L’ESULE COSMICO

WhatsApp Image 2024-07-22 at 23.39.47PEE GEE DANIEL

Sta una crema a fluttuare quassù, in assenza di peso, appennicato sulla schiena, le grandi mani incrociate dietro la grande nuca, surroundato da un nero-nulla muto e sottozero, trapunto da minuscole capocchie di stelle che danno l’idea di essere state gettate lì intorno a sparpaglio da chissà quale colossale campesino astrale.
Ha dasvidaniato la blerde dunia da un bel pezzo ormai. «Earth, you’ve hurt my heart» canticchia tra sé, sebbene il vuoto cosmico non sia in grado di trasmettere il suono di quel suo blando lamento allitterante. Earth, you’ve hurt my heart…
∀ la sua destinazione, sin da quando si è staccato dall’esosfera terrestre ha deciso di scialarsela a quella maniera, vada come vada, senza opporre la benché minima resistenza al corso degli eventi, sdraiato sopra il vuoto, retroverticalizzandosi per forza inerziale da che fu banhammerato dal pianeta che tanto lovvava, né più né meno di un beone sbattuto fuori dal gestore del saloon attraverso la porta a soffietto.
Il suolo gli scappa via, da sotto la suola degli stivaloni alti fino al ginocchio. Il pianeta si miniaturizza sotto i suoi occhi, fino a ridursi a poco più di un pomo appeso a un filo invisibile, e mentre la Terra sembra si sgonfi come un palloncino non ben annodato la sua vista riesce ancora a cogliere, per l’ultima volta, le eruzioni vulcaniche che ne sconquassano la superficie, i maremoti che ne splashano le acque, i diluvi che lavano via il luridume dalle città gremite di persone.
Poi, da una certa distanza, a seconda del tempo che ci impiegano i fotoni a colpire i coni del suo occhio, inizia a rivedere i fatti che riemergono dal passato. È come riavvolgere un nastro lungo 77 anni…
Si allontana sempre più da quella vasta autospinnante palla di rocce, erbe e monossido di diidrogeno, talmente remota oramai che giusto il suo sguardo potenziato riesce ancora a catturare qualche sparuto dettaglio.
Il mantello che gli pende giù dalle larghe spalle, le frange attaccate ai guanti che gli fasciano i possenti avambracci rimangono rigide, come profilati metallici, salve quali sono da ogni forza d’attrito, lì nello spazio profondo.
Si trova ancora nella pancia del sistema solare. Il campo magnetico prodotto dal suo organismo, che lo imbozzola schermandolo dai dangerosi effetti delle radiazioni cosmiche, non gli risparmia però conseguenze più trascurabili. La parte izquierda del suo corpo, quella rivolta alla Stella Mà, sfrigola tenuemente. La tuta, burnata all’altezza del muscolo pettorale, del costato e del ginocchio ne fa intraocchieggiare la pelle combusta rimasta scoperta. Se ci fosse ancora un qualche vettore di odori, snasereste un profumino di bacon rosolato, poco poco che vi avvicinaste abbastanza. La temperatura del fianco derecho invece si avvicina allo zero assoluto, tanto da renderlo bluastro e vitreo, tel quel a un ghiacciolo gusto anice.
Uno degli appellativi più frequenti con i quali sin dall’inizio ci si rivolse alla sua bombastica figura è “l’Uomo delle Stelle”. Ora è tornato tra loro, tra quelle immense scoregge incendiate, anzi… è lui la vera star, là in mezzo, tanto clapclappato, wowowato per anni, per decenni, eppoi, tutto di colpo, slashato, bandito, sfanculato, imploso, pari pari a una supernova…
Il cielo stellato intorno a lui, la legge morale dentro e fuori di lui. Era lui il codice etico fino a una manciata di minuti fa, laggiù, sulla Terra. Ma fuori dal mondo, fuori dal consorzio umano, non c’è etica né morale. C’è solo più la natura, che nel momento in cui si parcellizza in esseri senzienti cerca solo la preservazione di se stessa attraverso predazioni, cannibalismo, faide per la sopraffazione di un individuo a spese dell’altro, e che quando è pura, inorganica, nirvanica, com’è lì, nel vuoto cosmico, a un migliaio di miglia di distanza dal primo Space-Motel in orbita geostazionaria, non è altro che esplosioni senza boati e gelo e oscurità.
