OLTRE LO STATO DI NATURA:LA DIMENSIONE SIMBOLICA DEL CONFINE

NICOLA DIMITRI

1. È pressoché impossibile, se non al prezzo di improvvide e arbitrarie generalizzazioni, racchiudere in una sola definizione tutto ciò che Il Trono di Spade rappresenta. Dai regni ghiacciati oltre la Barriera a Grande Inverno, dai deserti di Essos agli intrighi di Approdo del Re, questa lunga opera — durata otto stagioni e dieci anni — non si limita, come molte serie, a spalancare finestre su uno specifico frammento dell’esistenza, né a raccontare in modo verticale le fissazioni, i dolori, le frustrazioni, o più in generale le vicende, drammatiche o meno, che ruotano attorno a un personaggio, o più.

Il Trono di Spade, al contrario, è un universo narrativo complesso e stratificato che non solo, puntata dopo puntata, va ‘fisiologicamente’ espandendosi, ma cresce di volta in volta negli occhi di chi lo guarda (o riguarda).

In un continuo alternarsi di violenza, esoterismi, preveggenze, lapsus e falsi ricordi, in ogni episodio le emozioni umane si rivelano in tutta la loro patetica e irresistibile fascinazione. Come pure affiorano – con altrettanta chiarezza – le minacce di ordine entropico e antropico che, nella variegata geografia di Westeros e ben oltre i confini del Mare Stretto (con analogie che tracimano dalla fiction per lambire il mondo reale), in modo ciclico mettono in crisi ogni progetto di convivenza pacifica. Alimentando le disuguaglianze, l’egemonia dei pochi sui molti e il perpetuo scontro tra potere e libertà.

Probabilmente una delle maggiori virtù del mosaico narrativo de Il Trono di Spade, tratto dalla saga letteraria A Song of Ice and Fire di George R.R. Martin, è che, nella decade della sua messa in onda, si ha la sensazione che la realtà non si accumuli. Né finisca per scadere nel banale, o impaludarsi in un punto morto – dove lo spettatore continua a seguire gli sviluppi del racconto più per abitudine che per vivo interesse.

Al contrario, dimostrandosi refrattaria a qualsiasi forma di compiacenza culturale, ogni stagione racconta storie complesse e sfaccettate che intrecciando la religione alla psicologia; le speculazioni sull’anima agli esperimenti empirici; l’ossessione per il disvelamento della verità alla smania di promuovere continui occultamenti; e ancora, legando il discorso aristotelico al metodo scientifico, la politica alla religione, la psicologia al diritto, ha suscitato sin da subito un vivace interesse accademico. Tuttora inesaurito. (Viene però ironicamente da chiedersi: che non sia proprio questo enorme interesse accademico, al tempo stesso, la maggiore sfortuna della serie?)

E in effetti: la morte e la resurrezione di Jon Snow, le macchinazioni politiche di Varys e Ditocorto, le contraddizioni di Daenerys Targaryen, l’incestuosa relazione dei fratelli Lannister, il morbo di Jorah Mormont, le esperienze extrasensoriali di Bran Stark, il metodo di ricerca della verità di Samwell Tarly, il senso di giustizia di Arya Stark, la malattia mentale di Theon Greyjoy, l’utilizzo da parte dell’Alto Passero della religione come strumento di controllo sociale, sono solo alcuni degli innumerevoli spunti che hanno prodotto un’esplosione di studi sulle implicazioni filosofiche, giuridiche, storiche, politiche e psicologiche della serie.

Ne è una conferma l’iniziativa di Endoxa, che – a sei anni dalla pubblicazione dell’ottava e ultima stagione (la più criticata, ma anche la più seguita dal pubblico) – ha deciso di dedicare il primo numero del 2025 a questa serie.

Ma come si può affrontare un continente narrativo così vasto? Come scriverne senza soccombere alla sensazione di impotenza che emerge quando ci si confronta con qualcosa di troppo ampio, e come tale capace, al contempo, di generare una molteplicità di spunti e far smarrire l’orientamento? Ho tutto in testa ma non riesco a dirlo…titolava una canzone, non a caso strumentale e priva di testo, degli Afterhours.

