TEODORO

FB_IMG_1611053638327MARA QUADRACCIA

Non era arrivato per caso nella piccola città umbra adagiata sul colle. Anni di studi e di pratica di musica organistica lo avevano pian piano avvicinato a quel luogo, un tempo così lontano ed ora quasi a portata di mano. Si era stabilito a Roma da diversi anni dove dirigeva un coro prestigioso, dava lezioni di musica e suonava regolarmente presso la chiesa anglicana.

Un breve viaggio lo aveva condotto  finalmente ad entrare nella bella  città   piena di chiese. Non una visita spontanea ma un invito a verificare la qualità di un organo che doveva essere restaurato. Le mura antiche della città sonnolenta e degli edifici addormentati nei loro anni erano stati custodi di tanti beni ai più sconosciuti, per dimenticanza o forse per ignoranza . Ma ora un gruppo di giovani musicisti e appassionati della loro città stavano risvegliando gli antichi strumenti dal loro sonno.

Non gli ci volle molto a decidere di lasciare Roma e sistemarsi nella più tranquilla cittadina di provincia da dove avrebbe potuto fare il pendolare per alcuni giorni della settimana e dedicarsi allo studio di tanti tesori. Non uno, quello per cui era stato chiamato, ma oltre dieci organi storici avrebbero impegnato i suoi studi   e le loro varie e colorite sonorità avrebbero rianimato le chiese dal lungo letargo. Al suono degli organi si sarebbe affiancata una corale, voci di giovani che sotto la sua guida avevano costituito un gruppo sempre più ampio e appassionato.

La casa presa in affitto in cima al colle stava diventando piccola. Voleva rimanere nel centro storico, possibilmente in un alloggio con lo stesso panorama sulla valle. Dalla sua finestra lo sguardo si era spesso posato sui tetti di un palazzetto poco sotto, ma le persiane erano aperte di rado, segno che non era abitato stabilmente. Alla fine era riuscito a contattare i proprietari che non sembravano affatto intenzionati ad affittare.Gliela fecero visitare per cortesia, o forse più per la curiosità di conoscerlo. Colse in loro un certo imbarazzo o anche pudore nel mostrare una parte della casa a lungo non abitata e rimasta ferma nel tempo. Lui invece si sentì accolto, come se l’avesse sempre abitata.  “Ma guardi, noi qui è molto che non ci veniamo”.  “Scusi, non abbiamo più tolto niente da tanto tempo “.  Lui oppose un semplice ma risolutivo “Ma io qui mi sento a casa”.

Era arrivato il giorno del trasloco. Da una casa mobiliata ad un’altra a pochi passi sembrava facile se non fosse stato per i giovani della corale che si presentarono nella mattina di pieno agosto per dargli una mano, una staffetta di volontari che ad ora di pranzo erano già esausti.  “Fa troppo caldo. Andate pure a casa a riposare, poi finiamo più tardi”.

Socchiusa la finestra per oscurare si mise a riposare. La tanta stanchezza non lo glielo permise di abbandonarsi al sonno ma lo condusse in uno stato di dormiveglia in cui le immagini della nuova casa gli passavano nella mente come fotogrammi.  Gli apparve un signore distinto e ben vestito alla moda di fine ottocento, di cui però non riusciva a distinguere il volto; parlando gli sorrideva “Sono Teodoro, sono contento che tu abbia scelto di abitare nella mia casa. Io ci sono stato bene fino a quando….  “

Un piccione entrato della finestra socchiusa lo riportò allo stato di veglia.

I padroni di casa lo avevano invitato a pranzo nel giro poche settimane. Uno di quei pranzi domenicali in famiglia, occasione rituale per ritrovarsi e per conoscere meglio gli ospiti.Fra un portata e l’altra  la conversazione, facilitata  dagli apprezzamenti sui piatti, iniziò a trasformarsi in una serie di domande da parte dei proprietari , che sapevano di curiosità venata di preoccupazione  “ Davvero si trova bene nella  nostra casa ?” “Noi, se non avesse insistito, non l’avremmo mai affittata”. Queste insistenti preoccupazioni gli suggerirono una replica decisa”. Ma io mi ci trovo molto bene, è come se la casa mi avesse chiamato” .

Notò un leggero rossore comparire sul volto della signora e un sguardo rivolto al marito, come se gli stesse chiedendo il permesso di parlare.

“Vede dobbiamo raccontarle la storia di quella parte della casa. Non è una storia di cui parliamo volentieri” esordì la moglie.

“Ci abitava un nostro avo. Aveva l’abitudine di rientrare la sera e di chiamare la moglie  “Rosa!   Rosa!” Appena varcata la porta.  Un giorno rientrò   prima, ma Rosa non rispose.   La trovò nella camera da letto con l’amante. Li uccise entrambi.  “

“Lui fu l’ultimo condannato a morte dal Papa Re. Mastro Titta venne da Roma per tagliargli la testa”.

Come se conoscesse già la storia lui non si scompose e chiese “Come si chiamava il vostro avo?” Quasi all’unisono risposero: “Si chiamava Teodoro”.

ENDOXA - BIMESTRALE LETTERATURA

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