LA POLITICA DELLA SPADA TRA ETICA ED ESTETICA
EUSEBIO CICCOTTI
- Premessa.
In questo intervento ci occuperemo della prima stagione (2011) di Game of Throne (Il Trono di Spade) diretto da Tim Van Patten, sceneggiato da David Benioff e Daniel Brett Weiss. Gli episodi sono: Winter is Coming (L’inverno sta arrivando); The Kingsroad (La Strada del Re); Lord Snow (id.); Cripples, Bastards and Broken Things (Il giuramento); The Wolf and the Lion (Il lupo e il leone); A Golden Crown (La corona d’oro); You Win or You Die (Il gioco dei troni); The Pointy End (La guerra alle porte); Baelor (La confessione); Fire and Blood (Fuoco e sangue). Episodi tratti dal romanzo A Game of Throne (1996) di George R. R. Martin. La serie Game of Throne ha avuto otto stagioni (2011-2019), tratte dal ciclo di romanzi fantasy A Song of Ice and Fire (Cronache del ghiaccio e del fuoco, sempre scritti da Martin).
- Politica come potere
I tre racconti che compongono il plot della prima stagione di Game of Throne seguono la vita quotidiana di quattro aree medievali, con i rispettivi soldati: castello di Approdo del Re (sede del Re Roberto di Barathon I, capitale dei Sette Regni); castello di Grande Inverno (capoluogo del Nord, con a capo Lord Eddard (“Ned”) Stark (Lord Protettore, vassallo del Re); la Barriera, villaggio di confine dei Sette Regni, a difesa dai nomadi chiamati Bruti e da eventuali Estranei (creature di ghiaccio spietate, forse leggendarie o morti viventi): la vigilanza della Barriera è affidata ai Guardiani della Notte, in diretta dipendenza dal Re. Infine, la distesa di Essos, al di là della Mare Stretto, ove vive la terribile tribù dei Dothraki, con a capo Khal Drogo: un popolo di feroci cavalieri che ha il solo limite di non conoscere l’arte della navigazione.
Le quattro realtà sociali sono diverse per potenza e numero degli armati, ma i loro comandanti (per esempio: Re Roberto, il capo dei Dothraki, il comandante dei Guardiani della Notte) hanno in comune l’esercizio della violenza e della morte attraverso sgozzamenti, amputazioni, decapitazioni, necessarie per mantenere l’ordine ed esercitare il potere.
Quello però in cui la lotta politica è condotta con azioni violente, omicidi in cui i corpi sono straziati, disarticolati, decapitati, con teste issate su alti bastoni, come monito per il popolo, avviene particolarmente nel regno di Approdo al Re, segnatamente dopo la morte di Re Roberto (verrà avvelenato), quando al potere sale suo figlio, lo schizofrenico e cattivo quindicenne Joffrey (ma di fatto chi muove le fila è sua madre, la diabolica regina vedova Cersei e suo fratello Jaime, legati da un rapporto incestuoso). L’estrema violenza (su cui torneremo) cui ricorrono i fratelli ha lo scopo di ribadire un assunto presente in tutte le comunità o popoli in cui il potere del capo è privo di un qualsivoglia filtro democratico (consiglieri o comandanti cui è consentito esprimere un “parere”). Del resto, Raymond Aron ci ricorda che tale tipo di gestione del potere monocratico è stato sempre presente nella storia.
«[…] tutte le società, tranne quelle primitiva, hanno conosciuto una concentrazione del potere, la consegna a uno o ad alcuni della capacità di fissare delle regole o infine prendere delle decisioni, in fatto o diritto per tutti. Un uomo trascina la collettività in guerra contro un altro: gli altri membri della collettività subiscono le conseguenze di questa decisione al punto di rischiare o sacrificare la loro vita in combattimento» (Raymond Aron, La politica, la guerra, la storia, il Mulino, 2024, p.255).