Serve dunque una strategia di avvicinamento. E, forse, la migliore – o almeno, fingiamo lo sia – è quella dell’esploratore ingenuo che, di fronte all’immensità di un nuovo luogo scoperto, finisce per credere (o si accontenta di credere) che quel frammento di terra, quella minima regione che si apre sotto i suoi piedi, equivalga a tutto il continente.

Ma quali rischi si corrono quando si sceglie come strategia d’analisi di soffermare l’attenzione sulla corteccia di un singolo albero, scambiandolo poi per l’intero bosco?

Il rischio principale, forse, è quello di chiudere il discorso che si intende impostare nelle maglie strette, a volte asfittiche (e in certi casi e in certi luoghi, direi anche paternalistiche), di una figura retorica. Della sineddoche.

Tuttavia, seguire la via della pars pro toto, e dunque fare del frammento la totalità, può rivelarsi una mossa efficace per orientarsi nella cadre culturale de Il Trono di Spade. La frammentarietà, infatti, non è necessariamente un limite ma anche una possibilità. È il metodo con cui si può tentare di comprendere il senso di un’opera che, nella sua complessità, rifugge a interpretazioni univoche e delle volte appare alla stregua di un insieme di perle senza filo.

2. Fatta questa premessa, volutamente seria e forse persino eccessivamente “impegnata” – come se Il Trono di Spade fosse La montagna incantata o un altro grande classico della letteratura (ma l’approccio scientifico non dovrebbe scontare pregiudizi né fare distinzioni di genere!) – è ora opportuno entrare nel merito della questione e concentrarsi sull’elemento da cui intendo sviluppare il mio discorso: la Barriera.

Quali spunti di riflessione può offrire la Barriera? E in che modo è possibile leggere l’intera opera di Il Trono di Spade a partire da questo singolo riferimento?

La Barriera è la maestosa struttura di ghiaccio, alta oltre 200 metri, che segna il confine estremo di Westeros. La sua funzione primaria è quella di separare e, al contempo, proteggere le casate e il Trono dalle terre selvagge e sconosciute del Nord. Essa rappresenta, dunque, non solo un confine fisico – un imponente bastione difensivo presidiato dai Guardiani della Notte – ma anche un confine simbolico. La Barriera costituisce la linea di demarcazione tra il mondo “ordinato”, strutturato e centralizzato dei Sette Regni e quello caotico e primitivo che si estende oltre di essa.

A sud della Barriera, il continente è suddiviso nei Sette Regni. Benché questi differiscano per tradizioni, culture, religioni e valori, condividono un modello di governo sostanzialmente omogeneo, che può essere definito monarchico-feudale. Ogni regno è governato da una casa nobiliare che, legittimandosi attraverso la discendenza di sangue, esercita un potere quasi assoluto sul proprio territorio, pur riconoscendo una certa subordinazione al Trono centrale, simbolo della monarchia unificata di Westeros. (Come noto tra le case nobiliari si consuma una continua lotta per il potere).

A nord della Barriera, invece, si estendono le terre selvagge, un vasto e incontaminato territorio che, lungi dall’essere disabitato, ospita diverse e variegate popolazioni. Tra queste, i Bruti (wildlings), uomini liberi privi di un governo unificato; i non-morti (wights), creature animate da forze oscure; e gli Estranei (White Walkers), esseri sovrannaturali dalle misteriose origini. Questi ultimi, guidati dal sinistro Re della Notte, dopo secoli di silenzio si risvegliano, dichiarandosi pronti ad attraversare la Barriera per invadere i Sette Regni.

Nello stratificato universo narrativo de Il Trono di Spade, la Barriera assume dunque un ruolo centrale, trascendendo la sua mera funzione di confine geografico. Essa non si limita a segnare il margine tra i Sette Regni e le terre selvagge, ma si configura come una frontiera simbolica che separa opposti irriducibili: il noto e l’ignoto, l’ordine e il caos, la vita e la morte.

In questa prospettiva, la Barriera non è soltanto un elemento architettonico e militare, bensì un dispositivo epistemologico e ontologico che struttura la realtà di Westeros.

Dal punto di vista simbolico, la Barriera opera come un meccanismo di protezione del Sé, tanto individuale quanto collettivo, e come principio ordinatore della civiltà pseudo-organizzata di Westeros.

