CITTADINANZA ALGOR-ETICA: PASOLINI E LA FRONTIERA MORALE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

GABRIELE DE FILIPPO

 

Pier Paolo Pasolini è stato uno degli intellettuali europei più radicali e profetici nel comprendere e denunciare gli effetti culturali, morali e simbolici della modernità tecnica. La sua analisi, fondata su una sensibilità poetico-politica, anticipa in molti aspetti le sfide che oggi l’intelligenza artificiale pone al nostro tempo. A quasi cinquant’anni dai suoi Scritti corsari, ci troviamo davanti a una nuova, e forse più pervasiva, mutazione antropologica: quella prodotta dagli algoritmi, dalla profilazione, dalla generatività automatica del linguaggio e delle immagini. È possibile oggi leggere Pasolini non solo come critico del neocapitalismo consumistico, ma come guida ermeneutica per affrontare una trasformazione più profonda: quella della soggettività umana nell’epoca dell’intelligenza artificiale.

La domanda di fondo che attraversa questo articolo è semplice e insieme drammatica: può l’intelligenza artificiale contribuire a un’etica del vivente, o ne rappresenta la dissoluzione finale? Pasolini ci invita, implicitamente, a non fermarci alle soluzioni tecnocratiche o normative, ma a indagare la relazione tra potere, linguaggio e coscienza. Lungi dall’essere un oggetto neutro, l’IA è un apparato di senso, una tecnologia del simbolico, un nuovo operatore ontologico e culturale. In questo senso, l’eredità pasoliniana può essere riattivata non per negare la tecnica, ma per situarla all’interno di un’etica della responsabilità, del multicodicalismo – inteso come apertura alla molteplicità dei codici comunicativi e simbolici – e dell’immaginazione critica.

L’obiettivo di questa riflessione è duplice. Da un lato, si vuole ripensare l’intelligenza artificiale alla luce della critica pasoliniana alla modernità: un potere che non reprime più con la forza, ma seduce con l’efficienza e l’omologazione. Dall’altro, si intende proporre un paradigma alternativo, in cui la relazione tra umano e macchina sia fondata non su logiche di dominio o subordinazione, ma su co-evoluzione, responsabilità e creazione condivisa.

1. La mutazione antropologica come premessa teorica dell’IA

Il concetto di mutazione antropologica, formulato da Pasolini nei suoi ultimi anni di vita e articolato soprattutto in Scritti corsari e nelle Lettere luterane, rappresenta una delle intuizioni più profonde e disturbanti del suo pensiero. Con esso, Pasolini intendeva indicare una trasformazione irreversibile della struttura profonda dell’essere umano, non semplicemente a livello politico o sociale, ma a livello antropologico, linguistico, simbolico e percettivo. Questa trasformazione, secondo il poeta, era prodotta da un nuovo potere — non più repressivo, ma seduttivo, non più fascista in senso classico, ma postideologico, camaleontico e tecnocratico.

“Non siamo più davanti al vecchio potere clericale o fascista, ma a un nuovo potere, che si presenta in borghese, pulito, razionale, democratico — e proprio per questo più pericoloso.” (Lettere luterane)

La mutazione, per Pasolini, non è semplice evoluzione: è rottura, discontinuità violenta mascherata da progresso, mutazione appunto. E il principale motore di tale mutazione era il consumismo tecnologico, ovvero quella forma di modernità in cui la tecnica si pone non come mezzo, ma come fine, in una deriva mercificatrice dell’immaginario e della vita stessa.

Questa diagnosi, pur formulata nei primi anni ’70, trova oggi un’eco sorprendentemente attuale nella condizione imposta dalla pervasività dell’intelligenza artificiale. Le IA non sono soltanto strumenti che “assistono” l’umano: sono dispositivi pedagogici, sistemi che insegnano come vedere, cosa pensare, come parlare, persino come desiderare. Si potrebbe parlare, dunque, di una mutazione algoritmica, che continua e radicalizza quella antropologica già denunciata da Pasolini. Oggi non si tratta più soltanto di perdere i dialetti, i volti contadini, la corporeità preindustriale. Si tratta di cedere la propria singolarità cognitiva alla standardizzazione dell’inferenza statistica, del ranking, della previsione. L’IA, nel suo modello attuale, non ci rappresenta, ma ci pre-forma.

