IN/ATTUALITÀ DELLA SPERANZA CRISTIANA NEL PENSIERO DI JÜRGEN MOLTMANN

DARIA DIBITONTO

L’anno 2025 è anno di Giubileo ordinario, dedicato da papa Francesco ai «Pellegrini di speranza»: i cristiani sono pellegrini in cammino, lontani dalle comodità, in cerca di indulgenza, perdono, fratellanza e apertura fiduciosa al futuro. La speranza che «non delude» (Rm 5,5) è da sempre attuale nella Chiesa di Cristo, ma lo è ancor più nell’anno del Giubileo della speranza. Papa Francesco, nel suo recente libro La speranza non delude mai (2024), la descrive come «la carta d’identità dei cristiani, qualcosa che ci caratterizza e definisce […], quel filo che ci riporta all’àncora e che è fonte vitale di gioia». La speranza è «l’eredità del cristiano, che ci fa camminare “verso qualcosa”, verso l’incontro con Gesù. È una virtù che ci mette in movimento e ci fa camminare, perché la vita del cristiano è “in tensione verso”». Tuttavia, il 2025 è anche l’anno dell’attesa angosciosa del futuro: l’anno in cui Donald Trump inaugura la sua seconda presidenza con una serie di decreti esecutivi che sovvertono gli equilibri politici internazionali e l’Europa, sempre divisa nonostante l’Unione politica parzialmente realizzata, decide un piano di riarmo non unanime, che prevede la sospensione del patto di stabilità, portando ad un aumento consistente del debito pubblico dei paesi europei a discapito dei servizi pubblici e del benessere dei suoi cittadini, ma soprattutto rendendo più temibile la prospettiva di una nuova guerra mondiale che impieghi anche armi nucleari.

Jürgen Moltmann (1926-2024), teologo ecumenico proveniente dalla chiesa riformata, ha vissuto personalmente la tensione tra la speranza vivificante alimentata dalla fede in Cristo e la distruzione sperimentata durante la Seconda guerra mondiale, tra la giustizia promessa da Gesù nel regno di Dio e l’oppressione dei popoli nei regimi comunisti europei, ma anche nelle dittature militari dell’America latina. Scoprì Gesù e la Bibbia nei campi di prigionia inglesi, tra il 1945 e il 1948, dopo essere stato arruolato nell’esercito tedesco a 17 anni e aver sperimentato la morte del suo migliore amico durante i bombardamenti di Amburgo del ‘43; sposato con una teologa originaria della Germania Est, fece esperienza della dolorosa condizione delle famiglie tedesche in seguito alle drastiche limitazioni imposte dalla Repubblica Democratica Tedesca ai diritti dei suoi cittadini, tra cui quello a uscire dai confini del Paese, culminate nell’erezione del muro di Berlino nel 1961; collaborò attivamente al dialogo cristiano-marxista per il superamento dell’oppressione comunista. Famoso per la sua Teologia della speranza (1964) e per Il Dio crocifisso (1972), testi nei quali la forza della speranza cristiana diventa oggetto dei suoi studi, delle sue ricerche e il punto focale in base al quale rileggere l’intera teologia cristiana, incarnava egli stesso una potente Lebenslust che lo spinse a studiare, amare, lavorare sodo, far famiglia e carriera, impegnandosi in un’attività culturale e politica costante anche al di fuori dell’accademia. La sua Lebenslust si espresse sempre anche in doti carismatiche, pedagogiche, affabulatorie, che gli consentivano di contagiare le persone che incontrava con il suo entusiasmo, la sua voglia e gioia di vivere, il suo amore per la vita in tutte le sue sfaccettature e in tutte le occasioni di condivisione che la vita poteva offrirgli. Nel 1960 durante la consueta vacanza con la moglie sulle montagne svizzere rimase folgorato dalla lettura de Il principio speranza di Ernst Bloch, che ebbe l’occasione di incontrare a Wuppertal l’anno successivo. La sua riflessione sulla speranza era sì atea e svolta nell’ambito di una filosofia marxista, ma era anche intrisa di una prospettiva messianica le cui radici erano specificamente bibliche – Moltmann ha sempre sostenuto che Bloch fosse il filosofo tedesco del Novecento che più citava la Bibbia, in dettaglio e con perizia. Perciò fu Bloch a consentirgli di raccogliere la sfida che Il principio speranza implicitamente lanciava: sono consapevoli i cristiani che la loro è una “religione dell’Esodo e del Regno”? Sanno comprendere l’antica promessa di alleanza con Dio dell’Antico Testamento e la nuova promessa di risurrezione annunciata nella lieta novella del Nuovo Testamento come una perenne fonte di speranza per il presente? Sanno anticipare il futuro del Regno di Dio nel presente? Al fine di risvegliare la consapevolezza della specificità della speranza cristiana Jürgen Moltmann scrisse la Teologia della speranza, che ebbe immediatamente un grande successo. Come scrive lui stesso nella sua autobiografia «il tema era nell’aria» (2009, 126): erano gli anni del Concilio Vaticano II nella chiesa cattolica romana, che si apriva così alla modernità, e del Civil Rights Movement di Martin Luther King negli Stati Uniti, che otteneva grandi risultati nella lotta al razzismo; in Cecoslovacchia nasceva il socialismo dal volto umano e in America Latina il cristianesimo prestava sempre più attenzione all’oppressione delle classi più povere, anche in seguito all’esito della rivoluzione cubana del 1959, fino a far nascere poi, alla fine degli anni Sessanta, la teologia della liberazione. In Germania, invece, prevaleva ancora la mentalità difensiva tipica della politica della sicurezza di Konrad Adenauer, seppur il miracolo economico stava creando le condizioni per un cambiamento di mentalità. La forza della speranza abitava, secondo Moltmann, tutti questi nuovi inizi: essa consente di abbandonare il vecchio per dare inizio al nuovo. La speranza cristiana congiunge le speranze storiche in un cambiamento positivo con le aspettative escatologiche che oltrepassano le possibilità storiche e le forze umane. Il famoso discorso di Martin Luther King, I have a dream, esprime proprio questo congiungimento tra speranze storiche e speranze escatologiche:

Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorga e viva apertamente il vero significato del suo credo: Riteniamo evidente questa verità, che tutti gli uomini sono stati creati uguali… Ho il sogno che un giorno ogni valle verrà innalzata, ogni collina e ogni montagna abbassata… E che la gloria del Signore sia rivelata e tutte le creature di carne la vedano insieme.

La speranza cristiana si distingue dallo spirito dell’utopia blochiano perché fonda il futuro di risurrezione dai morti sulla promessa di Gesù Cristo, che anticipa il futuro Regno di Dio come ideale di uguaglianza nel presente e quindi dà la forza di lottare per cambiare la storia, superando la paura della morte e del fallimento. I tre concetti chiave della Teologia della speranza sono dunque: 1) il concetto di promessa divina; 2) l’idea di risurrezione del Cristo crocifisso come promessa di Dio per il mondo; 3) una comprensione della storia umana come missione del regno di Dio.

Il primo concetto si qualifica come promessa di alleanza tra Dio e il proprio popolo che, nata con l’Antico Testamento per Israele, viene universalizzata da Cristo, promessa vivente in cui Dio stesso si rende presente. In Cristo ciò che viene promesso e la promessa sono un’unica cosa: il presente di Dio. Cristo stesso è anticipazione della salvezza futura, rinnovamento della promessa e dell’alleanza già stretta con Israele, risurrezione dalla morte per salvare tutti i cristiani dal peccato. Con il suo libro successivo, Il Dio crocifisso del 1972, il presente di Dio in Cristo e nello Spirito Santo si qualificherà come šekhînâ, presenza di Dio anche nella miseria dell’esilio e della morte: nel libro dell’Esodo Dio si fa compagno di viaggio e di sventura precedendo il suo popolo “nella nube e nella colonna di fuoco” (Es 13, 21-22), facendo allestire un altare e una tenda dell’incontro con lui, per abitare in mezzo agli Israeliti, per stare accanto a loro nella sofferenza del cammino (Es 29, 45-46). Questo accento sulla šekhînâ è importante, perché è una linea interpretativa del cristianesimo che lo avvicina alle sue radici ebraiche e fa parte, per il tedesco Moltmann, di un cammino di riconciliazione con il popolo ebraico sterminato dall’esercito nazista di cui lui stesso ha fatto parte. La šekhînâ, nella tradizione ebraica, è presenza di Dio in mezzo al suo popolo, è dunque promessa presente della magnificenza futura del regno di Dio, presente di Dio che riempie di felicità anche la vita nella miseria dell’esilio e della sofferenza. Secondo Moltmann, il presente di Dio in Cristo e nello Spirito Santo può e deve essere letto come teologia cristiana della šekhînâ, promessa di Dio incarnata in Cristo e presenza dello Spirito del Dio che viene nella storia per salvarla.