Il Trono di Spade, culmine simbolico del potere centralizzato, trova la sua giustificazione nell’esistenza di un ‘confine ultimo’ che rendendo costantemente percepibile l’idea di un’alterità ignota e radicale, realizza le condizioni di pensabilità e possibilità dell’ordine interno. In questo senso, si potrebbe affermare che è proprio l’esserci del confine, materiale e simbolico, a giustificare l’esistenza di un’autorità sovrana. Incaricatasi, o auto-incaricatasi, di proteggere ciò che si trova all’interno dall’ombra delle forze oscure e ignote che si muovono all’esterno.

Per gli abitanti e i regni di Westeros, la Barriera rappresenta un indice rivelatore di una minaccia esistenziale comune che, proprio in quanto condivisa, giustifica la necessità di un organismo sovrano centrale, capace di esercitare un potere organizzato entro un determinato spazio. Del resto, come avrebbe sottolineato Carl Schmitt, l’unione di una collettività – nonostante le tensioni e le fratture interne – è possibile solo attraverso il riconoscimento di ostilità comuni: una comunità si costituisce come corpo politico unitario nella misura in cui riconosce di avere nemici comuni e comuni minacce esistenziali da contrastare.

Il vero nodo narrativo di Il Trono di Spade si sviluppa del resto proprio nel momento in cui la Barriera viene insidiata e inizia a dimostrare la sua potenziale vulnerabilità.

Per i Sette Regni, il suo eventuale crollo non implicherebbe soltanto la perdita di una difesa strategica, ma segnerebbe la dissoluzione dell’ordine simbolico dell’autorità. La dissoluzione del Trono.

Con gli Estranei, a differenza di quanto accade tra le diverse casate nobiliari, non si può scendere a patti, né utilizzare la retorica. Essi rappresentano il luogo dove il lógos non ha presa e la parola diventa lettera morta, simbolo muto che non può essere usato per aprire una via che, in caso di controversia, sia terza; né per comporre gli interessi nell’ottica del mutuo vantaggio; né ancora, la parola, o la retorica, può essere utilizzata per promuovere inganni, tradimenti, avvelenamenti e congiure.

È in questa prospettiva che la Barriera, quale luogo che separa (anche) il mondo della parola dal mondo del silenzio, è un luogo decisivo. È il luogo che tiene uniti (mentre li divide) symbolon e diabolon.

È forse attraverso queste due categorie che a tutta prima possono essere meglio chiarite le implicazioni della Barriera nella distinzione tra il mondo civilizzato, a sud, e il regno del caos che si estende al di là di essa.

Il termine symbolon (dal greco sym-ballein, “gettare insieme”, “unire”) designa un principio di connessione e integrazione, attraverso il quale elementi distinti vengono ricondotti a un’unità superiore e condivisa. Il simbolo, appunto. Il simbolo costituisce il luogo della relazione e anche il processo mediante cui si costruisce, attraverso l’incontro tra identità distinte ma non irrelate, un orizzonte allargato, inclusivo (non per questo irenico): con e attraverso il simbolo la pluralità riconosce un punto comune nelle differenze.

Il diabolon (dia-ballein, “gettare lontano”, “disgiungere”), invece, incarna il principio opposto, ossia la forza che separa, divide, frammenta. Esso introduce una frattura insanabile, annienta la grammatica simbolica e, di conseguenza, disgrega i punti cardinali attraverso cui si costruisce il riconoscimento reciproco.

È in questo senso che la “caduta” del mito dell’invalicabilità della Barriera segna una crisi nella struttura simbolica del potere di Westeros. Potere fondato tanto sulla cifra simbolica del Trono quanto sull’immagine di una forza centrifuga superiore, di una minaccia potenziale produttrice di caos (diabolon), sempre pronta a manifestarsi.

3. E invero, alla luce di quanto sinora detto, occorre chiedersi: ci si può davvero limitare a questa interpretazione?

Pur essendo valida l’interpretazione che contrappone la dimensione simbolica di Westeros all’elemento caotico incarnato dal regno dei Bruti e degli Estranei, è possibile sviluppare una lettura alternativa o, meglio, integrativa, di questo discorso?

