SIAMO TUTTI BRANDON STARK:LA MORTE DELLA CULTURA DI MASSA E L’ABISSO SERIALE

TOMMASO ARIEMMA

Per le piattaforme streaming – in modo particolare per Netflix –  vale il celebre aforisma di Nietzsche, secondo cui “se scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”.

Siamo, infatti, passati dal guardare le serie tv all’essere “guardati” dagli algoritmi che fanno funzionare le piattaforme di queste stesse serie.

Game of Thrones è stata l’ultima grande serie, l’ultimo fenomeno di massa seriale (è ancora la serie più piratata e più commentata della storia delle serie televisive), a essersi chiusa prima della rivoluzione dello streaming. Tuttavia, il modo in cui si è chiusa può dare una lettura del presente decisamente rivelatrice. Del resto, proprio Game of Thrones si è prestata, più di altre grandi serie, a diventare una lente per leggere il mondo contemporaneo.

La serie si è rivelata, fin da subito, “buona da pensare”, un vero e proprio specchio metaforico per leggere il nostro tempo.

Pablo Iglesias Turrión, tra i fondatori di Podemos in Spagna, ha usato Game of Thrones come un supporto per il suo programma politico. Celebre è il dono del cofanetto delle stagioni al Re Felipe VI in visita al Parlamento europeo nel 2015, affinché il suo re potesse comprendere lo scenario politico del proprio paese.

In Italia, a partire dal 2019, Giorgia Meloni ha esplicitamente fatto riferimento a Game of Thrones nelle sue campagne politiche. Meloni stessa è stata definita dal doppiatore e conduttore televisivo Pino Insegno –  dopo essersi cimentata nella recitazione di un monologo all’interno del suo programma –  come una sorta di Daenerys Targaryen, tra le più note e “utilizzate” protagoniste della serie (anche Iglesias, di tutt’altra parte politica rispetto a Meloni, si era in più occasioni richiamato al suo personaggio).

Un filosofo come Kant avrebbe detto che la serie funge bene da “esemplare” per riflettere su uno scenario ampio e frammentato come il nostro, in cui è difficile orientarsi. L’entusiasmo collettivo che Game of Thrones ha suscitato la rende un prodotto-evento – per citare ancora Kant – “che non si dimentica più”. Certo, Kant ne Il conflitto delle facoltà con queste parole non si riferiva a un’opera d’arte, né poteva riferirsi a un prodotto seriale. Ha usato questa espressione in relazione all’entusiasmo per la Rivoluzione Francese, al fatto che ciò che accadeva moralmente nella testa degli spettatori, ossia di coloro che non vi avevano preso parte attivamente, fosse più importante della Rivoluzione stessa, perché la visione, cioè l’immaginario che alimentava, era più pregnante, gravido di conseguenze future, delle vicissitudini concrete dell’evento. Oggi Kant si sarebbe riferito, con molta probabilità, proprio all’entusiasmo suscitato da una serie tv e in modo particolare a Game of Thrones, per tutte le considerazioni politiche e geopolitiche che ha suscitato.

Oltre al personaggio di Daenerys, molti altri personaggi sono stati “utilizzati” come metafore e la serie nel suo complesso si è prestata a essere una rappresentazione efficace delle dinamiche del “potere”. Nel 2015, la rivista Time Magazine aveva in copertina Bush e Clinton con il titolo Game of Thrones, come a sottolineare che i rispettivi parenti avrebbero avuto un peso non secondario nello scenario politico a venire.

Tuttavia, un personaggio come quello di Brandon Stark – fratello minore del più eroico Jon Snow e divenuto nel corso delle stagioni una sorta di veggente-custode della memoria del mondo – è stato tra quelli meno interpretati e usati per comprendere il presente. Senza nemmeno considerare il fatto che tutto quanto accade nella serie accade come conseguenza di ciò che è stato fatto al piccolo Bran e che nell’ultimo episodio è lui a sedersi sul trono dei Sette Regni.

La sua figura è altamente simbolica di ciò che ci sarebbe stato da fare una volta terminata Game of Thrones: guardare i vari prequel della storia principale (come House of The Dragon) quando ne avremmo avuto il tempo e la voglia.

Rimasto paralizzato su una sedia e con la capacità di guardare momenti della storia passata dei Sette Regni, Brandon Stark incarna, infatti, lo spettatore ideale delle nuove serie tv, ma soprattutto lo spettatore ideale abbonato a qualche piattaforma streaming.

Sostanzialmente, come tutti noi, vive nel passato e del passato – delle grandi serie, soprattutto. Serie come I Soprano, Lost, Breaking Bad, True Detective, la stessa Game of Thrones e le altri celebri serie – che compongono ormai un vero e proprio canone seriale –  non torneranno più.

Il primo motivo, banale quanto fisiologico, è che il nostro cervello si è ormai abituato a quella qualità e non la percepirebbe più come l’ha percepita la prima volta. Nuove serie di grande qualità non mancano (come Watchmen e The Last of Us), ma niente, per il nostro cervello, sarà come quel primo periodo così innovativo e inatteso. Il secondo motivo è che quella qualità narrativa non è più così importante nell’epoca delle piattaforme streaming. Il nostro consumo della serialità è diventato decisamente più importante.

Nella primavera del 2020, la pandemia avrebbe dato la spinta finale all’affermarsi di ciò che è stato chiamato streaming culture.

Nel giro di qualche anno, a partire dal 2020, abbiamo assistito al crollo della cultura mainstream e all’affermarsi della cultura dello streaming: ognuno sceglie ciò che preferisce vedere, segue ciò che vuole seguire, non c’è più alcun “main”. Al suo posto ci sono tendenze diverse che riescono a intercettare un certo seguito, ma siamo diventati noi il prodotto seriale più interessante.

Si può dire che è morta la stessa cultura di massa (in un senso diverso, però, da quanto sostenuto da Vanni Codeluppi in un suo libro recente), perché è finita un’epoca caratterizzata da una cultura fatta da altri per le masse e si sta sempre di più affermando una cultura delle masse: orizzontale, frammentata, difficile da ridurre a unità, ma ottima da “profilare”.

Secondo Gérard Wajcman, la serialità contemporanea non è solo un oggetto di consumo tra tanti, ma il rispecchiamento della forma che ha assunto il nostro tempo come forma della crisi planetaria dei vecchi punti di riferimento, come forma incompiuta per eccellenza. A partire dal 2020, la diffusione e il moltiplicarsi delle piattaforme streaming ha reso ancora più estrema questa frammentazione.  Pertanto, mai come oggi abbiamo bisogno di una nuova energia critica, di una nuova capacità di visione unificante, che passi proprio attraverso quelle serie che meglio di altre rendono leggibile il mondo. Dobbiamo ritrovare la forza di tornare a guardare attraverso l’abisso.

ENDOXA - BIMESTRALE ESTETICA FILOSOFIA SERIE TELEVISIVE

Lascia un commento