistentemente la comunità LGBTQ+ non rivela solo il suo impegno a favore di persone che si presumono oppresse, ma anche, e soprattutto, il suo sostegno al PC. Invece, chi evita di usare l’acronimo LGBTQ+, o lo pronuncia scorrettamente, rischia di essere bollato come un reazionario della peggiore specie, ostile ai gay e alle altre categorie che compongono la comunità LGBTQ+.

L’acronimo LGBTQ+ viene sempre usato con l’endiadi “comunità LGBTQ+”, dando per scontata l’esistenza di tale comunità. In realtà, non esiste alcuna comunità LGBTQ+. Infatti, tra i numerosi gruppi accolti sotto l’ombrello LGBTQ+, solo gli omosessuali vivono significative esperienze comunitarie, che culminano ogni anno nei gay pride. Sarei sorpreso di imbattermi in feste dell’orgoglio asessuale o pansessuale e lo sarei ancora di più se mi imbattessi in un’iniziativa congiunta di asessuali e pansessuali. La verità è che non esistono entità collettive come la comunità LGBTQ+, ma ci sono solo gli individui, ciascuno dei quali, indipendentemente dal suo orientamento e dalla sua identità sessuale, ha una peculiare visione del mondo. Vediamo così che molti omosessuali sono politicamente conservatori e che alcuni di loro esprimono pubblicamente la loro contrarietà ai matrimoni gay e all’adozione e compravendita di bambini da parte delle coppie gay.

Mentre il PC non è ancora riuscito a imporre l’uso del termine LGBTQ+, ha avuto un certo successo nella regolamentazione delle espressioni che si riferiscono al genere sessuale. Infatti, ha diffuso l’idea che il linguaggio deve essere purificato dai suoi elementi sessisti, a partire dal maschile esteso, usato per indicare gruppi di persone di genere misto. Formule come “cari studenti” e “cari colleghi” sono entrate nel mirino del PC. Una bizzarra soluzione del problema di come evitare il maschile esteso è stata adottata dall’Ateneo di Trento. Infatti, nella storica seduta del 28 marzo 2024, il suo Consiglio di amministrazione ha approvato un Regolamento generale formulato con il femminile esteso per le cariche e i riferimenti di genere. Nell’incipit del documento si afferma solennemente: “I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone”. Nell’Ateno di Trento non ci sono più professori e studenti, ma solo professoresse e studentesse. Al momento, non è chiaro se queste professoresse e studentesse saranno tenute a usare il femminile esteso nella comunicazione scritta e parlata. Ma di certo è stato preparato il terreno per imporre questo obbligo.

Il PC non si limita a dichiarare guerra agli usi sessisti del linguaggio, ma pretende anche di parlare a nome di tutte le donne, viste come il genere oppresso dalla società patriarcale. L’episodio che sto per raccontare mostra che, nella sua pretesa di difendere le donne da ogni espressione che possa urtare la loro sensibilità, il PC non esita ad attaccare la libertà di espressione. Agli inizi di novembre del 2020, Marco Bassani, docente di Storia delle dottrine politiche dell’Università di Milano, condivide su Facebook un meme che si riferisce ironicamente alla circostanza che la vicepresidentessa degli Stati Uniti, Kamala Harris, ha iniziato la sua carriera come amante di Willie Brown, ex Sindaco di San Francisco, quando lei aveva 29 anni e lui 60. Nella didascalia del meme si legge: “Se vai a letto con l’uomo giusto, potente e ben ammanicato, anche tu puoi essere il secondo violino di un uomo con demenza.” Anche se non brilla per buon gusto, il meme non calunnia Harris, poiché evoca fatti ben noti. In ogni caso, il post di Bassani attira le accuse di sessismo degli studenti di sinistra, che vengono immediatamente recepite dal Rettore dell’Università, il quale fa recapitare a Bassani un atto di accusa che dà inizio al procedimento disciplinare nei suoi confronti. Nel documento, il Rettore afferma che il post di Bassani ha un “contenuto sessista e altamente offensivo nei confronti non solo della diretta interessata, ma dell’intero genere femminile”. Inoltre, si rammarica del fatto che Bassani ha l’abitudine di “esprimere pubblicamente sui social network opinioni forti, dal contenuto talvolta estremo”. Le accuse del Rettore sono evidentemente prive di fondamento. Infatti, non si comprende in che senso il post di Bassani offenda “l’intero genere femminile”. Inoltre, il riferimento alle “opinioni forti, dal contenuto talvolta estremo” espresse pubblicamente da Bassani lascia trasparire un forte sospetto verso la libertà d’espressione. Sembra quasi che, diversamente dai comuni cittadini, i professori universitari siano tenuti a esprimere il loro pensiero con grande cautela. In ogni caso, il Consiglio di amministrazione della Statale fa proprie le accuse del Rettore e decide che Bassani sarà sospeso per un mese dall’insegnamento, con corrispondente privazione dello stipendio. Il “caso Bassani” mette allo scoperto il volto oppressivo del PC. La sanzione disciplinare a lui inflitta è un’applicazione del motto maoista: “Colpiscine uno per educarne cento!” A quanto pare, l’educazione dei professori universitari ha avuto successo, poiché quasi nessuno di loro si è espresso in difesa di Bassani. E quasi nessuno si oppone ai regolamenti di condotta verbale (speech codes) che, sotto l’egida del PC, vengono approvati negli atenei italiani.