Naturalmente, sovente, nella storia, come nelle vicende rappresentate in Game of Throne, la conduzione del potere per scopi politici e militari inscena una sua grammatica sociale dei fini che non sempre collima con i valori etici, quali, per esempio, la verità, l’obiettività, l’onore, per tacere della assenza della pietà. Quali siano i rapporti di potere, ossia la politica “estera” in questo caso, nella dinamica della subordinazione o vassallaggio del principato Grande Inverno di Lord Stark in relazione al potere centrale detenuto da Re Roberto Baratheon I, lo spettatore lo apprende, in forma didatticamente chiara, dalla conversazione tra la piccola Arya, figlia ottenne di Ned Stark, e quest’ultimo.
Ma facciamo un passo indietro recuperando l’antefatto (episodio The Kingsroad). La famiglia Stark è ospite del Re, nel castello di Approdo del Re, per ufficializzare la nomina di Lord Stark a Primo Cavaliere (sorta di primo Ministro) da parte del Re: questi e Ned Stark, si danno del tu, hanno combattuto in passato come comandanti quando erano entrambi Lord, sotto il precedente regno, quello del Re Folle (assassinato). Visita in cui si ufficializzare anche il fidanzamento tra il principino Joffrey Baratheon e Sansa Stark, concordata tra il Re e il fedele Ned, al fine di rafforzare il potere delle due casate.
La piccola Arya, sorella di Sansa, che nel suo castello di Grande Inverno prende lezioni da un esperto spadaccino, qui, ad Approdo del Re, si sta allenando per gioco, con spade di legno, con altro bambino, il garzone figlio del macellaio di corte, Mycah, nel prato lungo il fiume, in prossimità del castello reale.
L’arrogante principino Joffrey (Jack Gleeson: perfetto come adolescente psichicamente disturbato) passeggiando con la delicata tredicenne Sansa Stark (Sophie Turner: abile nel passare dai toni innocenti del fidanzamento, successivamente, alla dignità di giovane donna matura di fronte all’assassinio del padre, Ned Stark), si avvicina ai due. Egli umilia il garzone e lo sfregia con la spada sulla guancia sinistra, con strafottenza e sadismo. Ma la meta-lupa, Nymeria, che mai lascia Arya, con un fulmineo balzo addenta la mano armata del tracotante principino e lo getta in terra. Ora egli piange. Subito, la decisa Arya lo immobilizza al suolo, sfoderando, stavolta, il suo spadino d’acciaio, tenendolo con la punta a dieci centimetri dal collo di Joffrey. Lo sguardo della piccola Arya è serio. Joffrey, improvvisamente, ha perso la sua vigliacca tracotanza, implora, inizia a piagnucolare, chiedendo pietà. Arya, pur essendo ancora bambina, mostra una espressione adirata da adulta. i suoi occhi trasmettono indignazione per quello che ha fatto il principino al suo amico Micah. C’è suspense. Joffrey è sempre più terrorizzato. Micah, lì acanto, sanguina. La sorella Sansa, innamorata di Joffrey, grida e ordina alla sorellina di non fare nulla a Joffrey. La piccola, dopo alcuni lunghi attimi di esitazione, ritrae lo spadino e se ne va con il suo amico ferito. Sansa, si inginocchia accanto al promesso, e si appresta ad assisterlo. Ma questi, di nuovo cambia espressione: ghigna e sbraita, come quell’adolescente viziato, complessato e bipolare che sicuramente è. Respinge l’aiuto di Sansa, ordinandole di chiamare qualcuno. Poi in serata il piccolo Micah sarà ucciso dalla guardia di fiducia di Joffrey.
