GIOCARE A FARE DIO? L’IA, LE SELEZIONI DEGLI EMBRIONI E LE NUOVE SFIDE BIOETICHE DELLA GENITORIALITÀ
LETIZIA PELLICIONI
La Diagnosi Genetica Preimpianto è una tecnica che può essere utilizzata durante la procedura di procreazione medicalmente assistita, si tratta nello specifico di un test che viene effettuato per rilevare possibili alterazioni genetiche o cromosomiche negli embrioni, prima del trasferimento nell’utero della donna. Durante la fecondazione possono infatti verificarsi delle alterazioni sul piano cromosomico che possono comportare l’insorgere di vere e proprie malattie che rischiano di influenzare il regolare funzionamento dell’organismo o persino determinare l’insuccesso della gravidanza. La DGP oltre a garantire una maggiore possibilità di successo della gravidanza, permette di ridurre il rischio di mettere al mondo bambini affetti da gravissime patologie. Tuttavia, anche quando non si ricorre alla DGP, il medico che segue il percorso di riproduzione assistita effettua comunque una selezione degli embrioni, basandosi sull’analisi morfologica, ovvero sull’aspetto esteriore degli embrioni osservati al microscopio. Negli ultimi anni, però, l’intelligenza artificiale sta affiancando e in alcuni casi potenziando questo processo decisionale, offrendo strumenti in grado di analizzare grandi quantità di dati e di riconoscere pattern che sfuggono all’occhio umano. L’obiettivo è migliorare la selezione embrionale, rendendola più accurata e predittiva, anche in assenza di diagnosi genetica. L’ integrazione tra ricerca e intelligenza artificiale è una tendenza che riflette un più ampio movimento verso la digitalizzazione della medicina riproduttiva, sollevando al contempo interrogativi etici e sociali di grande rilevanza.
In tale contesto, emerge con forza la necessità di interrogarsi sulle implicazioni che queste tecnologie possono avere rispetto al concetto di diversity: la selezione algoritmica degli embrioni potrebbe influenzare in modo più o meno intenzionale, le modalità con cui vengono definite le differenze umane ritenute desiderabili o accettabili. Le preferenze sia dei programmatori dei sistemi di IA, sia degli utenti finali aprono al rischio di eventuali visioni controverse della normalità, della salute, dell’abilità e del valore della vita. Inoltre, i futuri genitori che decidono di affidarsi ad algoritmi personalizzati per la selezione embrionale andranno incontro ad una grande responsabilità, dal momento che dovranno considerare una vastità di scenari ipotetici. La coppia, poi, sarà chiamata ad attribuire un valore differente a molteplici caratteristiche possibili del nascituro. Si tratta di un’operazione che può comportare per il genitore un costo emotivo elevato, se non addirittura insostenibile. È anche per questa ragione che le persone che desiderano un figlio potrebbero considerare più ragionevole affidare la scelta degli embrioni da impiantare completamente ad una macchina intelligente che opera sulla base di algoritmi “impersonali” programmati da società specializzate o da operatori sanitari del settore. È in questo quadro che dobbiamo considerare il rischio che l’uso degli algoritmi finisca per alimentare le disuguaglianze già esistenti. I bambini nati in seguito ad un processo di selezione potrebbero risultare individui potenziati, con una predisposizione genetica migliore rispetto a quelli concepiti sessualmente o senza selezione. In prospettiva, persino la nostra attuale concezione del mondo e delle categorie normative che lo regolano potrebbe subire una trasformazione radicale. Ciò che oggi viene considerato normale dal punto di vista biologico e cognitivo, in un futuro in cui la maggior parte della popolazione fosse costituita da individui potenziati, potrebbe essere ridefinito come una condizione di svantaggio o di deficit. Gli embrioni non verrebbero selezionati soltanto per caratteristiche legate alla salute, ma anche scartati se ritenuti portatori di tratti considerati non ottimali (per esempio neurodivergenti o con caratteristiche fisico-cognitive fuori dagli standard). Si rischierebbe così di rafforzare una visione eugenetica della riproduzione in cui la ‘disabilità’ è implicitamente trattata come una condizione da evitare, anziché una delle molteplici espressioni della diversità umana. Inoltre, non si può escludere il rischio che si introducano bias: l’apprendimento automatico, alla base di questo tipo di intelligenza artificiale, può introdurre distorsioni durante la fase di addestramento, portando a preferire determinati tratti morfologici associati a un maggiore successo di impianto. Ciò potrebbe penalizzare alcuni embrioni in base a fattori non patologici, come il sesso o il colore della pelle.
È fondamentale pertanto interrogarsi sull’impatto che queste tecnologie possano avere sulle nostre società liberal-democratiche. L’elevato costo della selezione embrionaria rischia infatti di accentuare le disuguaglianze sociali, poiché solo gruppi ristretti potrebbero permettersi di accedervi. Ne deriverebbe un divario crescente, in cui lo status socioeconomico influenzerebbe direttamente i vantaggi genetici e i privilegi, a scapito di chi rimane escluso da tali procedure. Questi soggetti, infatti, si troverebbero svantaggiati non solo in termini di opportunità formative e lavorative, ma anche nella possibilità di raggiungere i propri obiettivi, con il risultato di ampliare la distanza tra fasce sociali abbienti e meno abbienti, favorendo discriminazioni e persino il rischio di vere e proprie “caste genetiche”.
