UN CASO DI ABUSO DI VENDETTA:UNFORGIVEN (1992, CLINT EASTWOOD)

EUSEBIO CICCOTTI

  1. Premessa

Se per postmoderno intendiamo il ritorno al piacere della narrazione, dopo gli sperimentalismi degli anni Sessanta e Settanta, orientato verso la ricerca di un intreccio classico (l’ex pistolero-bandito che torna alle armi per giustizia) rivisitato con diverse soluzioni (il male a fin di bene; la difesa della donna; il rispetto della prostituta, “scarto” della società; la condanna dell’uccidere per uccidere; dare la vita per un amico; il desiderio di espiare laicamente il peccato), allora Unforgiven (Gli spietati, 1992, Clint Eastwood) rientra sia storicamente che stilisticamente nella accezione di film postmoderno. In Unforgiven la vendetta del western classico, ossia l’applicazione della legge del taglione viene superata: ad un danno fisico, per quanto grave, si contrappone la morte dell’autore del danno.

  1. Unforgiven: l’intreccio

Siamo nella cittadina di Big Wiskey, Wyoming, 1880. Due cowboys, Quick e Davey, sono nel bordello della città. Quick, volgare e strafottente, sfregia ripetutamente la bella e dolce Dalilah, “colpevole” di aver riso sonoramente dopo averlo visto nudo. Davey, udendo le grida strazianti della ragazza, si precipita nella camera dove è l’amico e a fatica lo blocca: il volto della splendida Dalilah è un ammasso di carne aperto, ricoperto di sangue. La tenutaria, Alice, e le compagne subito soccorrono Dalilah. Il duro sceriffo di Big Wiskey, Little Bill Dagget (un feroce Gene Hackman), viene chiamato sul luogo del delitto. Studiato rapidamente il caso, visto che Dalilah non morirà, sentito Skinny, il proprietario del bordello, il quale mostra un contratto con cui Dalilah è tenuta a lavorare, si lamenta che ora nessuno vorrà fare l’amore con «una prostituta sfregiata», se non gratis. Questo danno economico va risarcito: Little Bill decide: Quick Mike, autore dello sfregio, dovrà portare, entro la primavera, cinque cavalli; e Davey, considerato (a torto) complice del reato, due cavalli. Il caso è chiuso.

Alice, la matura e battagliera donna che guida le sue quattro giovani colleghe, non accetta la finta punizione decretata dallo sceriffo. Unendo tutti i loro risparmi segreti, ossia 1.000 $, tenuti nascosti a Skinny, le prostitute, su idea di Alice, mettono su una taglia per far uccidere i responsabili dello sfregio. Alice fa passare la voce, per quanto può, in maniera riservata per tutta la contea e oltre (sino in Colorado).

Lo spietato Little Bill viene a sapere della taglia: non permette che altri, al di fuori di lui, istituiscano taglie nella sua cittadina e, inoltre, il caso di Dalilah lo considera chiuso. È pronto a far fuori qualunque cacciatore di taglie entri in città.

William Manny, detto Will, (uno delle migliori performance di Clint Eastwood: misurato nei gesti e parco di parole), è un vedovo, con due bambini; alleva alcuni maiali, qualche gallina, e coltiva un pezzetto di terreno nella prateria. Lo va cercare un certo Kid, presentatosi come nipote di un suo vecchio amico, un presuntuoso ragazzo aspirante pistolero, smanioso di uccidere, ma con problemi di vista (un versatile Jaimz Woolvett: dall’esaltazione all’autocritica). Kid gli racconta la triste storia della prostituta di Big Wiskey, ma ingigantendo il fatto: «l’anno sfregiata, le hanno cavato gli occhi, e le hanno tagliato le tette». Gli propone di andare ad uccidere i due cowboy, Will, al momento, non risponde. Il mattino successivo, dopo aver lasciato delle consegne ai bambini circa i maiali, li saluta dicendo che mancherà per due settimane. Percorre su un cavallo spelacchiato alcune miglia sino alla fattoria dal vecchio amico Ned (un asciutto Morgan Freeman), un uomo di colore, sposato ad una indiana. Gli parla del caso. Ned, non pare interessato. Poi vedendo che Will è deciso a partire, e considerando questi fuori allenamento con la pistola, lascia la sua vita tranquilla e, per amicizia, lo segue. Più avanti nel percorso, tra gialli campi di grano, ai due si unisce Kid.