Non fa alcunché per variare la velocità di crociera impartita al suo corpo dalla spinta che tutti insieme gli hanno dato, quel branco di bastardi squilibrati, emolinfa della sua emolinfa, alleatisi per sconfiggerlo e deliverarlo dritto filato fuori dall’atmosfera terrestre, lontano dagli umani, dalle loro miserie e dalle loro continue suppliche, libero dal giogo della gravità, galleggiante in quell’ambiente anecoico in cui ora origlia perfettamente il battito del proprio cuore, come un subwoofer, l’emolinfa che scorre attraverso vene e arterie, lo schiocco dei tendini, i denti che bruxano come un disco scratchato sul piatto del deejay.
I pori tengono come serre, chiusi, come tatante boccucce azzittite, così da creare una pressione interna sufficiente a non fare evaporare i liquidi fuori dal suo organismo.
Alla deriva sino alla morte termica dell’universo, potenzialmente, avvolto da quel vuoto insostanziale.
Il ciuffo rigido, spento per mancanza di ossigeno che faccia da comburente, gli occhi puntati su quel pianeta semi-oceano da cui è stato appena estromesso, dopo avervi arrecato pace e prosperità. Sic transit gloria mundi.
Ha rinnovato le leggi adeguandole alle esigenze della popolazione, ha stabilito la perenne cessazione di ogni guerra, ha limpiato il mondo dal crimine, ha assicurato a ogni cittadino maggiorenne un reddito universale che poteva dispensare dall’obbligo del lavoro chiunque lo volesse, ha bonificato l’ecosistema.
77 anni di quel paraíso in Terra che da sempre religioni, politica e filosofia avevano promesso invano alla specie umana. E poi? È bastata una piccola rappresentanza di consanguinei ribelli sputalaser e pisciagravitoni per riportare quella stupida gentaglia a uno stato belluino: con la bava alla bocca li smicciava, a gridargli contro, schierati alle spalle dei suoi figli, come se lui, Mister Okay, fosse diventato improvvisamente il male assoluto, e non coloro che lo stavano sfidando.
Patetica schiatta di ingrati, mumblemumbla abbandonato a questa inerte deriva, con i suoi occhi rosseggianti fissi sul pianeta Terra piccino picciò.
Più se ne allontana e più vede indietro, nel passato. Come la vecchia storia delle stelle ormai muerte di cui ancora scorgiamo il baluginio.
Rivede la propria cronistoria, i momenti salienti, li osserva stoicamente, senza ombra di astio o entusiasmo, come si trattasse dell’ologiornale della sera che riunisce davanti all’olovisore del tinello i membri dell’intera famigliola.
Ora è dalle parti di Saturno, a un’ora-luce di distanza dalla Terra, un bilione di chilometri all’incirca, 620 milioni di miglia.
Mister Okay, una montagna di muscoli cesellati, si staglia contro il pallido lucore emesso da quel pianeta hulahooppato, composto di gas compattati. Ci vorrebbe un cosmonauta con qualità di ritrattista per renderne tutto l’impatto visivo.
Da qui riesce a occhieggiare quel che accadeva giusto un’ora prima, lì, sul globo terracqueo…
Otto dei suoi figli, vestiti come i partecipanti a una festa in maschera LGBTQIA+, che lo accerchiano, lo pluribombardano da ogni parte di microonde, di energia ignea, di onde gamma, fino a stremarlo, fino a farlo patapumbare ginocchioni e poi, all’apice della sua debolezza, lo sollevano tutti insieme per sbatterlo fuori dall’orbita terrestre.
