SPES ULTIMA DEA
PIER MARRONE
Perché esiste la diseguaglianza? È una domanda che può sembrare, che forse in effetti è, ingenua e in definitiva mal posta. Gli esseri umani sono diversi, hanno diverse attitudini e talenti. Qualcuno può essere estremamente dotato in un campo ed essere un disastro nel resto della sua vita. Qualcuno si concentra su questa sua unica abilità, se la possiede, se sa di possederla, se si sono verificati gli inneschi necessari, di solito nella prima parte della sua vita per farla fiorire. Qualcun altro, pur dotato, è attratto dalla spreco del proprio capitale e dissipa un dono per il quale non ha nessun merito.
Qualche giorno fa, il 27 febbrao 2025, è morto Boris Spassky, un gigante del mondo degli scacchi, esponente di quella scuola sovietica che ha dominato per decenni le competizioni internazionali. Lo si ricorda però soprattutto per la sfida per il titolo mondiale con Bobby Fischer del 1972, che epitomizzò, inaspettatamente, il conflitto tra le due superpotenze, gli Usa e l’Unione Sovietica, e che Fischer vinse, inaspettatamente, dopo aver distrutto psicologicamente il suo avversario. Fischer era un genio precoce degli scacchi ed era anche un uomo infelice, preda di ossessioni e di idee complottistiche che ne fecero un sociopatico. Il 1 marzo 2025 è morto invece Jack Vettriano, che non è stato un talento precoce, ma il cui genio è esploso dopo i vent’anni, quando a lui, destinato a una carriera di minatore, come il padre, venne regalato un seti di acquarelli. Grazie a questo dono il suo talento ha avuto la possibilità di esplorare le dimensioni dell’eros, non solo quello maschile, e i territori della solitudine. Magnus Carlsen, lo scacchista più forte attualemente in attività scoprì il suo talento perché da bambino voleva battere la sorella, sua compagna di giochi. È finito che poi ha battuto tutti. Ma il “Mozart degli scacchi” come viene talvolta chiamato non sembra avere, almeno nelle numerosissime occasioni pubbliche nelle quali gli è richiesto di esibirsi sotto i riflettori di una notorietà oramai planetaria e non solo per gli appassionati di questo nobile gioco, ma anche tra gli scommettitori, nulla del personaggio tormentato, monomaniacale nel quale si sospetta almeno l’albergare di qualche consistente traccia della sindrome di Asperger. Lui stesso si descrive come una persona non particolarmente brillante, con una socialità normale, una descrizione che suscita simpatia e ce lo rende meno distante, a differenza di altri geni tormentati.
Per queste personalità, che di solito eccellono in un solo campo, noi proviamo una sensazione di distanza. Siamo magari capaci di tenere una matita in mano e di scarabocchiare su un foglio di carta, ma perché non siamo Vettriano, non siamo Mirò? Conosco bene le semplici regole del gioco degli scacchi, ma perché il mio punteggio ELO (quello che misura l’abilità di un giocatore di scacchi) è sempre quello, drammaticamente basso? Forse mi esercito poco? Forse dovevo esercitarmi a partire da bambino? Queste persone esprimono dei talenti innati? Qui naturalmente si torna al grande dibattito che interessa l’occidente almeno da alcuni migliaia di anni su quanto è dovuto alla natura e quanto è dovuto alla cultura. Anche in questo caso, forse, dal mondo degli scacchi ci può venire un aiuto e ben più di un’analogia questa volta con il cosiddetto Polgar Experiment. László Polgár è uno psicologo ungherese convinto che un’educazione precoce a compiti complessi può produrre personalità geniali per lo meno in un campo. Per testare questa ipotesi, che si basa su una prevalenza delle componenti ambientali sullo sviluppo delle capacità intellettuali, Polgar sottopose le sue tre figlie a un intenso training basato sugli scacchi, un gioco che le bambine avevano mostrato di gradire. I risultati sono stati sorprendenti e non solo nel campo degli scacchi, ma per l’apprendimento delle lingue, grazie all’aiuto della moglie, Klara Alberger, un’insegnante ucraina di lingue, e della matematica. Le tre sorelle Polgar hanno raggiunto livelli di eccellenza negli scacchi, ottenendo successi a livello mondiale. La più celebre tra loro, Judith, è la più forte giocatrice di tutti i tempi, l’unica a essere entrata nella top ten dei migliori giocatori.
L’esperimento pedagogico di Polgar ha delle implicazioni evidenti sulla concezione dell’eguaglianza, poiché sembra dimostrare alcune cose:
(1) che l’eccellenza o quello che noi chiamiamo genio può essere creato da un ambiente favorevole e grazie a un allenamento intenso, ma vario;
(2) la mediocrità dei nostri sistemi educativi, che non risultano affatto egualitari, ma si impegnano a perpetuare una situazione di ineguaglianza creata dalle diverse situazioni familiari.