Il fatto viene portato davanti al Re Roberto, alla (diabolica) regina Cersej, ai suoi figli, e, ovviamente, a Ned Stark, ora Primo Consigliere. Le versioni sono due: quella vera della piccola Arya e quella falsa di Joffrey. Il principino asserisce che la ragazzina lo abbia disarmato e lo abbia fatto aggredire senza ragione dalla sua lupa. Arya ribatte con vigore che non è vero, e gli dà del «bugiardo». Il Re chiede a Sansa la sua versione, la quale tentenna, sostiene che è confusa e non ricorda cosa sia accaduto esattamente. Naturalmente, sta mentendo contro la sua sorellina, che è indignata. Re Roberto chiude sentenziando, come Ponzio Pilato, che non si saprà mai quale sia la verità (pur sapendo che suo figlio mente). Ordina a Ned di calmare la piccola Arya troppo impetuosa.
Ebbene, nella conversazione del giorno dopo, tra Arya e suo padre, Ned Stark, la piccola non si dà pace, usa la logica supportata dalla obiettività dell’accaduto e reclama, forse senza esserne pienamente cosciente, la giustizia del diritto e il rispetto dei principi etici. Ma ecco come suo padre le risponde.
Ned Stark: «Tua sorella si deve schierare con il futuro marito, anche se lui sbaglia». Arya: «Ma come puoi lasciare che sposi un uomo del genere?».
La constatazione che, nella prassi politica, la virtù dell’uomo onesto, qui la verità, debba “tacere” di fronte alla menzogna, assurta a “ragione di stato”, e debbano applicarsi delle “anti-virtù”, viene da lontano, almeno da Machiavelli:
«[…] che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono chiamati buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che egli abbia un animo disposto a volgersi secondi che e’ venti della fortuna e la variazione delle cose gli comandano, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato» (Niccolò Machiavelli, Il Principe, Feltrinelli, 2024, a cura di U. Dotti, con uno scritto di G.W.F. Hegel, pp.178-179).
Tale situazione pragmatica, che definiremmo anti-etica, calata in un contesto antropologico e sociale particolare, in relazione ai valori dominanti del tempo, e alla contingente prassi nell’esercizio del potere, appare “giustificata”, come ci ricordano parimenti alcuni filosofi contemporanei, tra i quali Romano Guardini:
«[…] anche nelle epoche anteriori alla tecnica erano presenti tutte le possibilità di ingiustizia e di distruzione; solo che esse agivano dentro un sistema di vita che, per il suo carattere fondamentale organico ed armonico, le faceva apparire meno pericolose che nel tempo successivo» (Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, 2022, p.157).
3. Politica della violenza. L’omicidio politico.
Daenerys, la giovane sposa di Khal Drogo, incinta, è l’ultima figlia della casata Targaryen, quella che regnava sul Trono di Spade prima della sconfitta subita ad opera di Re Roberto. L’esaltato Viserys Targaryen, fratello di Daenerys, nella vana speranza di tornare sul trono, l’ha data in sposa a Khal Drogo, coraggioso e terribile condottiero di una forte tribù di guerrieri, i temuti Dothraki.
Per Re Roberto, la feroce tribù dei Dotharki (i cavalieri usano come arma una sorte di falcetto issato in cima ad una asta di metallo, con il quale squartano l’avversario) è da considerarsi assolutamente pericolosa: il futuro bambino un giorno potrebbe marciare contro la sua casata. Per tale ragione egli convoca un urgente «Concilio Ristretto», con i suoi figli, Lord Stark, (ricordiamolo: ora è una sorta di Viceré), e altri lord suoi fedeli collaboratori, per pianificare l’omicidio.
Re Roberto: La troia aspetta un figlio.
Lord Stark: Vorresti ammazzare una ragazzina?
Re Roberto: Vanno uccisi, madre e figlio in grembo. E quell’idiota di Viserys. […] Tutti morti!
Lord Stark: Così rinuncerai per sempre al tuo onore.
Re Roberto: L’onore? Debbo governare sette regni! Non uno! Un solo re per sette regni. Per te è l’onore che li fa rigare dritti? Credi che l’onore è mantenere la pace? È la paura, la paura e il sangue!
Varys (l’Eunuco chiamato “Ragno tessitore”): A volte per continuare a governare, si impongono atti orrendi per il bene del reame. Se gli dei dovessero concedere un figlio a Daenerys il reame sanguinerà.