Un esempio evidente di questa trasformazione riguarda il modo in cui le piattaforme digitali, supportate da IA, plasmano le identità individuali. In uno spazio in cui i desideri vengono anticipati e gli interessi suggeriti, il soggetto viene ridotto a una funzione predittiva, un pattern comportamentale che il sistema cerca di modellare, rafforzare e rendere monetizzabile. Questo è il passaggio chiave dalla coscienza poetica (intesa da Pasolini come tensione, frizione, contraddizione) alla coscienza calcolata (lineare, ottimizzata, prevedibile).

Un altro nodo cruciale è la perdita della realtà come esperienza condivisa, altro tema centrale nel pensiero pasoliniano. Per Pasolini, la realtà popolare, corporea, dialettale era qualcosa di irriducibile al consumo, qualcosa che resisteva perché non pienamente traducibile nel linguaggio del potere. Oggi, l’intelligenza artificiale alimenta una crisi del reale ancora più profonda, non perché ci separa dal mondo, ma perché ci offre versioni potenziate, seducenti e indistinguibili del mondo stesso. Con strumenti come i modelli generativi di immagini, testi e video, si arriva a produrre un “falso reale” (deepfakes, simulazioni, narrazioni artificiali) che sostituisce il reale nella coscienza collettiva. Oggi, il volto contadino — portatore di un’identità concreta, radicata nel lavoro, nella storia e nella lingua — è stato sostituito da un volto generato: artificiale, levigato, conforme agli standard visivi dell’estetica algoritmica. L’IA non elimina la differenza: la sostituisce con simulacri adattabili e vendibili, modellati per il consumo. Così, l’alterità viene disinnescata e ricodificata entro le logiche del mercato, rendendo ogni deviazione innocua, ogni diversità commercializzabile, ogni resistenza simbolica assorbita dall’ordine dominante.

Alla luce di tutto ciò, però, la riflessione pasoliniana non ci spinge necessariamente a rigettare la tecnica. In questo senso, la “mutazione antropologica” può essere rovesciata, o almeno interrotta, attraverso una nuova cultura critica della tecnica, che riconosca la sua potenza ontologica ma ne rifiuti la riduzione funzionale.

Nel contesto dell’IA, ciò significa rifiutare la naturalizzazione dei codici algoritmici come un dato di fatto e riscoprire la possibilità di costruire alternative: narrazioni differenti, forme diverse di coabitazione tra umano e macchina, spazi etici non predeterminati. Pasolini parlava della necessità di disobbedire ai linguaggi del potere; oggi potremmo parlare della necessità di hackerare l’ontologia algoritmica.

Occorre immaginare un’IA che non anticipi il desiderio, ma lo ascolti; che non chiuda il futuro in una previsione, ma lo apra all’imprevisto. Un’IA che non abbia la pretesa di sostituire la complessità morale del vivente, ma che contribuisca alla sua emersione.

2. Cittadinanza algor-etica e l’educazione alla resistenza simbolica

Uno degli effetti più profondi della diffusione dell’intelligenza artificiale è il progressivo ridisegno del concetto di cittadinanza. Se Pasolini negli anni ’70 denunciava la riduzione dell’individuo a consumatore, oggi siamo testimoni di un passaggio ancora più pervasivo: il cittadino come soggetto algoritmico, tracciato, profilato, anticipato nelle sue azioni. L’intelligenza artificiale, in particolare quella di tipo predittivo e generativo, ristruttura silenziosamente i rapporti tra individuo e potere, tra linguaggio e autonomia, tra esperienza e sapere.

In questa condizione, non è più sufficiente “regolare” l’IA dall’esterno con norme etiche: occorre pensare una nuova forma di cittadinanza — una cittadinanza algor-etica — capace di abitare criticamente, creativamente e moralmente lo spazio tecnico. Il compito, dunque, non è solo politico-istituzionale, ma profondamente formativo, culturale, poetico. Ed è qui che Pasolini può diventare nostro maestro, ancora una volta.

Il cittadino moderno, secondo l’ideale democratico, è colui che partecipa consapevolmente alla vita della polis. Ma nel mondo digitale, questo ideale si frantuma: l’utente non partecipa, ma subisce, spesso senza saperlo, le logiche dell’algoritmo. La cittadinanza viene ridefinita nei termini di una fruizione invisibile, dove l’accesso equivale al consenso e la navigazione si trasforma in auto-sorveglianza. Pasolini ci aveva avvertiti: “Ci si illude di scegliere, ma si obbedisce”.