Vanno a Big Wiskey per parlare con le prostitute. È sera, imperversa un terribile temporale. Nel saloon, che ospita al piano superiore il bordello, salgano Nick e Ned. Will rimane a bere qualcosa, è febbricitante. Arriva lo sceriffo Little Bill, lo perquisisce e, siccome gli trova una pistola che Will ha negato di portare con sé, lo disarma aiutato dai suoi vice-sceriffi. Lo massacra di botte, riducendolo quasi in fin di vita, convinto sia venuto in città per la taglia. I due compagni, al piano di sopra, sentito il fracasso, e messisi in salvo dalla finestra, recuperano Will steso bocconi sulla strada infangata, sotto la pioggia.

Successivamente, i tre pistoleri sorprendono i due cowboy che con altri stanno marchiando bestiame rubato: aprono il fuoco e Will uccide Davey, colpendolo più volte, essendo questi riparato dietro una roccia, dalla gamba al ventre: il ragazzo muore lentamente, a causa selle ferite, gridando la sua sofferenza nella valle. Ned appare molto turbato: decide di tornarsene a casa. Will e Kid, continuano. Vanno alla ricerca del secondo cowboy, Quick (lo sfregiatore), per ricevere la taglia. Verrà ucciso da Kid quando Quick, nei pressi di un ranch, esce per sedersi nella latrina per i bisogni. Kid, dopo l’omicidio, si sente svuotato: dichiara di non vuol fare più il pistolero.

Il giorno dopo, in una capanna lontano da Big Wiskey, dove normalmente i tre incontravano le prostitute per i viveri, i due ricevono i soldi pattuiti da una delle ragazze venuta a cavallo. Will ringrazia e, ad alta voce, dice «ora lo dividiamo per tre e porto la parte a Ned». La ragazza interviene: «Ned è morto». Will, si blocca, vuol sapere. Ella racconta. Ned, dopo l’uccisione di Davey è stato catturato dai suoi amici cowboy, sulla via di casa, e condotto in città. Qui brutalmente picchiato, fustigato e torturato dallo sceriffo Little Bill, fino alla morte.

  1. L’abuso della vendetta

Proviamo a capire da dove provenga il forte apprezzamento di Unforgiven da parte di critica e pubblico. La critica filologica ha a disposizione diversi riusciti snodi formali. Già la scelta dell’incipit con Quick e Davey al bordello: di notte, con tuoni e pioggia. Poi, alcune dotti dopo, Will massacrato da Little Bill, mentre striscia dal pavimento del saloon sin sulla strada, ancora di notte e sotto una inclemente pioggia. Due capolavori del racconto cinematografico del Novecento iniziano con la pioggia, simbolo di difficoltà da superare per i protagonisti: Der Letze Mann (1924, Friedrich. W. Murnau) e Rashōmon (1950, Akira Kurosawa).

Tutto il racconto è, poi, marcato da una dicotomia simbolica: esterni-pieni di luce/interni semi-buî. La vita nelle due fattorie; il cammino dalla campagna verso Big Wiskey; i campi di grano gialli; la tomba della defunta sotto un simbolico albero della vita su una collinetta versus bordello, ufficio dello sceriffo, cella, saloon, città di notte.

Luoghi collegati dal movimento di personaggi ben definiti, apparentemente semplici – il buono, l’amico di colore, il cattivo assoluto, la prostituta femminista, il presuntuoso giovane inesperto pistolero- ma tutti dalla doppia vita. Will nasconde un passato oscuro (ex violento pistolero, omicida «anche di bambini»), diverso da quello che ora è. Parimenti si dica per Ned, agricoltore sposato felicemente ad una indiana: ha accompagnato, anni prima, Will in diverse rapine e scontri a fuoco. Lo stesso iniziale rispetto della legge da parte dello sceriffo Little Bill, gradualmente, si rivela essere una maschera della sua inaudita violenza senza limiti, ancora incollata all’indole di ex-fuorilegge. Lo spettatore lo scopre nei pestaggi (nei riguardi di Will disarmato; del cacciatore di taglie, anch’esso disarmato, Bob l’inglese; di Ned (qui, sino alla tortura, morte e “affissione” del cadavere di Ned, sulla via della città). Alice, una prostituta dalla forte coscienza di classe. Finanche Dalilah custodisce in sé il recondito desiderio di un’altra vita: sogna un marito, una famiglia, l’amore vero (si innamora di Will, ma per pudore non lo confessa: si vergogna doppiamente: di essere prostituta e sfregiata per sempre).

Diversi i motivi della sceneggiatura (scritta da David Webb Peoples, approvata da Eastwood, produttore del film): amicizia tra bianco e nero; amore; rispetto della donna-prostituta; abuso di autorità; estremizzazione della violenza; viaggio di formazione in età avanzata. Andavano collegati, tali motivi, in un tema contenitore che li ricomprendesse tutti: quello della giustizia riparatrice o vendetta.