Il PC ebbe origine all’inizio degli anni Ottanta negli Stati Uniti, da dove si diffuse nel resto dell’Occidente. Il suo tratto più appariscente è la preoccupazione per la “correttezza” del linguaggio, che dovrebbe essere purificato dalle consuetudini linguistiche che offendono determinate categorie di persone, come le donne e le minoranze sessuali, etniche e religiose. Per compensare le discriminazioni di cui soffrirebbero queste categorie, i sostenitori del PC appoggiano anche l’introduzione di svariate misure di “azione affermativa”, come il sistema delle quote. Il PC non è un movimento organizzato, con una precisa agenda politica. Inoltre, i suoi sostenitori non amano essere etichettati come politicamente corretti, poiché l’espressione odora di conformismo e intolleranza. Queste circostanze ostacolano la ricerca di un’esatta definizione dell’ideologia del PC, ma non impediscono di coglierne la visione del mondo, che appare pervasa da un sentimento di ostilità verso il capitalismo, l’America, l’Occidente, i ricchi, i conservatori, le tradizioni culturali e il cristianesimo, oltre che dalla convinta adesione al pacifismo e all’ecologismo radicale.

A partire dalla fine degli anni Novanta, sono stati pubblicati svariati volumi sulla natura e la storia del PC. I loro autori, tuttavia, non si occupano quasi mai delle relazioni tra il PC e le altre ideologie del Novecento, a partire da quella comunista. Una delle rare eccezioni è Eugenio Capozzi (Politicamente corretto. Storia di un’ideologia, 2018), che considera il PC come “l’ultima forma assunta dal progressismo dopo il tramonto delle varie versioni in cui si è presentato, dall’Illuminismo al secondo Novecento”. Parlando di progressismo, Capozzi si riferisce all’idea “per cui la civiltà umana non soltanto tenderebbe a perfezionare se stessa, […] ma che questa marcia verso la perfezione debba essere guidata attraverso un percorso politico”. Secondo Capozzi, il PC condivide con tutte le forme di progressismo – come il liberalismo, la democrazia e il comunismo – “l’obiettivo di estirpare dalle società diseguaglianze e ingiustizie ereditate dal passato per condurle verso un avvenire radioso”. D’altra parte, Capozzi non sembra accorgersi della peculiare affinità tra il PC e il comunismo.

Gli avversari contro i quali si scaglia il PC sono essenzialmente identici a quelli indicati dalla propaganda comunista nel secolo scorso e molte battaglie del PC sono animate dallo stesso odio predicato dal commissario bolscevico Anatolij V. Lunačarskijsi. Viene, quindi, naturale pensare che l’incapacità di vedere la forte somiglianza tra PC e comunismo sia un caso di jamais vu. Nel minuscolo gruppo di intellettuali che si sono sottratti a questo jamais vu, spicca il premio Nobel per la letteratura, Doris Lessing. Nel maggio 1992, in un intervento su The Sunday Times, la grande scrittrice sudafricana osserva che “la correttezza politica è la naturale continuazione della linea del partito [comunista]. Ciò che stiamo vedendo ancora una volta è un autoproclamato gruppo di vigilantes che impone le proprie opinioni agli altri. È un’eredità del comunismo, ma sembra che nessuno lo veda.” Due anni dopo, Lessing ritorna sull’argomento, con un acuto rilievo sulla somiglianza tra le “politiche del linguaggio” del PC e dei comunisti.

Anche se abbiamo assistito alla morte apparente del Comunismo, ancor oggi i modi di pensare nati sotto il Comunismo, o consolidati dal Comunismo, governano le nostre vite. Nessun lascito del Comunismo è più evidente e immediato della correttezza politica. Punto primo: il linguaggio. Non è una novità che il Comunismo abbia fatto degenerare il linguaggio e, con esso, il pensiero. (“Unexamined Mental Attitudes Left Behind By Communism”, in E. Kurzweil e W. Philips (a cura di), Our Country, Our Culture. The Politics of Political Correctness, 1994)

L’argomento doveva stare molto a cuore a Lessing che, a distanza di vent’anni, torna sulla continuità tra comunismo e PC, dedicando alcune melanconiche osservazioni al clima soffocante creato dai sostenitori del PC nelle università americane.

La tirannia mentale più potente in quello che chiamiamo mondo libero è la correttezza politica, che è immediatamente evidente e visibile ovunque, ma anche invisibile come una sorta di gas velenoso, poiché le sue influenze sono spesso lontane dalla fonte, manifestandosi come un’intolleranza generale. […] I libri di storia diranno più o meno così: “Quando le certezze del comunismo cominciarono a dissolversi, […] la Correttezza Politica si precipitò subito a colmare il vuoto. Tutto iniziò come un onesto e lodevole tentativo di rimuovere i pregiudizi razziali e sessuali codificati nel linguaggio, ma il sopravvento fu subito preso da politici isterici, che ne fecero un altro dogma.” […] La nuova tirannia si impadronì presto di intere università, soprattutto negli Stati Uniti, […] dettando abitudini di critica, soffocando il pensiero in alcuni ambiti della ricerca scientifica, offuscando i naturali fermenti della vita intellettuale. […] La sottomissione al nuovo credo non sarebbe potuta avvenire così rapidamente e in modo così completo se le rigidità comuniste non avessero permeato ovunque le classi colte, perché non era necessario essere comunisti per assorbire l’imperativo del controllo e del limite: le menti erano già state completamente sottomesse all’idea che la libera ricerca e le arti creative debbano essere soggette all’autorità superiore della politica. […] In una prestigiosa università degli Stati Uniti due docenti maschi mi dissero che odiavano il PC, ma non osavano dirlo se volevano conservare il posto di lavoro. Mi hanno portato nel parco per dirlo, dove non potevamo essere ascoltati, come accadeva nei paesi comunisti.” (Time bites, 2004)

Lessing osserva che la sottomissione al PC è stata facilitata dalla sottomissione delle classi colte all’ideologia comunista. Come e quando si sia verificata tale sottomissione è un problema di straordinario interesse, che mi piacerebbe affrontare in un’altra occasione.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA POLITICA

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