Ma quello che gli fa più male, più ancora dell’odio figliale, è il risentimento chissà da quanto covato ashashosamente dai sapiens sapiens, che approfittano di quell’azione parricida congiunta per appoggiare i suoi bastardi anziché lui, e decidere di sputtanare lo status quo a favore di una nuova forma di potere con la stessa leggerezza con cui si cambia un outfit venuto ormai a noia…
Continua a gagarinare, su, su, verso i margini del sistema solare, a dorso, immerso nell’immensa e oscura piscina dell’universo, senza neanche bisogno di sbracciare per procedere, mentre la dunia intanto sparisce lontano laggiù.
Voyager au bout de la nuit. In quest’enorme noche infinita…
Avanza a ritroso, proprio come le immagini del suo passato, che gli refreshano le cornee, a seconda di quanto si allontana: più distante è, più quanto vede risale nel tempo.
È a un anno-luce di distanza adesso: 9500 miliardi di chilometri, dov’è possibile slumare tutta l’area percorsa dai pianeti del Sistema Solare nelle loro incessanti rivoluzioni. L’orbita inclinata del pianeta nano Plutone, il vorticoso percorso turnato dai pianeti esterni intorno alle proprie orbite.
È da qui che reflasha quel che accadeva un anno fa, il giorno dei festeggiamenti del Big B-Day del 76 Okay On, nati per celebrare quando Mister Okay yokonò per la firstissima volta sul pianeta Terra. Ancora nessun accenno di rivolta per allora, neppure il minimo dissenso: l’intera popolazione mondiale squeezzata tutt’intorno al suo beniamino. Ovunque, dall’Eurasia alle Colonie extraterrestri.
Un raduno di miliardi di persone dislocato per l’intero globo apposta per festeggiare il proprio invincibile tutore. Migliaia di assembramenti umani che sembravano fare a gara per attirare la sua attenzione, nella speranza di essere i fortunati a cui andasse a far visita. Lo spettacolo di piazze e strade, nelle principali città di ogni continente, strippate di gente in tripudio. Folle euforiche che lo ossequiavano adoranti nelle loro parate multicolor.
Com’è stato possibile che nel giro di un anno la situa si ribaltasse a tal punto?!
Il triplice calore di α-Cerntauri quasi gli scortica il filo della schiena, mentre Mister Okay mantiene lo sguardo fisso su quel pianeta che ha llamato “casa” per quasi ottant’anni, una ventina di anni-luce lontano da lui ormai. Rivede un episodio avvenuto intorno alla metà degli anni 50 Okay On.
L’aveva quasi quasi obliata quella volta lì. Quando il Dottor BizBaz aveva riesumato e clonato numberosi dittatori, serial killer e mostri leggendari, aizzandoglieli contro. Ora può godersi l’intera scena, mandata al contrario, dalla tosatura a fuoco di Bigfoot e Yeti appaiati fino alla sonora scazzottatura di Stalin, Hitler e Mussolini. Ma ciò che più lovva in quella visione capovolta stava all’inizio: la massa di gente che, dopo (ovvero prima del) lo scampato pericolo lo osanna a una sola voce. Tutto ciò lo cardiointenerisce. Gli sollecita persino una nostalgica lacrimuccia. Che gli scivola giù per la gota. Pesante come una goccia di mercurio.
5 anni-luce dopo rivede quando ḥalāllò uno per uno i membri della Muslim Bro Corporation, a cominciare da quando copioso sangue rossovivo fontanellava fuori dagli squarci che Mister Okay aveva procurato con una minima pressione dei polpastrelli localizzata ai lati delle loro carotidi, a quando si erano paracadutati nella piazza centrale di Catchemall Capitol City avvoltolati da tubi di tritolo con l’intenzione di compiere una strage.