Tutto ruota intorno alla dimensione “etica” del personaggio principale. Perché Will, pacifico allevatore, accetta il “bando” delle prostitute? Per quale ragione si mette a fare il cacciatore di taglie? Inizialmente, ce lo ricordiamo, perché Kid ha mentito, ingigantendo il fatto. E, William, da anni “convertito” alla bontà dalla sua amata defunta moglie, ottimo padre, non accetterebbe che una donna venga violata. Secondariamente, per motivi più futili («Ho bisogno di denaro per sistemare i miei figli»), cui lo spettatore non crede. La terza ragione è la più motivante: da anni desidera, inconsciamente, di riscrivere il suo passato utilizzando, questa volta, la violenza a fin di bene. Il bando delle prostitute fa al suo caso. Gli consentirebbe, per la prima volta nella sua vita, una vendetta etica.

Entriamo ora nel meccanismo narrativo della vendetta di Unforgiven (lett.: “Non-perdonati”). Lo sfregio di una prostituta nel West americano, senza norme e leggi dettagliati, non era considerato un reato da lunga reclusione, né tantomeno da sanzionare con la morte del reo. Dunque, i sette cavalli donati in risarcimento (a Skinny, “proprietario” delle ragazze) si potevano, nell’Ottocento, considerare una giusta ricompensa.

Appare evidente come, a una analisi obiettiva nel rapporto offesa/pena, la vendetta nei riguardi di Quick e Davey, reclamata a gran voce dalle donne, va oltre la pena-risarcimento. Bisogna ricordare, tra l’altro, che Davey non ha commesso alcun reato. Qui non siamo nella casistica classica della vendetta, secondo la legge del taglione, attivata da gruppi rivali: «L’obbligo di vendetta, che incombe sul gruppo dell’offeso, costituisce la contropartita dell’obbligo fatto all’offensore e al suo gruppo di pagare il debito» (Fabrizio Sciacca, Vendetta e dovere, in «Etica & Politica», 20024, n. 3). L’assassinio di un membro appartenente ad un gruppo si “regolarizza” con la risposta omicida di un appartenente al gruppo oppositore.

Qui, Alice e le ragazze, formulano una richiesta di giustizia riparatoria esagerata, che assume i connotati di una giustizia ingiusta. Potrebbe esser credibile per il tempo (1880) e il luogo (Wyoming)? Non è escluso il verificarsi di abusi di vendetta nella vita dei piccoli villaggi disseminati nelle praterie e colline del West ottocentesco, centri urbani spesso privi di collegamenti diretti con città “capoluogo” di Contea. Cittadine sovente sprovviste di un giudice che esercitasse la legge con un codice sul suo tavolo, come iconicamente codificato dal cinema del western (giudice pronto, spesso, a scappare davanti a terribili banditi: cfr. Hi Noon, 1952, Fred Zinnemann). Ma, tecnicamente, la richiesta delle prostitute è illegale.

Ora torniamo in sala. Perché, nell’orizzonte etico dello spettatore contemporaneo, tale abuso di “giustizia riparatrice” (l’uccisione dei Davey e Quick), è accettata? Tale ‘condivisione’ la si potrebbe leggere in questo modo: lo sfregiare una bella ragazza equivale quasi a “ucciderla”: si distrugge la sua bellezza, la sua poesia, la sua dignità di donna. Non ultimo Dalilah è privata, per sempre, del suo unico mezzo di sostentamento: è ridotta ad un ammasso di carne non appetibile (dirà sconsolata, «nessuno vuole più venire con me»): ella è una morta vivente. Lo spettatore accetta, inconsciamente, durante la proiezione, l’abuso di vendetta nei riguardi dei due cowboy.

  1. Giustificare l’abuso di vendetta

Peoples ed Eastwood “giustificano” l’esercizio di abuso della giustizia riparatrice drammaturgicamente ampliando due aspetti nella attività di ricezione dell’opera da parte del destinatario co-autore (cfr. Roman Ingarden, Fenomenologia dell’opera letteraria, Silva,1970): l’aspetto psicologico e l’aspetto storico. Il primo fa leva sulla commozione dello spettatore di fronte al dramma del bel volto di Dalilah sfregiato orribilmente per sempre, privato di bellezza ed erotismo: tale esecrabile azione “grida giustizia” che si trasforma in un “giusto” abuso di vendetta.

