O SI VINCE O SI MUORE: LA FILOSOFIA DI TRONO DI SPADE

LUCREZIA ERCOLI

I Lannister e gli Stark o i Lancaster e gli York.

“I nostri svaghi sono finiti” e ora che si sono finalmente sedate le polemiche sull’ultima stagione possiamo tornare a riflettere su Games of Thrones e sulla sua grandiosa capacità di costruire uno degli universi narrativi e visivi più stratificati e complessi della cultura di massa contemporanea.    

Il mondo di Games of Thrones è un mondo in guerra, devastato da una lotta fratricida tra le famiglie dei Sette Regni per la conquista del trono. Un mondo in cui nessuna violenza è risparmiata: ciò che maggiormente caratterizza l’uomo, a differenza dell’animale, è la sua propensione alla crudeltà.

La casata – il ghenos direbbero i greci – è l’unico orizzonte di senso che definisce il codice etico all’interno del quale si forma l’individuo. Il sangue è il destino che orienta lo svolgersi degli eventi, dagli Stark ai Lannister, dai Baratheon ai Targaryen.

Un cosmos ordinato da frontiere reali e simboliche che escludono ciò che è estraneo. Infatti, un altissimo e gelido sbarramento, una sorta di Vallo di Adriano di ghiaccio, delimita le terre del Nord dove vivono gli Estranei. Una Barriera sorvegliata dai Guardiani della Notte nella speranza di fermare l’Alterità.

E tutti sono consapevoli che “l’inverno sta arrivando”. “Winter is coming” ripetono – ogni volta che si presenti una possibilità –  gli abitanti del Regno del Nord. E con l’inverno, forze oscure trasformeranno il cosmos in caos, l’ordine in disordine. “L’inverno del nostro scontento” non si trasformerà mai in “gloriosa estate”, come sperava il Riccardo III shakespeariano.

Games of Thrones è stato un affresco gotico che ha saputo mescolare storia e fantasia, realtà e letteratura, attualità e immaginazione. Le vicende di Westeros assomigliano alle cruente vicende della storia inglese e agli appassionanti intrighi del Rinascimento italiano.

La rivalità tra i Lannister e gli Stark somiglia– perfino nell’assonanza linguistica – al sanguinoso conflitto dinastico della Guerra delle Due Rose. Rivivono, accanto ai draghi e ai metalupi, i Lancaster e gli York. E sulle due casate incombe, come nella realtà storica, un terzo e imprevedibile elemento: i Tudor incarnati nella la regina dei draghi, ultima erede della stirpe dei Targaryen.

E dietro queste vicende storiche vengono rinnovati tradizionali modelli narrativi. I personaggi non sono classificabili all’interno della facile dicotomia tra bene e male, ma la complessità dei protagonisti deriva da uno scrupoloso realismo psicologico. 

In Trono di Spade, il conflitto tra angeli e demoni si svolge all’interno di ciascun personaggio. Il guerriero e la regina, l’eroe e la prostituta devono combattere con la stessa costitutiva ambiguità. In una lotta incessante con le paure più oscure, gli istinti più bestiali, le debolezze più innominabili. E, alternativamente, gli stessi personaggi suscitano stima e repulsione, simpatia e disgusto. Tra crudeltà e compassione, ogni personaggio è camaleontico; nessuno ha una natura definita e predeterminata.

La specificità della saga letteraria e della serie televisiva si annida proprio qui: nella possibilità di costruire nel tempo – volume dopo volume, episodio dopo episodio – le psicologie di queste personalità sfaccettate, fatte di dettagli, di vezzi, di gesti. Solo così il lettore e lo spettatore possono conoscere intimamente i tormenti dell’animo dei protagonisti nei quali riconoscono sé stessi.

È il dramma della caducità umana dove ogni personaggio è precario a sé stesso. Gli stessi spettatori sono stati sottoposti al trauma della perdita: l’appuntamento con il destino ha sacrificato anche gli eroi più amati sull’altare della Storia. Tutti i personaggi sono importanti, ma nessuno indispensabile per il dispiegarsi delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.