Ora si trova nella regione spaziale delle esocolonie di Gliese-12b, 40 anni-luce di distanza dalla Terra.
Ha fartato clamorosamente per swooshare sin quassù, giusto per accelerare un po’ i tempi. Tanto non c’è un elemento che possa trasmettere rumore o odori da queste parti, tanto meno qualcuno lì intorno con cui rischiare di rimediare una figuraccia. L’ha fatto per darsi la giusta spinta propulsiva, bisognoso com’è, ormai, di sempre più rincorazonanti immagini provenienti da un glorioso passato.
Da lì la sua ipervista capta le fasi finali della Guerra Fresca. Dall’ultima battaglia campale tra Eurussi e Cinamericani indietro, indietro fino al casus belli, motivato dalla corsa interspaziale all’approvvigionamento di materia prime e metalli preziosi conservati da meteoriti e asteroidi.
È come riguardare la telecronaca dell’ultima guerra nella storia del mondo. Dopo quella ogni conflitto sarebbe stato bandito, grazie agli sforzi di Mister Okay.
George Bush IV non voleva saperne di interrompere i combattimenti. «Noi siamo la più grande potenza mondiale, garantiamo un mondo libero e giusto» brontolava.
Solo le immagini possono attraversare lo spazio, proiettate dai raggi di luce, ma Mister Okay riesce a ricostruire il dialogo tra lui e l’ultimo presidente USA leggendo le labbra. In realtà è come ascoltare un disco al contrario per poi fare l’ulteriore sforzo mentale di riordinare le sillabe per come sono state correttamente pronunciate.
«Voi state scannando migliaia di persone innocenti» aveva eccepito lui, fissandolo dritto negli occhi (George Bush IV in quel momento montava un mustang bardato coi colori della bandiera unificata cinamericana).
«Ehi, tu, Ranger Volante,» era così che agli yankee sconfinferava llamarlo, «Sai qual era il motto del college dove ho studiato io? E malo bonum. Lo si leggeva all’entrata, proprio sulla facciata, appena arrivavi. Attraverso il male fa’ nascere il bene! Questo vuol blablare. In altre parole: non si fa una bella frittata senza crashare qualche uovo… Quando si è grandi quanto noi, è normale pestare qualche callo in giro di tanto in tanto, ma vedrai come ci saranno riconoscenti. Non sarà qualche perdita preventivata a ostacolare il nostro disegno generale. Cosa conta qualche vita nemica rispetto al bene ultimo?!»
Furono codesti blablamenti che portarono Mister Okay ad agire d’impulso: lo acchiappò per il giro del collo, lo trasvolò sino alla fureria militare più vicina, lo obbligò a trovare la divisa da soldato semplice della taglia adatta a lui e lo depositò in piena battaglia, costringendolo a baccagliare in prima linea.
Rivive con goduria quei momenti. L’unico problema è che, rivedendoli al contrario, gli viene spoilerato già il finale.
«Non puoi fare questo!» tentava ancora di salvarsi la pellaccia George Bush IV, lì, perso e tremolante, tra i bum-bam-bardamenti, i fischi dei proiettili, i mitra-laser.
E Mister Okay gli rispose come avrebbe potuto rispondere altre centinaia di volte: «Ah sì? E chi me lo può impedire? Tu?». E intanto se ne stava là in mezzo alla gragnola di colpi, a braccia conserte, la schiena diritta, il sorriso inalterato sulle labbra carnose, mentre i colpi gli rimbalzavano addosso come caccole di gomma.
Gli lanciò un vecchio fucile a pompa tra le mani: «Sbrigati, killa un po’ in giro anche tu ora, prima che sia qualcun altro a killare te».
