SUL FUTURO CHE CI (PRE)OCCUPA: QUANTO SOLARPUNK (NON) È LA COSTITUZIONE ITALIANA
FERDINANDO MENGA
I
Ogni nuova corrente letteraria che emerge e man mano si cristallizza attorno a parole-chiave ricorrenti, inclinazioni tematiche condivise e tendenze stilistiche accomunabili ha di sovente un corso di formazione carsico, imprevedibile e pressoché spontaneamente convergente. In tal senso, essa può essere considerata alla stregua di un collettore simbolico che affonda le radici in un immaginario sociale già circolante e di cui, dunque, rappresenta cassa di risonanza e nondimeno agenzia che ne coadiuva la costituzione a statuto identitario pienamente riconoscibile. Altrettanto vero è, però, che non meno spesso l’imporsi di modelli letterari rischia di essere il frutto di una serie di operazioni, in qualche misura, volutamente ideologiche e arbitrariamente tese a una costruzione posticcia di canoni identificativi sulla base di stilemi di natura divergente e di provenienza disparata. La produzione letteraria riconducibile al Solar Punk mi pare possa essere collocata tanto in scia dell’una quanto dell’altra valutazione a seconda dei filtri interpretativi ricollegabili ora a una lettura più generosa che ne individua elementi unitari di novità, ora invece a un’impostazione ermeneutica più restrittiva ed esigente che, viceversa, pone l’accento sul semplice riaffiorare di temi in forma modificata e rimodulazione ibridata.
Per mettersi al riparo dagli esiti provenienti dalla seconda tendenza interpretativa, probabilmente il fattore decisivo su cui si può puntare per far convergere in un punto identificativo di sostanza la letteratura di marca solar punk è rappresentato dall’interesse dominante e trasversale che questa dedica alla prospettazione di scenari futuri, nel cui alveo il ruolo dirimente è giocato dal progresso tecnologico: un progresso inteso quale elemento volto a consegnare agli abitanti dell’avvenire condizioni di vita migliori o, quanto meno, opportunità di maggiore adattività nel contesto di minacce climatiche, ambientali e anche socio-istituzionali destinate a rivelarsi sempre più incombenti.
II
In tale scia, i temi di fondo che solcano i racconti e romanzi di questo genere letterario – come si può intuire – consegnano più che mai a una lettura meditata materiale per un’interrogazione di ampia portata e carattere epocale. Tra tutte campeggia certamente la domanda su come sia da intendersi, a rigore, la relazione, che si impone sulla scena, tra tempo futuro, progresso tecnologico e consegna alle generazioni a venire. È una relazione, questa, la cui cifra strutturale può apparire piuttosto ovvia alla luce dell’interpretazione consolidata e tutta volta a una visione ottimistica che collega a doppio filo dinamica del progresso e realizzazione di miglioramenti indubitabili. Tuttavia, analizzata sotto la lente di un’investigazione teorica più attenta, una relazione del genere offre motivi per propendere verso conclusioni meno lineari di quanto possa apparire a tutta prima.
Ma non è solo da analisi concettuali che ci provengono elementi per complicare la scena. Un tale indice di complessità, in effetti, può essere già raccolto a partire da eventi del tutto concreti e di estesa portata socio-istituzionale, come, ad esempio, la recente modifica della nostra Carta costituzionale, la quale, a partire dal 2022, dismette i panni di una mera adesione progressista-ottimista verso il futuro, per controbilanciarla con un atteggiamento assai più prudente. Atteggiamento, questo, che si palesa evidentemente nel momento in cui, all’art. 9, non più si desume un dettato esclusivamente proteso alla promozione della “ricerca scientifica e tecnica”, ma si trae bensì una nuova inclinazione tesa alla preoccupata “tutela [del]l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi […] nell’interesse delle future generazioni”.
III
Ecco che una piega diversa e più problematica affiora nell’immaginario collettivo rispetto all’ottimistico atteggiamento propinato da molte voci del Solar Punk nei confronti del connubio tecnologia-progresso-futuro. Il che richiama di per sé a un compito di comprensione che, forse, con l’ausilio di un determinato percorso filosofico, possiamo realizzare, quanto meno per gettare luce su come queste due opposte tendenze, l’una ottimistica e l’altra più cauta, possano coesistere.