Per questa ragione, la cittadinanza algor-etica non può essere intesa in senso tradizionale. Essa deve diventare una pratica di consapevolezza simbolica, un esercizio continuo di disidentificazione dalle narrazioni algoritmiche, una forma di resistenza che non si limiti alla protesta tecnica ma si radichi nella trasformazione immaginativa del rapporto umano-macchina.

Nel mondo pasoliniano, la scuola era già un campo di battaglia. Egli vedeva con chiarezza come l’istruzione si stesse trasformando da luogo di formazione critica a apparato di conformazione culturale. Oggi, lo stesso accade nel rapporto tra giovani e tecnologia. L’IA è presente ovunque — nei motori di ricerca, nei social media, nei sistemi educativi — ma raramente viene insegnata come oggetto di riflessione, come linguaggio da interpretare e trasformare.

Serve una nuova forma di alfabetizzazione algoritmica, che non si limiti agli aspetti tecnici (coding, data literacy), ma si estenda a una pedagogia della saggezza computazionale: un’educazione capace di integrare etica, estetica, semiotica e tecnopolitica. In altre parole: insegnare a rileggere il rapporto con l’algoritmo come si legge un testo poetico, con attenzione al ritmo, alle esclusioni, ai silenzi, alle scelte implicite, all’arte di formulare domande, consapevoli come nella domanda si celi il potere di orientare il senso e determinare l’esito della generazione.

Pasolini parlava della necessità di “difendere il corpo dall’omologazione”. Oggi potremmo dire: difendere la coscienza dalla standardizzazione algoritmica. Ma questa difesa non può essere soltanto reattiva. Deve essere creativa, capace di inventare nuove pratiche di interazione, nuove modalità di costruzione collettiva del senso.

Pasolini era convinto che la poesia potesse essere una forma di resistenza al potere omologante. Oggi, questa resistenza deve essere reinventata nel rapporto con l’IA. Non basta denunciare i rischi dell’automazione: occorre creare nuovi immaginari, costruire linguaggi alternativi, abitare le tecnologie con consapevolezza simbolica.

Il nuovo intellettuale non è più solo colui che scrive o insegna: è anche colui che interroga il codice, che interpreta il dataset, che inventa pratiche estetiche di disallineamento. È il mediatore culturale tra umano e macchina, tra dato e senso. Questo compito non è riservato agli specialisti, ma riguarda ogni cittadino: tutti dobbiamo diventare poeti della tecnica, ovvero capaci di trasformare la potenza algoritmica in una occasione per riformulare creativamente la nostra etica.

3. Governance Etica: oltre il controllo, verso la co-creazione

Tradizionalmente, la governance dell’IA è stata affrontata in termini di regolazione e sorveglianza. L’intelligenza artificiale è vista come un potenziale rischio per la privacy, la sicurezza, e la libertà individuale, e pertanto i regolatori politici e istituzionali si sono concentrati su modalità di monitoraggio e controllo: limiti di uso, normative per la protezione dei dati, restrizioni sull’uso di certe tecnologie.

Questo approccio, tuttavia, tende a ignorare il potenziale creativo ed emancipatorio dell’IA, e rischia di trattare la tecnologia come un nemico da tenere a bada, anziché come un alleato da guidare e plasmare. Il problema sta nel fatto che, per sua natura, l’IA tende a evolversi in modo imprevedibile, dando vita a soluzioni e risposte che non sempre si allineano con la nostra etica attuale. Se la governance si limita a imporre vincoli e limitazioni, rischia di perdere l’opportunità di plasmare un futuro in cui l’IA non solo rispetti, ma promuova attivamente una visione etica e sostenibile.

In sintesi, l’intelligenza artificiale, se intesa come una co-creazione etica e ontologica, può diventare una risorsa fondamentale per ripensare il nostro rapporto con il mondo e con gli altri. Seguendo le tracce lasciate da Pasolini possiamo immaginare un futuro in cui la tecnologia non sia più un nemico da temere, ma un partner in grado di amplificare le nostre capacità morali, cognitive e simboliche. La sfida che ci aspetta è quella di sviluppare una governance etica dell’IA che veda nella partecipazione attiva, nella responsabilità e nella co-creazione i principi fondanti di un mondo migliore, non solo per gli esseri umani, ma per tutte le forme di vita.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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