Slumando GBIV farsela letteralmente sotto, aggiunse: «Puoi far finire la guerra quando vuoi, oppure puoi farla continuare, solo tu puoi decidere». Un paio di giorni dopo l’ultima guerra del mondo terminava ufficialmente…
È ancora parecchio preso da tutti quei déjà vu, che en verdad sono dei déjà vécu… tutto già visto, già vissuto, eppure a reflasharli flexa come se tutto questo stesse h-dendo ora… d’altronde, a ben mumblemumblarci, le acquisizioni della relatività generale sfociano naturalmente, sul piano filosofico, nella visione eternalistica (e deterministica) dell’esistenza: tutti gli istanti, dall’inizio alla fine dell’universo, compresa la propria nascita, il proprio fine-vita e tutto quello che ci sta in mezzo, esistono già e persistono eternamente in uno spazio quadridimensionale…
Lo uei-k una violenta onda di fononi, che lo investe improvvisa come una gigantesca sberla. È l’equivalente di un dispositivo acustico terrestre, qui nello spazio taciturno. A clacsonarlo è un’aviomobile per uso extraorbitale che gli sta sfrecciando accanto cercando di non cilindrarlo.
Una guccissima NæroLeD marrone moccaccino nuova di pacca. Le buildano direttamente lì, su Gliese-12b. Sulla Terra è una chiccheria possederne una. Il problema è che ci impiegano così tanto a essere teletrasportate che, alla fine dei conti, ti tocca pagare 5000 gigacoins per un catorcio che una volta che ti arriva è già un pezzo da robivecchi.
Mister Okay autostoppa un passaggio fino al pianeta, già che c’è. Non l’ha mai visitato. È curioso.
Ci sono volute otto generazioni longevodopate per colonizzare Dunia Dos, com’è stato ribattezzato, in via ufficiosa, il corpo celeste su cui ora stanno atterrando.
Otto generazioni, dalla prima, shuttlecanoneggiata fuori dal circuito terrestre, a quella che aveva terraformato il pianeta d’arrivo.
Tra l’una e l’altra, una mezza dozzina di generazioni di tecnici fornicatori tradotti dagli astrovascelli a propulsione quantica.
Tocca il suolo arancione di Gliese-12b dritto in piedi sul tettuccio della NæroLeD con le gambe divaricate e i pugni premuti contro i fianchi. Entrando nell’atmosfera satura di ossigeno, assicurato dalla robosintesi clorofilliana dei numberosi boschi di robodendri, il suo ciuffo si è riacceso, come per magia, il mantello appeso alle sue clavicole ha ricominciato a svolazzare.
I gliese12bicoli lo riconoscono. La sua fama è giunta fin quassù. Lo clapclappano, acclamano il suo nome.
Le lievi differenze morfologiche tra questo pianeta e quello originale da cui la specie umana proviene li ha resi similari ma non del tutto identici ai terrestri da cui discendono. Hanno arti più lunghi e busti scorciati. Fa impressione occhieggiare quella selva di lunghe braccia ondeggianti che salutano il suo arrivo.
Blablano che Mister Okay si intratterrà su Dunia Dos per quarant’anni. Fino a quando cioè il pianeta verrà raggiunto dalla circolare emessa dal nuovo governo mondiale, insediatosi quarant’anni prima sul pianeta-base. Giusto il tempo di permettere alle onde radio di andare da una parte all’altra.
“Espellete il mostro! Ripetiamo: e-spel-le-te il mo-stro!” è il messaggio raccolto dal marconista di Gliese-12b. Il superudito di Mister Okay lo intercetta prima ancora della rice-trasmittente. Una mattina, all’alba, senza che nessuno abbia mai avuto il fegato di imporglielo, lascia anche quel secondo domicilio. «Non voglio che abbiate delle grane per colpa mia» mormora, come tra sé, prima di flettere le gambe, spiccare il volo e sparire oltre l’atmosfera esterna, ritrovandosi ancora una volta nello spazio profondo, a riveder le stelle.

su licenza KORM ent.©

ENDOXA - BIMESTRALE LETTERATURA

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