ELON DEMON
PEE GEE DANIEL
Elon Task lo soprannominavano, quando si parlavano tra loro collaboratori e galoppini, perlomeno quando si trovavano abbastanza distanti dalle sue orecchie bioniche. Si riferivano a lui con questo gioco di parole da almeno un paio di lustri. Da quando cioè la sua coscienza, il suo apparato psichico, ogni sua traccia mnestica erano stati travasati di sana pianta dentro un processore quantistico.
La scansione completa del suo sistema neurale si era conclusa appena prima che l’organismo cedesse per sempre e, nel suo brusco spegnimento, rischiasse di portare con sé l’intima essenza di quello che era stato il personaggio storico più importante del secolo ventunesimo e che così, in quelle nuove spoglie siliciche, si apprestava a marcare anche il secolo successivo, e chissà quanti altri ancora.
«C’è da portargli il suo beverone magic» sussurrò il cosiddetto Ciambellano 5.0 presentando un scintillante vassoio son un coprivivande altrettanto scintillante depositatoci sopra alla graziosa chellerina dalle fattezze vagamente creole presa in forza da poco. Lei accolse il poco peso di quella consegna accennando un mezzo inchino. La porta era aperta. Lo vedevano laggiù, in fondo alla sala, di spalle, nascosto fino alla nuca dallo schienale della poltroncina girevole che aveva posizionato davanti al bovindo, per godersi la vista dei molti ettari coltivati a vitigni e la schiera di viticoltori che ci lavoravano intorno.
Ciambellano 5.0 era un androide abbastanza realistico. Terza generazione. Anche la chellerina era un’androide, anzi, sarebbe più corretto dire una ginecoide. Come pure la brulicante schiera di vignaioli. Tutti androidi. Elon “Task” ne era circondato. Quasi aveva perso del tutto il commercio coi propri simili, per quanto a proclami non facesse che ribadire che tutto il suo lavoro era destinato a migliorarne l’esistenza quotidiana.
La chellerina-bot scivolò verso il fondo della stanza sulle sue rotelline, tanto ben ammortizzate da non far risultare che un debole fruscio dal suo movimento, che l’orecchio di Elon tuttavia riuscì a cogliere distintamente. «Lascia lì, sulla scrivania» le comandò senza neppure voltarsi. La serva meccanica eseguì.
Quando era già sparita dalla stanza, la poltroncina cigolò tenuemente, mentre chi ci era accomodato sopra si voltava con ostentata lentezza verso ciò che gli era appena stato recato.
Scoperchiò il vassoio e pinzò tra le dita la penna usb che ci era coricata sopra. Aveva la leziosa forma di un unicorno rosa. Le dita artificiali del nuovo Elon scappucciarono la terminazione del corno per inserire il connettore nell’idonea porta posizionata appena sotto la radice del suo mento. Avvertì sin da subito uno sgorgo di nuovi input inondargli il neuro-software.
Era come una pappa viscosa e corroborante che andasse a riempire vuoti che chiedevano solo di essere saziati. La conoscenza è il potere, amava ripetere ai suoi sottoposti. Lui era così pregno dell’intero scibile umano, dopo anni di abbeveraggio telematico, che ormai si limitava solo più a overdosarsi di gossip freschi freschi o informazioni futili come le regole di qualche gioco di società o il know-how di qualche esotica astrusa arte marziale che le sue giunture meccanizzate non gli avrebbero neppure consentito di mettere in pratica. Solo per il piacere di assorbire info sempre nuove.
La chiavetta emise un leggero sfrigolio accompagnato a una scarica azzurrognola quando Elon la staccò dalla porta usb per gettarla nuovamente sul vassoio con una schicchera dalla parabola piuttosto precisa.
Aggrottò un po’ le sopracciglia mentre osservava i vignaioli-bot distaccare i grappoli d’uva maturi, li ingoiavano introducendoli dentro grandi bocche a tagliola e infine li ripisciano fuori sotto forma di acquavite dopo essere stati processati dai loro meccorganismi. Erano i barbagli provocati dai pannelli fotovoltaici sistemati nella zona del plesso solare per renderli energeticamente autonomi a infastidire il suo sguardo.