Il Gran Maestro Pycelle: Mi ripugna uccidere la ragazza. Ma qualora i Dothraki dovessero invaderci, quanti innocenti perderebbero la vita? Senza parlare delle città in fiamme […].
Lord Stark: […]. TI ho seguito in guerra due volte. Ora non ti seguo. Il Robert che io conosco non tremerebbe davanti a un bambino ancora non nato.
Proviamo a vedere, da un punto di vista della filosofia politica se l’omicidio, pur riprovevole sul piano umano ed etico, possa essere giustificato per fini politici. Anche qui ci corre in soccorso la nota posizione di Machiavelli che ha dedicato al tema più di un passo, sia nel Principe che nella Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pargolo e il duca di Gravina Orsini. Nella Descrizione ci colpisce il freddo resoconto dell’esecuzione, da verbale, dello scrittore fiorentino: «Ma venuta la notte, e fermi li tumulti, al Duca parve ammazzare Vitellozzo e Oliverotto, e condottili in uno luogo insieme gli fece strangolare».
Mentre al capitolo III (Dei principati misti) del Principe, incontriamo la motivazione politica del delitto:
Quando sieno è facilità grande a tenerli, massime quando non sieno usi a vivere liberi; e a possederli sicuramente basta avere spenta la linea del principe che gli dominava, perché, nelle altre cose, mantenendosi costumi, gli uomini si vivono quietamente (…)» (Niccolò Machiavelli, Il principe, cit., p. 80).
Machiavelli torna sul tema anche nel primo libro dei Discorsi, in cui giustifica l’omicidio di Romolo nei riguardi di Remo in quanto lo fece per «il bene comune e non per ambizione propria» (N. Machiavelli, Discorsi, p. 86), poiché l’azione violenta fu compiuta non per «guastare» per «racconciare».
Ora, l’ordine di uccidere Daenerys, con il piccolo nella sua pancia, e suo fratello, ossia tutta la dinastia Targaryen, da parte di Re Roberto (poi andrà diversamente), vista dall’angolazione di un pericolo politico futuro, apparrebbe giustificato dalla logica politica del tempo, all’interno di una lettura storico-antropologica.
È interessante notare, però, che per creare una tensione narrativa per fini drammaturgici, gli sceneggiatori abbiano opposto a tale ragionamento, “logico” per il tempo, una lettura paolina, cristiana, e novecentesca, da parte di Lord Stark, ossia contraria all’omicidio. Incardinata nel concetto di rispetto della vita umana e di pietà. «Non accetto di uccidere una ragazzina!». Addirittura, tale scelta etica porta Lord Stark a rassegnare le dimissioni, restituendo a re Roberto, con un forte gesto ostensivo, davanti a tutto il Concilio Ristretto, la spilla di Primo Cavaliere.
Durante lo scontro verbale tra Lord Stark da una parte, e il Re e i suoi tra consiglieri, dall’altra, solo Lord Stark è inquadrato in piedi. Come a fronteggiarli da solo: e la regia lo inquadra in mezza figura, successivamente in primo piano, mentre gli altri sono dentro singoli piani ravvicinati, sempre seduti intorno al grande tavolo. Essi hanno la posa dei giudici di una corte e Lord Stark quella dell’imputato. Ognuno di loro ribatte alla assurdità di uccidere «una ragazzina», sollevate da Lord Stark, con motivazioni politiche e perfino di sicurezza “sociale”: «è meglio uccidere la madre con il piccolo che avere un giorno migliaia di bambini uccisi dai feroci Dothraki».
Passiamo ad un esempio di violenza esibita. Nel sottofinale (episodio della «Confessione»), Lord Stark è imprigionato da Joffrey (su istigazione della madre Cersei e di Jaime): egli ha scoperto il loro legame incestuoso, e in Jaime colui che ha tentato di uccidere suo figlio, ottenne, Bran, precipitandolo dalla torre (aveva per caso visto i due fratelli che facevano l’amore), causandogli prima un lungo coma, poi la paralisi delle gambe. Ora gli Stark, sono nemici interni e vanno eliminati.