Per svolgere un tale compito, partiamo da un assunto di base che tutti conosciamo: la freccia del tempo lega assieme le generazioni e le spinge verso il futuro nella forma di uno scorrere inarrestabile e progressivo. Affermare questo, però, non basta, poiché, come ben ci ha insegnato Martin Heidegger, il tutto si gioca nel comprendere strutturalmente la specificità stessa che connota la dinamica temporale che muove al fondo di tale scorrere. Dinamica temporale che, poi, sempre secondo Heidegger, finisce per caratterizzare l’intelaiatura tanto simbolica quanto pratica di ogni dimensione della vita collettiva, fino a connotarne le connessioni intergenerazionali.
Al netto di qualche necessaria semplificazione, il punto focale che, per Heidegger, deve essere tenuto fermo, in tale quadro, sta nel fatto che la marca temporale caratteristica della nostra tradizione moderna, e nella cui scia ancora ci muoviamo, è scandita da una precisa dinamica: quella dettata dall’avvento e dominio della tecnica, entro il cui alveo operano poi anche l’organizzazione liberale e capitalistica della società.
In tale cornice di fondo – questo è il punto –, il tempo non può essere inteso che come qualcosa di perennemente presente e a disposizione per rendere possibile un incessante sfruttamento di cose, risorse e opportunità. Questa interpretazione, a ben vedere, fa il paio con l’idea di progresso di matrice illuministica. La temporalità è scorrimento lineare che veicola un continuo accrescimento, l’ottenimento di mezzi sempre maggiori, nonché il destino di un miglioramento pressoché indubitabile. Come sopra accennato, da questa impostazione generale se ne desume anche l’interpretazione predominante del rapporto che connette i passaggi intergenerazionali: se il tempo è contraddistinto dalla freccia del progresso, alle generazioni future non spetteranno altro che condizioni migliori di quelle di volta in volta date. Questa assunzione, addirittura, indusse Kant a concludere che l’unico fattore problematico delle connessioni intergenerazionali è dato dall’impossibilità per le generazioni presenti di assistere alla sicura espressione di riconoscenza da parte di quelle future per i sicuri miglioramenti ottenuti grazie al lavoro delle prime.
Rispetto a questa impostazione di fondo – vale appena la pena di notarlo – molte delle visioni che popolano la letteratura Solar Punk non solo nulla hanno da eccepire, ma anzi ne realizzano il pieno dispiegamento simbolico in ragione della loro tipica fiducia nelle progressive acquisizioni che il futuro, in alleanza con l’accrescimento tecnologico, sembra garantire.
IV
Non fosse che la nota dolente di una tale interpretazione del progresso tecnologico è che essa funziona e può affermarsi solo in forza di una logica d’opacizzazione operativa al suo interno. Quale? Quella dell’esclusione e rimozione delle vulnerabilità da esso stesso prodotte.
La visione del tempo come trascorrimento in funzione di uno sfruttamento sempre maggiore, in effetti, potrebbe realizzarsi indisturbata e senza resti solo se le risorse disponibili all’impeto prometeico del progresso fossero infinite. Ma, siccome infinite non lo sono, si impone come inevitabile una lettura che ne sveli e decostruisca la logica segreta. Un tale ruolo è svolto da quella che potremmo definire visione “etica” del tempo e che mette in grado di rendersi conto che lo sfruttamento dell’oggi non è per nulla un gioco win-win e neppure a somma zero, ma implica piuttosto l’inevitabile scompenso di una sottrazione ad altri e, in particolar modo, ad altri futuri. In tale prospettiva, il tempo, da semplice indice neutro e funzionale, si rivela immediatamente carico di una connotazione “morale”: il presente impone, di volta in volta, una scelta di responsabilità su cosa fare del tempo; impone, insomma, un dover giustificare le proprie azioni, proprio in ragione di inevitabili esclusioni di alterità (che ne pagano il prezzo).
Oggi più che mai questa logica d’esclusione emerge chiaramente, poiché vediamo coi nostri stessi occhi quanto il futuro, a dispetto delle altisonanti promesse tecnologiche di infinito progresso, si mostri assai diverso da come lo immaginava Kant: altro che lamentarci di non poter incontrare le generazioni future per assistere al loro rendimento di grazie! Dobbiamo ritenerci, anzi, fortunati – come, a ragione, ammonisce Bernard Stiegler – di non riuscire a consumare tale incontro, giacché sicuramente le coorti future ci condannerebbero per il nostro stile predatorio ai loro danni.