Registriamo, secondariamente, un anacronismo semantico-concettuale che si traduce in possibile anacronismo storico. Peoples ed Eastwood fanno leva sulla coscienza della dignità e dei diritti della donna come oggi sono considerati universalmente dallo spettatore in sala, calandoli, però, in una storia di fine Ottocento, ambientata in un contesto ancora lontano dalla piena democrazia come intesa nel secondo Novecento. Ma, attenzione: questa “coscienza di classe” delle prostitute è un effettivo anacronismo storico-culturale? Ad una analisi attenta, parrebbe solo in parte. Gli sceneggiatori sembrano motivare la coscienza politica delle prostitute, se vogliamo avanti nei tempi, considerando che lo spettatore statunitense medio è a conoscenza di un dato storico-culturale piuttosto importante: nel 1869, il Wyoming divenne il primo territorio statunitense a proclamare il diritto di voto per le donne. Ma, lo ripetiamo, la rivendicazione del diritto alla pena-risarcimento non dovrebbe sconfinare nell’abuso della giustizia riparatrice.

Torniamo ora all’abuso della vendetta considerato dal punto di vista dei tre pistoleri, dopo le esecuzioni. A un certo punto del racconto, Peoples ed Eastwood, probabilmente, si rendono conto che la sceneggiatura sta imboccando soluzioni “antidemocratiche”: intervengono prontamente sul piano della conversione (‘cambiare direzione’) attivando un bilanciamento etico: introducono il sentimento del pentimento e il conseguente rifiuto del concetto di vendetta in toto. Sia Ned che Kid, infatti, dopo aver ucciso di due cowboy, dichiarano di essere disgustati della azione vendicativa in quanto tale.

Detto altrimenti, gli autori, offrono un contro-altare etico non potendo profilarne uno strettamente giuridico. Infatti, sappiamo che, giuridicamente, tecnicamente, nessun eventuale giudice di una città nel West ottocentesco, né tantomeno un giudice di oggi, condannerebbe alla pena capitale l’autore di una lesione fisica, per quanto ripetuta e devastante, nei riguardi di un soggetto altro.

  1. Ira, vendetta, giustizia: uno contro tutti.

Veniamo allo scontro finale. Little Bill, saputo della vera identità di Will, intende ucciderlo per invidia e gelosia, per mostrare a tutta la città che è il più temuto del territorio. Egli ci tiene a essere l’unico cattivo. Nel saloon, di sera, indice una riunione con i concittadini: all’alba partiranno per cercare e uccidere Will. Ma questi si presenta: entra nel saloon. Emerge lentamente dall’ombra. È lì per vendicare la morte ingiusta e oltraggiosa di Ned; si sente in colpa per aver reso sua moglie vedova. È disposto a morire. Will potrebbe evitare lo scontro fuggendo, scegliendo la via della bontà… Ma Little Bill e i suoi lo cercherebbero per tutta la Contea e fuori. Lo ucciderebbero davanti ai suoi bambini.

Nel momento in cui si reca nel saloon è in preda all’ira, quel sentimento che genere normalmente la vendetta? «Sin dai tempi antichi la vendetta è stata ricollegata all’ira. Per Aristotele la passione non può essere cancellata bensì solo temperata. […] nel De ira Seneca [al contrario] cerca di dimostrare la detestabilità dell’ira […]» (Paolo Broggio, Narrazioni della vendetta della giustizia, Academia, web). Certamente Will è in preda a tale sentimento: la morte di Ned esercita un terribile peso psicologico. Ma la sua è una ira fredda, razionale: Eastwood è un attore impeccabile, unico, nella mettere in scena la lentezza prima del caos (tecnica recitativa imparata alla “scuola” di Sergio Leone).

Will è disposto a morire per un amico («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici», Giovanni 15:13). L’ira e la vendetta scompaiono poiché solo tramite un regolare scontro a fuoco, una “giusta guerra”, si può fermare uno sceriffo che esercita la giustizia fuori dalla giustizia. Dal punto di vista del genere potremmo azzardare una lettura “religiosa”. Will è un ex-delinquente “convertitosi” in uomo di giustizia; Little Bill è un finto rappresentante della giustizia, con tanto di stella di latta, un autentico delinquente, mai convertitosi. Nel duello finale Will è rapidissimo: uccide Little Bill e i suoi quattro collaboratori. Gli altri astanti escono solleciti, senza opporsi, dal saloon.

  1. Conclusioni

Will, entrato nella vicenda di una ragazza indifesa come antieroe al servizio di una vendetta “esagerata”, alla fine diviene, per le prostitute e lo spettatore, senza volerlo, colui che esercita una “giusta” vendetta: un eroe del diritto. Ora, dopo il duello, eccolo di nuovo sul suo malandato cavallo, nella via centrale della città. È notte, piove ininterrottamente. Grida ad alta voce a tutti i cittadini: «Se toccherete ancora una prostituta vengo e vi ammazzo tutti!». Anche le prostitute, in mezza figura, (Dalilah in primo piano), di là dai vetri, con lo sguardo sereno, hanno sentito: osservano il loro eroe mentre si allontana sotto il diluvio, lavacro d’ogni sozzura di Big Wiskey.

CINEMA ENDOXA - BIMESTRALE

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