Per Carl Schmitt [Le categorie del “politico”, trad. it. di P. Schiera, il Mulino, Bologna, 2013] la società diventa politica nel momento in cui la sua esistenza viene minacciata dal nemico e deve perciò affermarsi contro di lui, vale a dire quando si è in guerra. La reale possibilità della violenza costituisce l’essenza del Politico. La lotta non avviene solo tra stati ma anche all’interno di un singolo stato. Uno stato è politico anche internamente, in presenza di un nemico interno. (Byung-Chul Han, Topologia della violenza, nottetempo, 2020, p. 63)
Lord Stark dopo esser stato costretto ad accusarsi pubblicamente di tradimento, in cambio della vita, come promessogli da Joffrey, verrà invece da questi decapitato, e la sua testa impalata sui merli del castello di Approdo del Re. Sia Cersei che Jaime, consigliano al sadico principino Joffrey (non lo vediamo: lo immaginiamo) l’efferato omicidio, perché sentono, inconsciamente, che il loro potere sta perdendo forza. «Il dominio per mezzo della pura violenza entra in gioco quando si sta perdendo il potere […]» (Hannah Arendt, Sulla violenza, Guanda, Milano, 2024, p. 58).
Violenza tradotta dal regista Tim Van Patten, nel momento in cui Joffrey, passeggiando sulla cinta del castello, insieme a Sansa, obbliga la fidanzata ad ammirare la testa impalata di suo padre «finché mi compiaccio», tramite un montaggio di più angolazioni. Van Patten alterna due angolazioni in contre-plongée a primissimi piani, del volto angelico e addolorato di Sansa, alla Dreyer (La passione di Giovanna D’Arco, 1928).
- Estetica della violenza. Tra catarsi e mimesis
Sappiamo che nella storia, sia in guerra che in pace, per scoraggiare il potenziale nemico politico o militare, lo abbiamo visto ricordando gli scritti di Machiavelli, l’omicidio politico assolve a monito verso il nemico. Soprattutto se pubblicamente drammatizzato, oggi diremmo, “spettacolarizzato”. In modo che i testimoni oculari lo possano raccontare, e nel passaggio di bocca in bocca, spesso si aggiungano eventualmente tratti ancor più orripilanti; i disegnatori lo documentino; i menestrelli lo cantino; i teatranti di marionette o “pupi” lo inscenino, con scenografie espressioniste, portando la storia di villaggio in villaggio. Lo scopo repressivo del potere esercitato dal mandante dell’atto delittuoso, attraverso la comunicazione, è pienamente soddisfatto.
Insomma, quando Erodiade fa chiedere, tramite sua figlia Salomè, dopo la danza, la testa di Giovanni Battista ad Erode Antipa, «la testa fu portata su un vassoio» (Matteo 14, 11) fu mostrata ai presenti al banchetto. Nessuno si sarebbe permesso alcuna ironia sulla (illegittima) unione tra Erode Antipa ed Erodiade.
La spettacolarizzazione di un efferato atto omicida, con fini intimidatori e repressivi, si giova anche del rituale della esecuzione postuma. Nel 1661, in Inghilterra, tornata la Restaurazione monarchica al potere, per cancellare lo spirito democratico introdotto da Olivier Cromwell, la sua salma venne riesumata e, staccata la testa, questa fu impalata su una asta e issata sul tetto di Westminster, dove rimase per circa quarant’anni. La storia ebbe esempi di esecuzione postume, con fini di vendetta e ammonimento verso il popolo, sin dall’antichità. Leonida I, re di Sparta, venne decapitato e poi crocifisso, dopo la sua morte sul campo di battaglia alle Termopoli (480, a.C.). Purtroppo questo rituale “barbaro” ancora oggi si presenta nelle dittature del XXI secolo. La dissidente iraniana, Zahra Esmaili, nel carcere di Rajei-Shahr, nella città iraniana di Karaj, nel febbraio 2021 è morta per arresto cardiaco. Nonostante ciò il corpo è stato portato sul patibolo e appeso al cappio, come monito per tutte le donne iraniane che osano esprimere il loro libero pensiero.