Come si può intuire, dunque, è esattamente in scia a una tale lettura etica del tempo che si produce l’esitazione evocata all’inizio e si prospetta una forma di resistenza rispetto a ogni cieca visione ottimistica della connessione futuro-progresso-tecnologia.
Peraltro, nel contesto dell’alleanza tecnologico-capitalistico-liberale attuale, che da qualche decennio ha assunto una piega di carattere neoliberale, un atteggiamento di resistenza del genere è tanto più auspicabile, quanto più imponente si fa la dinamica d’esclusione e d’opacizzazione del rimosso a essa correlata. Oggigiorno, in effetti, spie d’allarme su questa dinamica riescono ad accendersi solo nei momenti in cui avvengono vere e proprie rotture di sistema, tali da renderne inevitabile e diffusa la percezione.
Indubbiamente, nei tempi recenti, uno di questi eventi di rottura è stato rappresentato dalla pandemia, che in effetti ha lasciato affiorare chiaramente il carattere velleitario e iniquo della tendenza titanica insita nel progetto tecno-capitalistico contemporaneo. Velleitario, perché, nel momento in cui quasi ci eravamo illusi di avere tutto e di godere al massimo delle nostre acquisizioni tecnologiche, ci siamo trovati scaraventati nella più acuta ed estesa situazione di vulnerabilità a cui la nostra storia moderna abbia mai assistito. Iniquo, poiché esattamente la condizione di fragilità estrema che ci ha costretti a interrompere la nostra presenza ingombrante nel mondo ci ha mostrato, per contrappasso, quanto il pianeta stesso sia un luogo di co-abitazione e non di esclusivo appannaggio dell’essere umano. In tal senso, non è stato affatto casuale che il lockdown abbia dato modo agli animali, esseri vulnerabili per eccellenza, di vedere corrisposte – anche se soltanto per un fugace momento – le loro implorazioni di giustizia, rendendo possibile il riappropriarsi di quegli spazi di mondo da cui il nostro stile di vita usurpatorio li aveva costantemente scacciati.
V
Porsi nel solco di una resistenza etica che si oppone all’ubriacatura di una visione meramente illuministica del nesso progresso-tecnologia non si limita, tuttavia, a svolgere un ruolo esclusivamente critico e decostruttivo. Ma, come è immaginabile, spinge anche a intercettare con particolare sensibilità vere e proprie forme produttive di contro-narrazione rispetto a suddette inclinazioni meramente ottimistiche, come quelle invocate da molte voci della letteratura solar punk. Ottime prove letterarie in tale direzione sono state fornite di recente da diversi romanzi, tra cui mi piace ricordare quello di Kim Stanley Robinson, Il ministero per il futuro (Fanucci 2022) e di Stephen Markley, The Deluge (in uscita in italiano per i tipi di Einaudi con il titolo Diluvio). Nell’uno come nell’altro caso, a comporsi è precisamente una saggia tessitura che presenta in tutta la sua complessità e contraddittorietà l’immaginario di una società dominata tanto dalle luci, quanto dalle ombre che l’apparato tecnologico getta sul presente e sul futuro. Luci e ombre che ormai devono essere percepite non senza il filtro di una preoccupazione eminentemente etica (e non soltanto attraverso un atteggiamento meramente funzionalistico).
E, di qui, in fondo, è facile chiudere il cerchio, ricollegandoci all’inizio di questa nostra riflessione all’insegna della sottolineatura del nuovo dettato costituzionale. Quest’ultimo, infatti, a ben vedere, con l’esplicito riconoscimento di una tutela nei confronti delle generazioni future, ad altro non aderisce che a questa contro-narrazione mossa da suddetta preoccupazione. Preoccupazione, questa, in virtù della quale – è bene ribadirlo – il sol dell’avvenire non può essere più celebrato soltanto, di fronte, nella sua accecante brillantezza, ma va visionato anche, di spalle, nelle linee d’ombra che getta.
Se ci pensiamo bene, d’altronde, neppure per un momento si può ipotizzare una fonte solar nel punk senza che questa proietti, per la ragione stessa di esistere, delle inevitabili shadows.
DIRITTO ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA ENDOXA NOVEMBRE 2024 Ferdinando Menga SOLARPUNK