Il secondo concetto chiave riguarda la risurrezione del Cristo crocifisso come compimento delle promesse di Dio e anticipazione in Cristo della salvezza promessa all’umanità. Nell’autobiografia Moltmann cita la frase di Paolo in 2 Cor 1,20: «In lui infatti sono diventate sì e amen tutte quante le promesse di Dio», frase che per lui è motivo di interpretare la risurrezione di Gesù come promessa universale della nuova creazione di tutte le cose. Il centro della teologia della speranza è dunque cristologico, è Cristo stesso con la sua promessa di vita dopo la morte attraverso la sua risurrezione, mentre il suo orizzonte è escatologico, è il futuro della nuova creazione di tutte le cose, il futuro dell’uomo e del mondo dopo la loro morte, quando Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28). L’escatologia alla luce della risurrezione di Cristo si distingue dall’ottimismo moderno, generato dalla fede nel progresso e nella tecnologia: Dio resuscita Gesù, suo figlio abbandonato e oppresso, condannato dai potenti del suo tempo, dunque la promessa che Egli stesso incarna crea futuro per gli oppressi, gli abbandonati e i condannati di ogni tempo, e per tutti i morti. «La speranza non dà soltanto la forza, come a Israele, di spezzare l’oppressione e cercare l’adorata terra della libertà. La speranza allontana anche le persone dalla loro patria, dalle loro amicizie e dalle loro case e le rende pronte a lasciare queste cose per cercare qualcosa di nuovo» (2009, 131). La speranza mette in contraddizione con tutta quella parte di realtà presente che non corrisponde al futuro di Dio: dà la forza di combattere le ingiustizie, di agire per portare la pace, di favorire la libertà altrui prima della propria, di trasformare la realtà in vista di un futuro di pienezza, di pace e di giustizia. Ed è così che si arriva al terzo concetto chiave: la comprensione della storia umana come missione del regno di Dio. È nell’orizzonte escatologico della speranza cristiana che, secondo Moltmann, la nostra realtà si presenta come storia nel suo significato più autentico e completo: la storia come missio, come missione del regno, che chiede ai cristiani di anticipare il futuro della promissio, un futuro che non si riduce alla ripetizione del passato nel presente e nel futuro, né che si appiattisce su un vago quanto indefinito “possibile”, che include indifferentemente il bene e il male, ma che si apre all’impossibile salvezza del mondo grazie all’intervento di Dio, che supera e trascende il destino di morte cui, evidentemente, va incontro l’umanità, rischiando di portare con sé l’intero pianeta terra, o buona parte di esso. La speranza cristiana, dunque, non chiude gli occhi davanti al pericolo in fiduciosa attesa di un al di là di salvezza che dipende principalmente dall’azione di Dio, ma coglie l’apertura al futuro della storia nella quale l’azione dei cristiani è essenziale per muoverla verso il regno di Dio, proprio abitando nel mezzo della sofferenza e del pericolo. «Là dov’è il pericolo cresce anche ciò che salva», scriveva Hölderlin, che Moltmann cita a più riprese. A ciascun cristiano spetta dunque oggi più che mai seminare parole di pace, farle crescere nella giustizia per scongiurare le logiche antagonistiche, svalutanti e oppressive che conducono alla guerra e rendere possibile un nuovo futuro.

ENDOXA - BIMESTRALE RELIGIONE TEOLOGIA

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