Però, tutto questo può essere di conforto per coloro che non comprendono perché non possiedono dei talenti evidenti? Voglio dire: il caso delle sorelle Polgar sembra dire che anche tu hai dei talenti, proprio come loro. Si dà però il caso che questi talenti non siano emersi e che tu non abbia avuto la fortuna di avere come genitori due esperti di tecniche dell’apprendimento, convinti della bontà delle loro idee al punto di riuscire a convincere le autorità ungheresi a lasciarli educare le figlie a casa. Quindi, l’ambiente che potrebbe prometterti eguaglianza, in realtà ti ha penalizzato. Ma, d’altra parte, puoi davvero rimproverare i tuoi genitori di essere quello che sono? Hanno fatto molto per te, ma quello che hanno fatto è tutto quello che avrebbero potuto fare? È stato abbastanza? Probabilmente nessuno di noi è in grado di dirlo, ma tutti in qualche fase della nostra vita abbiamo pensato che i nostri genitori fossero inadeguati alle nostre aspettative, ossia che noi eravamo migliori di loro e per questo ci meritavamo di più. La diseguaglianza nella forma dell’iniquità sembra risorgere in qualsiasi circostanza. Se la diseguaglianza, che sotterra per sempre i talenti che ognuno di noi potrebbe avere, è strutturale, allora lo è anche l’iniquità. L’iniquità annulla la speranza di un mondo migliore, e nell’epoca del cinismo di massa, che ha colpito soprattutto le genti che vivono nell’Occidente opulento, questo genera sfiducia nel futuro.
La fiducia nel futuro è difficile trovarla dentro di sé, anche se non possiamo fare a meno di coltivare una certa introspezione per tentare di superare le difficoltà che si presentano nella vita. Mi è venuto in mente questo qualche giorno fa mentre ero in fila al supermercato in un paese dell’America Latina. Davanti a me una ragazza relativamente giovane, fortemente sovrappeso, a un passo da un’obesità preoccupante. La maglietta aderente e i jeans ultrafascianti a contenere la ciccia potevano forse trasmettere un’immagine di body positive. Ma era proprio così? A fianco della cassa era posto uno di quegli espositori per gli acquisti di impulso dell’ultimo minuto, che di solito contengono bibite energetiche, gomme allo xilitolo e altri generi di consumo che permettono di suscitare la traccia di una speranza per una vita più salutare. Questo espositore, però, non conteneva generi alimentari lenitivi dei nostri sensi di colpa per non aver fatto una vita maggiormente salutare. Conteneva invece libri, la maggior parte di auto-aiuto dai titoli sdolcinati: Sé amable contigo mismo, Ámate, Deséntoxicate. Titoli tutti nel modo verbale dell’imperativo, ma il messaggio del titolo è tutt’atro che rozzo, e più che un comando il verbo è piuttosto qualcosa come un ottativo, il modo verbale che in alcune lingue esprime il desiderio assieme alla potenzialità. E infatti la cicciona cominciò a guardarli come ipnotizzata. Forse era contenuta lì dentro, tra mille parole, la speranza che avrebbe fatto di lei non, da lì a non molto, una rassegnata signora sovrappeso, ma avrebbe realizzato il suo potenziale di fiore che stava per sbocciare in tutta la bellezza. Poco importa che ci voglia di tutto per fare un mondo e che tutti trovano qualcuno o qualcuna cui possono piacere. Infatti, se questo è vero, è vero anche che molti si rassegnano a non puntare troppo in alto, ad accontentarsi di quanto passa la vita in maniera iniqua. Non è che questa strategia sia poi una maniera di eliminare risentimenti, recriminazioni, e sentimenti soggettivi di iniquità. Tuttavia, cerchiamo di fare, tutti e nessuno escluso, di necessità virtù e molti pensano in qualche fase della propria vita, e non necessariemente nel suo autunno, di fare proprie le considerazioni finali del Candido di Voltaire: “bisogna coltivare il nostro giardino”; una frase ambigua che nasconde più interpretazioni. Potrebbe essere il richiamo finale della rassegnazione, ma potrebbe essere anche l’invito ad autoemendarsi, forse dalle proprie eccessive aspettative. Ma con questo torniamo al punto sollevato da László Polgár: non è sbagliato avere delle aspettative alte.
La disperazione, la manzanza di speranza ha suscitato da ultimo il richiamo della Chiesa cattolica che ha indicato il 2025 come l’anno giubilare della speranza per accogliere i Pellegrini della Speranza. Ovviamente per un’organizzazione, anzi per l’unica istituzione planetaria attualmente esistente, che ha la sua ragione sociale nell’immortalità e nella redenzione, questo tema deve essere centrale. Nella bolla di indizione dell’anno Giubilare della Speranza si dice che “Noi, che abbiamo cercato rifugio in lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa infatti abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come ‘precursore per noi’ (Eb 6,18-20). È un invito forte a non perdere mai la speranza che ci è stata donata, a tenerla stretta trovando rifugio in Dio.” La speranza è non solo quella della vita dopo la morte, non è solo la speranza che ci sia un altro mondo dove la giustizia per tutti e l’eguaglianza sostanziale si realizzi (la preferenza del Dio cristiano per gli umili è un invito a tutti a farsi umili, a non credersi migliori degli altri), ma anche l’idea che barlumi e effetti della speranza si possano intravvedere già ora. Di qui il richiamo costante del papa alla pace che ricorre anche in questo documento.
