IL MURO DELL’INDICIBILE: LA COSTRUZIONE DEL NEMICO NELLA TERZA DECADE DEL TERZO MILLENNIO
UGO MATTEI
Proprio in questi giorni sono apparsi a Roma e in altre città italiane cartelloni pubblicitari, raffiguranti una stretta fra due mani, l’una tricolore, bianco-rosso-verde, l’altra rosso-blu come la bandiera della Federazione Russa. La scritta sopra la stretta di mano è “La Russia non è nostra nemica”. In basso nel cartellone: “Basta soldi per le armi a Ucraina e Israele. Vogliamo la Pace e ripudiamo la Guerra (Art. 11 Costituzione)”. L’ iniziativa, partita da un gruppo di militanti romani, ha attratto l’attenzione, fra gli altri, di un noto canale televisivo statunitense e le polemiche che sono seguite circa la rimozione dei cartelloni hanno bucato, almeno in parte, la strategia del silenzio circa ogni azione politica di buon senso capace di incidere sull’addormentata opinione pubblica del nostro paese.
Una simile strategia di silenzio era stata utilizzata un anno fa per impedire la raccolta delle firme necessarie ad indire una stagione referendaria ex Art. 75 Costituzione, indetta da Generazionifuture.org, volta a bloccare il trasferimento di armi in Ucraina con contestuale utilizzo dei miliardi così risparmiati a favore della sanità pubblica. Accanto alla strategia del silenzio, anche questa volta, come in precedenza nella stagione del COVID 19, il sistema mediatico mainstream mette in campo la diffamazione e la gogna per chi si esponga in modo sincero e visibile su questi temi. Io stesso ho partecipato ben più di una volta a trasmissioni televisive in cui un numero variabile di altri invitati, politici e giornalisti, da un minimo di quattro fino a sei o sette, inclusi i conduttori, facevano a gara nel darmi addosso indicandomi al pubblico ludibrio come untore oscurantista No Vax, nemico della scienza o, qualche mese dopo, come un agente putinista, nemico della democrazia. Le cose stanno andando in modo non troppo diverso rispetto al genocidio di Gaza, dove il “nemico permanente”, per usare il titolo di un fortunato libro di Elena Basile, è l’antisemita, reo di dimenticare le vittime della Shoa nel suo “J’accuse” (per usare il titolo di un’ altra coraggiosa militante del buon senso, Francesca Albanese) nei confronti del genocidio sionista che, oltre a uccidere e mutilare decine di migliaia di palestinesi, ha definitivamente messo la pietra tombale sul diritto internazionale (ovviamente invocato contro Putin).
Silenzio, quando possibile, e diffamazione, quando necessario, sono le strategie utilizzate per governare il dissenso, negando in nuce, molto sepsso nel silenzio complice quasi unanime della cultura giuridica (qui sta la differenza fra la stagione Covid e quella del genocidio a Gaza), quel “Diritto di essere contro” (dal titlo di un mil libro del 2022) che pure costituisce l’essenza del costituzionalismo liberale che paradossalmente i covidioti, i russofobi e i sionisti, vantano come tratto di superiorità ontologica dell’occidente rispetto al dispotismo orientale.
Sono pochi quelli che, come Gianfranco Sanguinetti, osano spiegare questo fenomeno come una naturale evoluzione del capitalismo, che nel debordiano “spettacolo integrato” si è oggi trasformato in dispotismo occidentale, una struttura di potere che semplicemente risulta interamente incompatibile con ogni dialettica. Del resto, il modello politico del dispotismo costituisce la traslazione istituzionale del “militare” in tempo di guerra, una organizzazione incompatibile con ogni pratica di dissenso, che, per definizione, indebolisce l’esercito. Non esiste “leale opposizione” durante una campagna militare e se, certo, come meravigliosamente raccontato da Tolstoj in Guerra e pace, gli scontri di potere fra generali non sono rari neppure nelle più immani condizioni di battaglia, l’opposizione al generalissimo è per definizione sleale, nel merito e nel metodo. L’attitudine orientalista, così magistralmente denunciata da Edward Said, è costitutiva dell’Occidente, ha radici antichissime e campioni moderni del calibro di Max Weber, Hegel e perfino Marx, e nel suo ambito è nata la stessa idea di una “opposizione” volta ad innescare, canalizzando il dissenso, quella dialettica democratica, di cui tanto fiera va la borghesia. In verità è proprio la separazione fra il civile ed il miltare che consente la nascita dell’idea di opposizione, di per sé inconcepibile in guerra, ma desiderabile in pace, entro quelli che chiamiamo i limiti costituzionali. Il dispotismo orientale non distingue la guerra dalla pace e dunque il militare dal civile. Solo il costituzionalismo occidentale, in questa narrazione, è capace di un tale mirabile miracolo per cui il dissenso rispetto al potere può vedersi formalizzato nell’“opposizione di Sua Maestà”, tramite la quale, fin dalla Rivoluzione Gloriosa, nella culla della civiltà occidentale, non solo si innesca la dialettica virtuosa di cui si pasce l’autonarrazione orientalista, ma perfino si prepara la nuova classe di governo, che consente una successione pacifica nel potere all’insegna della rule of law.
Che questa narrazione sia falsa coscienza non è certo in dubbio, ma che questa falsa coscienza, come ogni forma di ipocrisia, costituisca un limite al potere brutale, per questo sol fatto desiderabile, è altrettanto vero. Era meglio credere, ipocritamente, nel diritto internazionale, inefficace nelle sue oltre ottanta condanne di Israele dal ‘67 ad oggi, soltanto in virtù del potere di veto degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza, piuttosto che sapere oggi, quando il veto USA per il cessate il fuoco non è stato posto, che comunque nessuno parla di inviare i caschi blu per bloccare il genocidio, come peraltro era stato fatto in Rwanda o a Sarajevo? Del resto i nazisti ipocritamente negavano la Shoa e il genocidio del popolo ebraico, nascondendolo dietro zone di interesse, mentre i sionisti perpetrano il genocidio di fronte a tutti senza alcuna ipocrisia!