Al tempo stesso, però, occorre riconoscere che l’uso dell’intelligenza artificiale potrebbe offrire benefici significativi ai sistemi sanitari: diagnosi più accurate, processi decisionali più rapidi e minori margini di errore, con conseguenti vantaggi economici e maggiori probabilità di successo. È stato stimato, inoltre, che un uso molto più esteso dell’IA condurrebbe ad un risparmio del 5-10% della spesa sanitaria negli USA (nonché 200-360 miliardi di dollari l’anno), oltre che ad un’esperienza più positiva per i pazienti e un miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria. Considerando che ad oggi, la spesa pubblica per la sanità rappresenta la voce più onerosa nei bilanci statali, tali risparmi strutturali futuri rivestirebbero un’importanza strategica, liberando risorse che potrebbero essere riallocate in ambiti prioritari quali il sostegno sociale, la prevenzione e l’ampliamento dei servizi sociosanitari con il duplice beneficio di migliorare la qualità dell’assistenza e di razionalizzare l’utilizzo delle risorse pubbliche. Anche nell’ambito della riproduzione assistita i vantaggi sarebbero significativi. La possibilità di selezionare l’embrione con le maggiori probabilità di sviluppo ridurrebbe infatti il carico emotivo, limitando la necessità di cicli multipli di IVF, e alleggerirebbe il peso economico delle famiglie, grazie a una riduzione dei costi di laboratorio stimata intorno al 25%. Inoltre, i bambini nati da questo processo presenterebbero meno problemi di salute e, di conseguenza, un minor bisogno di assistenza medica.
Infine, se da un lato tali tecnologie promettono di aumentare l’efficacia delle tecniche di fecondazione assistita, dall’altro sollevano interrogativi profondi anche riguardo alle conseguenze per le donne. La maggior parte degli autori si sofferma sui vantaggi diretti per le donne che affrontano un trattamento per la fertilità. La selezione embrionale tramite intelligenza artificiale aumenterebbe i tassi di gravidanza, ridurrebbe i tempi necessari, migliorerebbe l’accuratezza nell’identificazione degli embrioni vitali, diminuirebbe lo stress psicologico ed emotivo dovuto dagli aborti spontanei e dai falliti transfer embrionali, abbasserebbe la fatica fisica e il costo economico, favorirebbe decisioni più consapevoli. Tuttavia, occorre considerare che, con la diffusione e l’efficacia crescente degli algoritmi per la selezione degli embrioni, la riproduzione sessuale potrebbe iniziare a essere percepita come meno desiderabile rispetto a quella artificiale. In questo scenario, il peso che grava sulle donne non è solo fisico, ma soprattutto morale. La scelta di non ricorrere a tecnologie avanzate per ottenere un bambino “perfetto” può generare sensi di colpa, ansia e ambivalenza, alimentati dal costante controllo morale e sociale che circonda la maternità. Spesso la donna si trova isolata nel suo vissuto, divisa tra l’obbligo implicito di compiere la scelta “giusta” e la pressione ad adeguarsi a standard sempre più elevati di perfezione riproduttiva. In questo contesto, il principio di autonomia decisionale rischia di perdere significato, poiché le scelte individuali sono fortemente influenzate da pressioni culturali e modelli tecnologici che stabiliscono ciò che è ritenuto accettabile.
In conclusione, possiamo leggere gli algoritmi per la selezione degli embrioni come un vero strumento di onnipotenza biopolitica. Non solo l’essere umano acquisisce un potere superiore, ma gli algoritmi vengono investiti di una funzione quasi oracolare: l’IA appare come un’entità in grado di decidere chi verrà al mondo e in quali condizioni. Il rischio, però, è che l’autorità dell’algoritmo venga interiorizzata come incontestabile, con gravi conseguenze per l’autonomia decisionale e il senso critico degli esseri umani. Se da un lato, pertanto, l’IA può alleggerire il carico emotivo dei genitori, dall’altro, con l’introduzione di macchine sempre più intelligenti, la possibilità di scelta rischia di trasformarsi in una responsabilità assoluta, accompagnata da sensi di colpa e angoscia in caso di esiti problematici. Sul piano sociale, poi, l’aspirazione a esercitare un dominio sulla specie umana minaccia l’idea stessa di diversità: la fragilità, come dicevamo, non trova spazio in un modello che tende a eliminare la disabilità. Sul piano economico, l’IA sembra incarnare la promessa di controllare perfino le variabili finanziarie, illudendo di poter garantire una sostenibilità totale. Tuttavia, l’accesso diseguale a queste tecnologie rischia di trasformare l’onnipotenza in un privilegio per pochi e in ulteriore vulnerabilità per molti. Infine, da una prospettiva filosofica, l’idea di onnipotenza si rivela intrinsecamente paradossale: significa davvero poter controllare tutto, oppure l’essere onnipotenti implica la capacità di autolimitarsi e di riconoscere l’impossibilità di dominare ogni variabile?
In definitiva, lo sviluppo di algoritmi per la riproduzione assistita mette in luce la complessità di un processo che oscilla tra rischi significativi e possibilità inedite. Più che un esito univoco, ci troviamo di fronte a un campo aperto, in cui la promessa di controllo convive con l’inevitabilità del limite. È proprio in questa ambivalenza che si gioca la sfida etica dei prossimi anni.
BIOTECNOLOGIE ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Endoxa settembre 2025 LETIZIA PELLICIONI Onnipotenza