In Game of Thrones lo spettatore deve affrontare azioni e torture emotivamente forti: lingue strappate; un pugnale che attraversa, da occhio al cranio, la testa di un abile spadaccino (la guardia personale di Lord Strak); teste decollate e conficcarle su alte aste (inclusa quella di Lord Stark); il mangiare, come rito iniziatico, il cuore di un cavallo, imbrattandosi di sangue il volto e le mani (è l’iniziazione “dura” di una principessa, secondo i Dothraki, per la delicata neo-sposa Daenerys). Sono violenze di despoti (la decapitazione di Lord Strak – un eroe positivo, un principe equilibrato-, ordinata dalla spietata Cersei e dall’esaltato Joeffrey); di scontri all’ama bianca, con amputazioni e asportazioni di parte del corpo, nelle battaglie.
Ci si pongono tre quesiti. Tale esibizione dettagliata della violenza rientra nel codice estetico del realismo o tende al “barocco”, alla esagerazione, alla spettacolarizzazione? Secondo quesito: la violenza esibita consente allo spettatore, tramite una messa in scena mimetica, di raggiungere la catarsi o la mimesi rimane congelata solo sul piano spettacolare (come spesso accade nel cinema fantastico-horror)? Terzo quesito: a cosa si deve il successo planetario della serie Games of Thron
Per dirla in termini nietzschiani, la catarsi non è garantita da un rilascio automatico di emozioni tragiche come la pietà e la paura ogni qualvolta assistiamo a rappresentazioni di violenza su un palcoscenico o quando su uno schermo vediamo corpi trafitti, fatti a pezzi, esplosi, ecc. Al contrario, la catarsi è piuttosto il prodotto di una complessa pato (-) logia mimetica intesa sia come pathos mimetico che come logo critico, sia come partecipazione affettiva che come comprensione razionale e che, una volta messa in movimento sistolico e diastolico da una complessa struttura narrativa, può avere effetti benefici. In sintesi, non sono le rappresentazioni della violenza in sé, ma l’interazione dinamica di pathos e logos, di azioni coscienti e di reazioni inconsce che, nel caso dei testi estetici con una struttura formale molto specifica, possono convertire le patologie violente, quando queste sono presenti in dose omeopatiche, in pato-logie piacevoli, istruttive e, potenzialmente, trasformative. (Nidesh Lawtoo, Violenza e catarsi. L’inconscio edipico. Volume I, Mimesis, Milano, 2024, p.197).
«La complessa struttura narrativa» di cui parla Lawtoo, nel caso di Game of Throne, riposa su una articolata struttura sintattica dei codici cinematografici. Innanzitutto il plot trova alimentazione continua dal montaggio alternato che porta avanti, sin dalla prima stagione, tre storie indipendenti che poi andranno ad intrecciarsi. La vita dei Guardiani della Notte sulla Barriera. L’incontro-scontro tra la casa di Lord Stark e del Re Roberto, da amici a nemici; l’evoluzione della tribù di Dothraki, dal matrimonio di Khal Drogo con Daenerys Targaryen alla morte del condottiero e all’ascesa della principessa “straniera”, inizialmente non accolta da tutti i capi della tribù. Il rapido passare da una narrazione all’altra tiene incollato lo spettatore.
Come tutti i racconti che generano tensione finalizzata alla catarsi, poi, c’è bisogno di inserire, alternandoli, momenti sentimentali, erotici, umoristici, a quelli drammatici e tragici. L’azione violenta in Game of Thrones solo talvolta è presente in «dosi omeopatiche» (Latwoo): per es., nella decapitazione di Lord Stark, la regia evita alla piccola Arya di vedere la testa decollata del padre. La violenza delle diverse azioni truculente, presenti nel racconto, risulta, piuttosto, diluita nel montaggio finale delle emozioni. E se tali azioni violente difficilmente si traducono in «pato-logie piacevoli» sicuramente possono attivare percorsi «istruttivi» (Latwoo).