L’episodio che più ha scosso gli spettatori – il famoso red wedding della terza stagione – dove viene trucidata a tradimento metà della famiglia Stark, non è che una straordinaria messa in scena di un classico della storia rinascimentale. Una citazione dal Machiavelli che racconta la vicenda di Oliverotto Euffreducci, Signore di Fermo, che prima conquista il potere trucidando durante un banchetto in suo onore lo zio e tutti i notabili fermani e poi fa la stessa fine a Senigallia, la sera di Capodanno, strangolato per mano di Cesare Borgia insieme a tutti gli avversari del Valentino.

Anche l’apice della sesta stagione – l’episodio della “Battle of Bastards” , la battaglia tra l’esercito di Jon Snow, il bastardo di casa Stark, e le truppe di Ramsey, figlio illegittimo di Lord Bolton, usurpatore di Grande Inverno – non è stato solo un’impresa senza precedenti per una produzione televisiva, con un investimento di più di 10 milioni di dollari spesi in 25 giorni. La Battaglia dei Bastardi è costruita sul modello di epocali eventi storici del passato: dalla battaglia di Azincourt della Guerra dei Cent’anni alla battaglia di Canne durante la seconda guerra punica. La strategia militare di Ramsay, infatti, è esplicitamente ispirata a quella di Annibale che accerchia, con una manovra a tenaglia, le truppe romane e le distrugge bloccando tutte le vie di fuga.

 Un mondo spietato, regolato da un’etica barbarica, dove vige la legge del taglione, dell’occhio per occhio. Il diritto come esercizio della forza in cui i processi sono una farsa e le condanne scontate. Non esiste la giustizia, ma il farsi giustizia e la vendetta si impone come uno valore indiscutibile.

Il potere è un’ombra

In Game of Thrones si affrontano il tabù dell’incesto e l’inevitabilità del parricidio, la vendetta del ghenos e la punizione del fato, l’onore del guerriero e l’ambizione del sovrano, il dovere di ospitalità e il pericolo del tradimento.

E tutto converge verso un unico fine: il potere. La sua conquista spiega e giustifica ogni comportamento. Ma il potere non arride ai più forti, ma ai più accorti: va in scena l’eterno conflitto tra forza e intelligenza.

Le sanguinose vicende di Grande Inverno ci interrogano sulla natura metamorfica del potere. “Il potere risiede dove gli uomini credono che il potere risieda – dice l’eunuco Varys, il Maestro dei Sussurri – È un trucco. Un’ombra sul muro. E un uomo molto piccolo è in grado di proiettare un’ombra molto grande”.

In questa cruenta guerra di tutti contro tutti per la conquista dell’ombra più lunga, l’uomo deve farsi “sia volpe che leone”, deve essere pronto a muovere i pezzi sulla scacchiera anticipando e prevenendo la mossa dell’avversario.

In questa prospettiva, perfino le scelte più detestabili assumono una luce diversa se avvicinate al profilo del Principe descritto Machiavelli che – fedele alla ragion di stato – non può essere immune da una pragmatica e calcolata crudeltà.

Ogni decisione ha una zona d’ombra. D’altronde “decidere” – come suggerisce l’etimologia latina – significa “tagliare”: procurarsi una ferita che fa sgorgare il sangue. Non esiste decisione che non implichi sofferenza, non esiste scelta che non sia rischiosa. Ma senza sangue, senza sofferenza non può esserci vita.

Tra Falstaff e Robert Baratheon, tra Jago e Petyr Baelish, anche l’ombra di Shakespeare ha conquistato il suo spazio, contagiando tutti i personaggi. “Gli uomini non desiderano mai ciò che possiedono”, profetizzava Melisandre. Soltanto la sofferenza è la condizione di vita autentica; il piacere non può essere che un’illusione e un sogno. “La notte è buia e piena di terrori”.