Sta di fatto che, la terza decade del terzo millennio si è aperta con una cesura storica profondissima fra una era avanti-covid e una dopo-covid in cui nulla politicamente è più lo stesso. Nelle cosiddette democrazie occidentali, in cui l’ipocrisia civilizzatrice del costituzionalismo liberale aveva effettivamente offerto importanti garanzie alla libera opinione, si è inaugurata la stagione della costruzione del pensatore critico come nemico di guerra, militare traditore, la cui immagine pubblica va prima costruita nella menzogna e poi irrisa, marginalizzata, uccisa. In Italia Giorgio Agamben è probabilmente la vittima più illustre di questo cambio di stagione, in cui i limiti del dicibile sono invalicabili e difesi come i confini di Roma al momento della fondazione, perfino col sangue del proprio fratello. Tutti coloro che, nella stagione pandemica, hanno superato il limite del dicibile, anche solamente coltivando il dubbio e invocando la precauzione, sono divenuti nemici di guerra, irrisi e messi al margine, mantenendo soltanto, come unica possibilità di redenzione, l’essersi sottoposti al rituale dell’inoculazione, antidoto rispetto all’ostracismo mediatico. Il marchio di infamia no vax ha determinato, forme di autocensura degne di Sostakovic (così magistralmente interpretato da Moni Ovadia) nei più giovani e ambiziosi i quali, consapevoli o meno, hanno sospeso il proprio pensare critico con le solite forme di autoconvinzione. La virulenza dell’attacco e la costruzione del nemico hanno prodotto, soprattutto negli intellettuali più ctitici e articolati, ancorché opportunisti, sovrastrutture narrative confuse e balbuzienti, per scacciare i vecchi compagni, rifiutandone perfino la compagnia e certo il confronto anche successivamente quando soprattutto la questione palestinese dovrebbe aver riunito il fronte. L’ostracismo pandemico e la costruzione interamente mediatica del no vax come fascista (o, negli Stati Uniti, trumpista) ha reso molto difficile il ravvicinarsi fra i vecchi amici, in pandemia nemici. Ho sperimentato personalmente l’imbarazzo nei miei confronti di vecchi compagni che con me avevano condiviso l’esperienza del Manifesto o della campagna referendaria sull’acqua bene comune o ancora le lotte no tav in Valsusa, quando ancora essere no tav era stigmatizzato quasi quanto essere no vax. Mi sono sentito dare del rossobruno o del qualunquista “né di destra né di sinistra”, per giustificare il rigetto di ogni iniziativa di dialogo.
Mi pare evidente che le contrapposizioni novecentesche non hanno più alcun senso di fronte a rischi immani come la guerra nucleare o tragedie terribili quali quella di Gaza, o ancora derive autoritarie evidenti in un capitalismo della sorveglianza, che si serve alla bisogna di ogni strumento e leader sia esso di estrazione neofascista, neoliberale, o eco-opportunista. In una democrazia rappresentativa irrimediabilmente corrotta dal potere economico privato, le differenze fra destra e sinistra parlamentari (governo e leale opposizione di Sua Maestà) sono di natura puramente sovrastrutturale, riguardano lo stile della comunicazione ed il tasso variabile di ipocrisia, non la sostanza di politiche economiche, della guerra, della migrazione e del governo del dissenso largamente convergenti, imposte dall’Europa e sostenute anche dai principali sindacati.
In questo stato di cose, l’opposizione strutturale dovrebbe essere quanto più compatta possibile contro un comune “nemico”, quanto meno per recuperare un minimo di agibilità democratica. La triste verità è che ciò non avviene perché la “costruzione del nemico” ha funzionato, servendosi politicamente della strategia di Erode per uccidere nella culla qualsiasi tentativo di dare forza e senso politico a quel dissenso che capisce la necessità storica di abbattere i confini del dicibile. Qui infatti sta il discrimine fra chi crede alla politica come coraggioso sacrificio rivoluzionario personale dalla parte degli oppressi, degli sfruttati, dei deboli e degli inconsapevoli, nel solo interesse davvero comune alla nostra specie, quello delle generazioni future e chi invece preferisce, per interessi di diversa natura, spingersi solo fin dove ci si può spingere nella critica al sistema, restando tuttavia dentro il confine imposto dalla menzogna sistemica. È la strutturale incompatibilità fra Limonov e Brodskij, con quest’ultimo a ricevere il Premio Nobel. In Italia, ancora oggi, alla metà di questa nostra tristissima decade, i Brodskij condannano senza neppur conoscerla l’infamata costellazione no vax, mentre negli Stati Uniti ostentano amicizia verso Israele e il sionismo.
Col dire l’indicibile, rifiutare il rito, sia esso fingere di non vedere i devastanti effetti dell’inoculazione di massa, o astenersi dal pronunciare, prima di ogni intervento pubblico, la condanna ad Hamas per i fatti del 7 ottobre, si perdono amicizie, contatti, spazi di visibilità, opportunità e occasioni di carriera. Dire l’indicibile è tuttavia il sol modo di farsi strutturalmente nemici di un sistema che va abbattuto.
ENDOXA - BIMESTRALE POLITICA ENDOXA SETTEMBRE 2024 POLITICHE DELL'AMICIZIA/INIMICIZIA Ugo Mattei