Probabilmente il successo mondiale di Game of Throne è dovuto a una riuscita alchimia (al montaggio alternato dei generi di cui sopra) tra azioni di guerra e momenti sereni; tra sadismo e scene erotiche (etero e gay); alle perversioni normalizzate (Jaime: «i Lannister per generazioni si sono accoppiati tra fratelli e sorelle»); all’umorismo di alcuni personaggi (vedi Tyrion Lannister, il fratello “brutto”, è nano, di Cersei e Jaime); e, soprattutto, al ruolo di bambini sofferenti (Bran) o coraggiosi (Arya). Una sceneggiatura pensata per un variegato target psico-sociale.
- Conclusioni. Violenza delle immagini e coscienza civile.
Riassumendo. L’esibizione della violenza degli autori di Game of Throne, serie che ha riscosso un successo planetario, inserita in una tessitura narrativa dai codici fortemente realistici (=documentari), ad alto tasso mimetico, produce simultaneamente nel destinatario quattro letture semantiche dell’efferatezza. a) è correttamente letta come parte integrante del contesto storico; b) è considerata insita nell’indole umana; c) è, quasi sempre, “utile” (abusando del pensiero di Machiavelli) per fini politici; d) è soggetta alla comparazione nella scala della violenza attraverso i secoli, relativizzando il concetto di violenza.
Soffermiamoci un momento su quest’ultimo punto. La rappresentazione iper-realistica della violenza sul corpo umano potrebbe mostrare un problema prima filosofico e poi sociale, all’interno della formazione pedagogica dello spettatore-cittadino. La persistenza nell’immaginario dello spettatore/nella sua cultura di immagini riprodotte, di un corpo umano amputato, dilaniato, ridotto in poltiglia (con strumenti meccanici: mazze ferrate, tenaglie, uncini, armi da taglio o acidi), nel momento in cui attira la sua attenzione per la “perfetta” ricostruzione documentaria, attiva al contempo una scorretta comparazione storica all’interno dei gradi della violenza.
In altre parole, l’acquisizione di tali immagini violente, nella “cineteca mentale” del singolo destinatario, come “pezzi” di storia, usate poi in maniera acritica, lo possono indurre a considerazioni etiche discutibili, talvolta inaccettabili. Ecco che, per alcuni spettatori, i forni crematori di Auschwitz sono, “in fin dei conti”, una morte «più civile» (chi scrive l’ha sentito da studenti e adulti) delle morti inflitte alle vittime nei secoli passati, per esempio, «nell’arena del Colosseo». (Qui, dimenticando la “motivazione” della morte di sei milioni di persone). Lo spettatore medio, sovente, disassocia la relazione tra morte violenta e contesto storico-antropologico, dimenticando i secoli di democrazia che hanno portato al progressivo rispetto della vita umana, anche nel contesto di una (sempre inaccettabile) condanna a morte.
La sistematica lettura di Nidesh Latwoo, sulla funzione catartica del mimetismo delle immagini violente all’interno di un racconto strutturato, dovrebbe tener conto della comparazione storica “fai da te” dello spettatore.
In una sottile, inconscia e progressiva sostituzione del virtuale al reale, nel mondo della comunicazione digitale, l’eccessivo insistere sulla morte violenta è rischioso. Ossia, il ricavare piacere estetico dalle immagini violente (film, serie-tv, video musicali, videogiochi) potrebbe far diminuire, soprattutto presso i giovani destinatari, l’interesse per la filosofia del diritto e per l’etica delle virtù. Questo è il limite della scelta estetica di alcune “forti” scene di Game of Throne.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA SERIE TELEVISIVE Endoxa gennaio 2025 Eusebio Ciccotti Trono di Spade