Insomma, Trono di spade ha dato una forma narrativa contemporanea agli archetipi della storia culturale occidentale. Solo mobilitando gli intramontabili Omero e Shakespeare, Machiavelli e Freud possiamo intendere e comprendere la complessità del ‘gioco dei troni’.

Il gioco delle regine

“Valar Morghulis, tutti gli uomini devono morire” dice Missandei alla Madre dei Draghi. Che, senza scomporsi, risponde: “Sì, tutti gli uomini devono morire, ma noi non siamo uomini”. Le donne sono un motore fondamentale della narrazione di GOT, ribaltando molti stereotipi a cui erano abituati gli appassionati del genere fantasy.

La giostra del potere si è spesso fermata in mani femminili perché il mondo – spiegava Daenerys Targaryen a Yara Greyjoy – “sarà un posto migliore quando sarà governato da noi”. 

I personaggi femminili che popolano questo mondo parallelo non definiscono un monolitico universo che riproduce vizi e virtù tipicamente “donneschi”. Al contrario, gli stereotipi della femminilità si mescolano e si contraddicono.

Trono di Spade ci dimostra che non esiste un’unica definizione di “Donna”. Le donne sono forti e deboli, intelligenti e irrazionali, amorevoli e crudeli. Sono regine, guerriere, puttane, damigelle, amanti e madri. Senza melensi vittimismi.

Da una guerriera coraggiosa e fedele come Brienne Tarth a una spregiudicata vendicatrice come Ellaria Sand divenuta regina di Dorne; da una ragazza che deve perdere sé stessa per ritrovare la sua identità come Arya Stark fino alla saggezza della regina-bambina di Mormont che orienta le decisioni dei vecchi Signori di Grande Inverno.

Per finire con Sansa Stark che, più di ogni altra, ha subito una totale metamorfosi. È passata attraverso l’inferno fisico e psicologico, prima nelle mani dei Lannister poi in quelle dei Bolton, e si è trasformata. Il carattere si forma liberandosi dalle illusioni, attraversando la sofferenza e perdendo la purezza nel confronto con la crudeltà del reale.

Anche per le donne, l’unica giustizia possibile è la vendetta, altrettanto crudele e senza sconti. Per questo, Sansa promette al suo torturatore la pena peggiore: “Le tue parole scompariranno. La tua casata scomparirà. Il tuo nome scomparirà. Tutta la memoria di te scomparirà”.

Per questo Sansa non esita – seguendo la legge della retribuzione, in cui alla colpa corrisponde un’adeguata e speculare punizione – a far sbranare Ramsey dai suoi cani, che lui stesso aveva utilizzato per seviziare i suoi prigionieri. Insomma, “alleva i corvi e ti caveranno gli occhi”.

Una vendetta liberatoria e catartica anche per lo spettatore che – dopo aver digerito scene di crudeltà insostenibili – può utilizzare la giustizia dell’occhio per occhio, evitando processi garantisti, senza sensi di colpa.

La stessa terribile vendetta è preparata da Cersei Lannister per la sua torturatrice al servizio dell’Alto Passero. La vendetta non serve solo a riequilibrare i torti subiti e inflitti, ma è un’inestinguibile fonte di piacere.

Il gran teatro del mondo

Trono di Spade è stato davvero un grande Teatro del mondo in cui l’intera storia umana – passata, presente e futura – è stata rimasticata e ripensata sullo schermo. Poco importa sapere come è andata a finire la guerra tra le famiglie dei Sette Regni, poco importa se ci ha deluso la scelta del nuovo prescelto a sedere sul Trono di spade. 

Di fronte al tramonto dell’epoca d’oro della serialità e della quality tv che stiamo attraversando, non ci resta che rifugiarci in questo Medioevo fantastico ritornando – giusto il tempo di un rewatch –  a essere spettatori emancipati alle prese con narrazioni complesse.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA SERIE TELEVISIVE

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