Non solo loro, quasi tutta l’elettricità che alimentava un mondo ipertecnologizzato come quello derivava da risorse rinnovabili: eoliche, idroelettriche, geotermiche, telluriche, elettromagnetiche, bioenergetiche.
È stato lui, nei decenni, attraverso le sue aziende, a rendere il mondo così green. Oltre a ciò, ha contribuito in maniera sostanziale a efficientare gli spostamenti, inventando mezzi elettrici col pilota automatico e capsule di trasporto ipersoniche basate sul principio dell’aerodinamica associata a un sistema di bassa pressione.
È stato lui a interconnettere tutti gli esseri umani e farli navigare gratis online, ovunque sulla faccia del pianeta, grazie a uno stormo di satelliti a orbita geostazionaria, di cui ha riempito l’atmosfera terrestre esterna come tante capocchie di spilli infilzati in una palla. Nessuno, grazie a lui, poteva più dirsi escluso dalla comunità degli uomini, dall’antartico al cuore più tenebroso di qualsiasi giungla.
Nel frattempo è passato a operare direttamente sul sistema nervoso dei suoi simili, a partire da piccoli elettrodi inseriti nel sistema nervoso centrale, sofisticando via via l’implantologia con microchip sempre più miniaturizzati. All’inizio i volontari erano stati scelti tra studenti fuoricorso, tizi squattrinati che ingrossavano le file davanti agli uffici di collocamento, individui senza fissa dimora. Quel primo timido nucleo di cavie fece presto a rimpolparsi, quando il mondo poté constatare gli effetti di quei cervelli survoltati: fece notizia il Paziente 0 quando dimostrò la congettura di Birch e Swinnerton-Dyer, dopo più di un secolo e mezzo di vani tentativi da parte dell’accademia dei matematici. E dire che il Paziente 0, prima di essere cerebro-manipolato dalle neurotecnologie di Elon, faceva lo sguattero nelle cucine di un fast-food di terza categoria.
Un clamore ancora maggiore aveva suscitato il Paziente 123, quando, tramite innesti mioelastici artificiali, aveva salvato la vita a un passante fermando una corriera in corsa con la sola imposizione delle mani. La corriera si era accartocciato intorno al palmo della sua mano.
Mentre la storia del Paziente 26, che era entrato in sala-professori nella sua vecchia scuola e aveva fatto fuori l’intero corpo-docenti a colpi di una sua personale interpretazione del Krav Maga, fu passata un po’ in sordina, anche per via delle interferenze dirette o indirette di Elon, proprietario, vice o azionista dei principali media internazionali.
Fu dopo tutta questa pubblicità gratuita che incominciò a farsi pagare per tale impiantistica, profumatamente dove possibile, prevedendo però anche pacchetti economici per la classe medio-bassa.
L’intera umanità o quasi a un certo punto era “Neuralinkata”. Il QI medio si era notevolmente alzato come ovvio, ma, a parte questo, anche i comfort quotidiani erano stati enormemente accresciuti, facendo perdere alla gente il minor tempo possibile in quelle inutili lungaggini che andavano dai pagamenti alle file alla cassa del supermercato, dai bonifici sino alla comunicazione interpersonale: tutto risolto in una frazione di secondo dagli output ricetrasmessi tra cerebro e pos, cerebro e sensore, cerebro e cerebro. Bastava esprimere il pensiero di pagare affinché la transazione avvenisse, addebitando l’acquisto sul relativo conto corrente.
Non appena il cervelletto di Elon diramò al corpo robotico che lo conteneva l’intenzione di alzarsi dalla poltroncina, una serie di pompette idrauliche e cuscinetti a sfera permise l’azione, conducendolo fino all’ascensore al centro della stanza, posto all’interno di un tubo di vetro colorato.
Riguardò per un attimo la cartolina che gli era stata recapitata la mattina stessa. Proveniva da Marte: “Ciao Papi, qua si sta bene” recitava.