La Barriera non separa solo l’ordine e il disordine, il symbolon dal diabolon, ma realizza un’interazione più complessa e intensa tra queste due categorie assieme al concetto di potere.

Emblematico, in tal senso, è il dialogo tra Baelish e Lord Varys:

Petyr Baelish: “Il reame. Sai cos’è il reame? Sono le mille spade dei nemici di Aegon, una storia che ci raccontiamo più e più volte, finché dimentichiamo che è una menzogna”.

Lord Varys: “Ma cosa ci rimane, una volta abbandonata la menzogna? Il caos? Un abisso spalancato pronto a inghiottirci tutti”.

Petyr Baelish: “Il caos non è un abisso. Il caos è una scala”.

Il dialogo sopra riportato, se inserito nel più ampio contesto dell’eventuale superamento della Barriera da parte dei popoli del Nord, suggerisce che il vero caos temuto dalle casate nobiliari – e, di conseguenza, dal potere costituito – non risiede tanto (solo) nell’arrivo degli Estranei, quanto piuttosto nella possibile rivelazione al popolo – attraverso gli Estranei – che il fondamento stesso della legittimità del potere a Westeros sia, in ultima analisi, nient’altro che una mera costruzione narrativa.

Il potere monarchico si è infatti consolidato (anche) attraverso la perpetuazione dell’idea di un pericolo esterno e ignoto, capace di condurre a una vita di stenti o, addirittura, all’annientamento collettivo. Qualora questa minaccia dovesse rivelarsi, verrebbe meno uno dei pilastri su cui poggia l’intero ordine politico e sociale del continente: lo spettro di un pericolo esistenziale.

Il caos, pertanto, non si configura esclusivamente come una forza distruttrice, ma anche come un elemento sovversivo, in grado di minare gli interessi del Trono e di ogni forma di autorità sovrana.

Esso può essere inteso, come afferma Ditocorto, come una “scala”: un’opportunità per altri di conquistare il potere o, più radicalmente, come un dispositivo in grado di smascherare le narrazioni su cui si fonda l’architettura stessa del potere e dell’autorità. In questo senso, emblematica è la celebre riflessione di Varys rivolta a Tyrion: “Il potere risiede dove gli uomini credono che risieda. È un trucco, un’ombra sul muro”.

In tale prospettiva, il ‘crollo’ della Barriera può essere interpretato come la dissoluzione di una menzogna fondativa. Come la dissoluzione di quell’espediente narrativo che ha consentito a determinate casate e, più in generale, al potere monarchico, di legittimarsi nel tempo.

Non è un caso che i dialoghi della trasposizione televisiva dell’opera di George R. R. Martin siano intrisi di un profondo cinismo nei confronti del concetto di legittimità politica.

Sullo sfondo dell’intera serie emerge un messaggio chiaro: l’autorità non è altro che una costruzione narrativa, un racconto imposto da un’élite dominante a scapito della comunità, e sussiste solo nella misura in cui gli individui sono indotti a crederci. Che essa si fondi sulla discendenza reale, sul favore divino, sulla ricchezza, sull’acclamazione popolare o sulla forza militare, rimane comunque una costruzione.

Personaggi come Ditocorto, Varys e, in alcune circostanze, lo stesso Tyrion esplicitano questa visione. Il regno esiste finché vi è ordine e finché tale ordine viene percepito come l’unico possibile e accettabile.

Il caos, dunque, non spaventa per la sua potenzialità distruttiva, ma per la sua capacità di svelare gli inganni su cui si costruisce l’altare del potere e dell’autorità, destabilizzando così lo status quo e dando vita a nuovi equilibri e a nuove proposte regolative.

In questo contesto, il motto della Casa Stark, “L’inverno sta arrivando”, acquista un valore simbolico ancora più profondo.

Non si limita a evocare una minaccia universale, ma funge da potente dispositivo politico che legittima il potere delle casate dominanti, rafforzando il loro controllo sulla società. Oltre la Barriera si troverebbe l’inverno, una sorta di stato di natura dal quale occorre proteggersi, un luogo in cui gli esseri umani sono sì liberi, ma esposti alle asperità della vita e alla costante minaccia della morte. All’interno della Barriera, invece, la società si presenta come ‘civilizzata’, o quanto meno caratterizzata da una vita che, a differenza di quanto accade nelle terre selvagge, viene ritenuta più sicura e potenzialmente prospera.