Il conflitto, la guerra strutturalmente generano iniquità e l’iniquità è la dissoluzione della speranza. Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi, che assieme alla prima sono i due testi più antichi del Nuovo Testamento, parlando della seconda venuta del Cristo, che si rivelerà operando la salvezza alla fine dei tempi (che i primi cristiani ritenevano prossimi, come sempre accade nelle religioni che si presentano con toni apocalittici e rivoluzionari), scrive che prima della parusia del Signore dovrà compiersi l’iniquità e che questa si incarnerà in un uomo, figlio della perdizione. In realtà, “Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene”. Non so se la Chiesa cattolica insista più su questo tema (i cambiamenti dottrinali si misurano anche dai passi delle Scritture che non vengono più commentati), ma è difficile dire che “il mistero dell’iniquità” non sia una cifra interpretativa di tutta la storia, almeno fino al secondo avvento del Cristo. Anche se poi chi sia il figlio della perdizione che dovrà regnare prima della venuta del Cristo e cosa sia “ciò che trattiene” la manifestazione di questo figlio della perdizione non si riesce a comprenderlo. Non dobbiamo forse chiedere troppo a un testo profetico che nemmeno chi lo ha scritto forse capiva pienamente, quali siano stati eventualmente questi motivi. Nell’Apocalisse si dice che l’avvento della Bestia, con tutto il suo potere seduttivo, che prevarica perfino la sua capacità persecutoria, capace di operare incredibili prodigi, come far scendere il fuoco sulla terra, farà sì che la terra intera sarà presa dall’ammirazione per il suo potere. Il suo potere, che coniuga seduzione e persecuzione, renderà possibile anche sconfiggere i santi, ossia coloro che praticano la giustizia, e farà trionfare l’apostasia, vale a dire la corruzione della comunità dei credenti e, alla fine, del mondo intero.
Mi pare agevole, forse sin troppo agevole, individuare, dal nostro punto di vista, in qualche modo inevitabile, nella metafora del fuoco che scende sulla terra, la capacità umana di dominare gli elementi e di volgere la struttura della realtà in una direzione che non è naturale. Mi pare facile, cioè, pensare all’ammirazione per la Bestia, come all’ammirazione che noi tributiamo alla tecnica. Alla tecnica demandiamo la soluzione dei nostri problemi, e nella tecnica riconosciamo anche una capacità di sostituire la religione, soprattutto quando surroga l’escatologia, la domanda sulle cose ultime, con le sue promesse di immortalità. Perché c’è qualcosa in comune tra tecnica e religione, ossia la promessa di potenziare la nostra vita, nella maggior parte delle religioni con la promessa dell’immortalità e della gioia eterna e nella tecnica con la realizzazione in questo mondo di quanto le religioni promettono in una trascendenza inacessibile. È la promessa di una potenza donata non tanto a un indeterminato genere umano, quanto a ciascuno di noi, che risolverà l’iniquità rendendoci capaci di fare qualsiasi cosa, di essere sempre magri, sempre intelligenti, sempre giovani, sempre efficienti, sempre felici. È questa promessa la realizzazione dei sogni infantili di avere diritto a tutto, di avere aperte tutte le possibilità. E non ho nemmeno toccato il tema della declinazione di queste ansie escatologiche nella politica, perché in molte concezioni politiche che hanno afflitto la contemporaneità l’origine teologica è palese. Nel marxismo e nella sua idea di liberare tutto il nostro mondo dall’alienazione, sia il genere umano sia la natura, anch’essa alienata, perché soggiogata alle logiche del profitto, prospettando un mondo dove la necessità sarà abolita nel regno dell’abbondanza (che è in effetti la traduzione secolare della promessa paradisiaca). Nel fascismo e nella sua idea che la comunità di popolo sia un organo che trascende gli individui e ne realizzi la potenza nell’affermazione nazionale. Nel nazismo dove la comunità di destino è quella della razza padrona che domina un’Europa feudale, che ripristina la distinzione naturale tra signore e schiavo. E nei nuovi nazionalismi, come quello dell’idea russa che condensa in sé la persistente presenza di ortodossia, tradizione, autocrazia per dare un senso alle vite dei suoi cittadini alla ricerca di un farmaco alla malattia che ne ha sancito il ruolo di potenza di secondo piano, dopo i fasti della guerra fredda. Forse è anche questo il mysterium iniquitatis del quale parla l’apostolo Paolo: volere sempre di più, volere sempre più potenza alla ricerca di qualcosa che trascenda la nostra mortalità.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Endoxa marzo 2024 Pier Marrone Speranza