Firmato: Tau.
Il dodicesimo dei suoi tantissimi figli. Quello a cui aveva affidato l’amministrazione delle colonie marziane.
Aveva figliato innumerevoli volte. La pluri-genitorialità era una delle tante manifestazioni del suo ego ipertrofico. Dicono che Gengis Khan avesse avuto addirittura un milione di figli, che però gli erano nati tutti mongoli…
Non gli è bastata una vita per assistere al completamento di tutto quello che aveva progettato fin da giovane nella sua mente visionaria. Un’esistenza mortale non era sufficiente, considerando i lunghi tempi di realizzazione. Ha dovuto traslocare la sua più intima essenza, quella che i più faciloni chiamano “anima”, in un organismo mecca-assistito per procrastinare sine die i propri giorni.
Era giunto il momento. Mentre l’ascensore lo conduceva nei sotterranei già pregustava l’attimo in cui avrebbe finalmente concretizzato quanto aveva concepito sin dai suoi giochi di bambino, bullizzato e Asperger: impadronirsi del mondo.
«Io vi ho dato il paradiso in Terra e ora… ve lo levo!» sogghignava tra sé, circondato dalla cabina piena di strane lucine intermittenti.
Lo attendeva la sala-comando. Si sedette davanti al gigantesco pannello che faceva da parete, composto da tanti piccoli monitor collegati a un’infinità di telecamere nascoste, puntate su altrettante scene di vita quotidiana sparse per l’intero globo: mammine impegnate a portare i figlioletti a scuola, vecchie che andavano a spasso con i propri pet-bot, scippatori con spray al peperoncino, gente che si accoltellava per un parcheggio, due sposini festeggiati dai parenti etc. etc.
Elon non era solo. Per un momento topico come quello scelse di farsi assistere dal suo discepolo prediletto: il Paziente 776. Il meglio riuscito tra tutti i soggetti che si erano sottoposti alle sue migliorie tecnologiche. Il suo orgoglio!
Il Paziente 776 aveva superato brillantemente tutti i test, dichiarati o segreti. Anche i più insperati. La nanotecnologia introdotta nel suo corpo aveva attecchito con successo. Nel giro di pochi mesi la sua forza fisica era aumentata esponenzialmente. E non sembrava voler arrestare la propria prodigiosa crescita.
Il Paziente 776, o Mistero K come venne poi ribattezzato in maniera, se così si può dire, più confidenziale dal suo Pigmalione, a partire dall’iniziale del suo cognome, Piotr Kenda, di professione idraulico, era arrivato a sollevare fino a 5000 libre, trainava una Starship coi denti, poteva raddrizzare le arcate di un ponte con il solo impiego delle braccia.
Le sue facoltà intellettive ne avevano ancor più beneficiato: oltre un’intelligenza che si faceva di giorno in giorno sempre più acuta, sembrò che cominciasse a sviluppare certi strani poteri psionici, come la capacità di spostare oggetti con la forza del pensiero o quella di dominare le menti altrui.
Era l’unico umano che Elon volesse sempre accanto a sé (forse proprio perché aveva varcato le soglie della semplice umanità?), soprattutto in un momento particolare come quello: il sostegno morale di Mistero K gli era fondamentale.
Nel nuovo assetto del mondo, che era in procinto di determinare, sentiva il bisogno di essere spalleggiato da qualcuno che potesse sentire alla propria portata. Giusto per non sentirsi troppo solo.
Era stato salutato ai tempi del suo massimo fulgore industriale come una specie di daimon: un essere a mezza via tra la schiatta degli uomini e le più oscure potenze della natura, che lui sembrava riuscire a piegare al bene comune.
Quella mattina dava l’idea di voler abbandonare questa funzione di benigno “metaxu”, sta a dire di tramite o collegamento, per trasformarsi tutto d’un botto da daimon a cacodemone, maligno e ghignante, deciso a trasformare improvvisamente in una trappola tutto ciò che fino ad allora aveva fatto credere essere stato costruito per pura magnanimità e filantropia. Un piano diabolico che aveva tacitamente architettato e camuffato in quella lunga infilata di decenni.