Ma è davvero così? Lo stato di natura è realmente più ostile della cosiddetta civiltà di Westeros?

Nel corso della narrazione, lo spettatore ha l’opportunità di osservare più da vicino la società degli abitanti del Nord, considerato “selvaggio”, primitivo e oscuro. I Bruti, pur privi delle comodità della civiltà, rivendicano con orgoglio la propria indipendenza e il rifiuto di gerarchie imposte. Gli uomini liberi si considerano liberi proprio perché non si assoggettano a strutture istituzionali rigide e respingono qualsiasi sistema di caste.

Dove si colloca, dunque, il vero “stato di natura”?

Le strutture politiche di Westeros e la monarchia dei Sette Regni si rivelano spesso oppressive, producendo tiranni disposti a radere al suolo intere città – si pensi, ad esempio, a Daenerys Targaryen – indifferenti alle sofferenze della popolazione e privi di empatia, immersi in una lotta perpetua, di matrice hobbesiana, che richiama il motto plautino dell’homo homini lupus: una condizione di conflitto incessante, in cui ciascuno combatte per la propria sopravvivenza all’interno di una civiltà che, in teoria, e all’opposto, dovrebbe garantire sicurezza e ordine attraverso l’autorità.

L’ordine stabilito a Westeros, pertanto, si fonda su una falsa narrazione della realtà e della minaccia. La Barriera è funzionale a questo ordine, poiché mantiene vivo il timore che un supposto stato di natura possa travolgere l’ordine costituito, rivelando come il mito del caos serva unicamente a legittimare l’intoccabilità di determinati poteri.

In definitiva, lo stato di natura, che in realtà si configura come una costruzione concettuale, si rivela un espediente attraverso il quale si giustifica la conservazione della ricchezza e del potere nelle mani di chi già li detiene.

Se la Barriera crollasse, allora crollerebbe anche l’illusione di un ordine giusto e necessario attraverso la monarchia, lasciando spazio a una nuova riflessione sulla natura stessa del potere e sulle sue fragili fondamenta. Ciò aprirebbe la possibilità di un ritorno vantaggioso alla moltitudine di Io. Aprirebbe perfino all’idea che possa essere molto più vantaggioso condurre una vita in una condizione pre-politica e pre-istituzionale, come tale priva di autorità chiamate a organizzare la società, anziché condurre un’esistenza all’interno di un sistema che mentre dichiara di proteggere la vita, incatena, con il terrore, gli esseri umani ad un futuro privo di emancipazione.

In sintesi, la Barriera, meglio la possibilità che questa possa essere varcata, rappresenta le preoccupazioni di un sistema di potere che teme improvvisamente di non essere più padrone a casa propria, e che gli possa scivolare dalle mani il monopolio della forza, dell’autorità e dell’ordine. Del resto, non c’è da dubitare sul fatto che se gli Estranei, estremamente più potenti di ogni gruppo umano di combattimento, avessero proposto ai reggenti dei sette Regni di lasciare impregiudicato il loro potere, anche a scapito di un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione, probabilmente i vari Baratheon, Lannister, Targaryen (e persino Stark?) avrebbero accettato di buon grado questa condizione. Forse, avrebbero, addirittura, visto di buon grado l’arrivo del ‘nemico’, che a quel punto non sarebbe più stata considerato come un invasore, ma come un collaboratore, un partner economico-politico.

L’originalità della serie risiede anche in questo. Nel mettere in evidenza ciò che la contemporaneità spesso oblia. Il concetto di autorità ha sempre, anche, un’anima marziale: per avanzare deve incatenare concettualmente, anche attraverso le logiche di un racconto, i soggetti nei cui confronti si esplica. Spesso sbarrando la strada, attraverso il refrain della minaccia esistenziale e della verità assoluta (depositata nella bocca del reggente di turno), al desiderio, alle logiche del sogno, all’idea di poter promuovere, attraverso una lettura positiva della dimensione del caos, un progetto politico autenticamente alternativo.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA SERIE TELEVISIVE

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