«Ora vedrai, Mistero K, che cosa ho preparato per questa orda di patetici buoni a nulla» annunciò mentre tirava fuori qualcosa dal taschino della vestaglia orientale che fasciava lo spesso strato di collagene sintetico che aveva il compito di simulare la pelle umana. Lo strato di collagene a sua volta ricopriva un endoscheletro in titanio.
L’oggetto che cavò dal taschino scintillava all’illuminazione artificiale. Era la riproduzione hi-tech di un cosiddetto fischietto della morte azteco. Era proprio quello che avrebbe sbloccato il suo oscuro disegno.
Proprio come gli originali rinvenuti negli antichi templi precolombiani, quel piccolo strumento a fiato emetteva un suono a 1000 hertz molto simile a quello di uno strillo femminile, o al rumore che fa un brutto vento quando sibila attraverso un’intercapedine. Era sul suono dell’aerofono che aveva tarato i microchip innestati nelle menti dei suoi simili proprio come i sistemi operativi che facevano funzionare tutti quei robot. A quel suono qualcosa avrebbe fatto clic nei primi e nei secondi, obnubilando la coscienza degli uni e liberando l’autodeterminazione degli altri, in maniera tale che gli esseri umani venissero asserviti dagli automi senza alcuno sforzo, fatti salvi i famigliari più stretti di Elon e pochissime persone che avevano meritato il suo sincero affetto, tra le quali appunto spiccava il Paziente 776 o Mister K, che, per tutto quel tempo, era rimasto in un angolo, riparato da un cono d’ombra, senza che il suo bel volto tradisse alcuna emozione.
Lo stesso non si poteva dire per la faccia plastificata di Elon, resa tale più dalle operazioni chirurgiche che avevano riparato i danni procurati dai tanti bulli incontrati da ragazzo, a scuola, o ai campi estivi, che dagli innesti cibernetici.
Il suo sorriso di gomma sfolgorava accompagnato a un lucore del tutto nuovo che quegli occhi glaciali sembravano aver assunto appena sotto il suo magnifico trapianto di capelli, impossibile da notare se non fosse stato per qualche foto di lui da giovane, già ampiamente stempiato, che ancora circolava su certi rotocalchi che il tycoon non fosse riuscito a boicottare per tempo. Si apprestava a fischiare dentro il dispositivo, appoggiato contro un microfono collegato ad altoparlanti sparsi dappertutto.
Elon tuttavia non aveva fatto i conti con le doti telepatiche di Mistero K: da molto tempo a quella parte aveva letto nella testa del suo protettore quali ne fossero i terribili propositi, e si era preparato di conseguenza.
Ora, un istante prima che Elon desse fiato all’interno della camera d’aria del fischietto, gli si gettò addosso. Nonostante il peso e la potenza del fisico robotizzato di Elon, lo sollevò senza grandi difficoltà, agguantandolo per il collo. Gli occhi di Elon si erano velati di stupore.
Mistero K gli sputò addosso, all’altezza dello sterno. Non era un segno di disprezzo, come un eventuale testimone avrebbe potuto avventatamente credere.
La bava azzurrognola cominciò a protonare con le componenti dello scafandro bio-ibrido che conteneva le ultime vestigia umane di Elon. Attaccò lo strato molle, dopo di che i metalli sottostanti come si trattasse del più corrosivo degli acidi.
Mistero K guardò gli occhi di Elon che si spegnevano rapidamente. I suoi brillavano di commozione. Sembrava pesargli quanto un parricidio, eppure era stato quello il prezzo da pagare per salvaguardare l’ordine costituito. Questo gli aveva dettato la coscienza.
Abbandonò quell’area dopo che un suo pugno aveva creato una ampia breccia verso l’esterno. C’era da pensare che di lui si sarebbe ancora sentito parlare.
su licenza KORM ent.
ENDOXA - BIMESTRALE Fantascienza LETTERATURA ENDOXA NOVEMBRE 2024 Pee Gee Daniel SOLARPUNK
