EZIO CHE SOPRAVVISSE MORENDO A SALÒ
ERNESTO C. SFERRAZZA PAPA
1.
Sul Salò di Pier Paolo Pasolini, trasposizione cinematografica delle 120 giornate di Sodoma calate in un’Italia in procinto di liberarsi dalla morsa fascista, si è a lungo esercitata l’analisi filosofica. La struttura stessa che Pasolini conferisce alla sua opera ne rivela, sin dal primo fotogramma, la soda grana concettuale. Indizio decisivo in questo senso, la bibliografia – vero e proprio hapax della cinematografia italiana e non – che Pasolini inserisce tra i titoli di testa: Sade mon prochain di Klossowski, Lautrémont e Sade di Blanchot, Faut-il brûler Sade? di de Beauvoir, Sade, Fourier, Loyola di Barthes e L’ecriture et l’expérience des limites di Sollers.
È un’opera, insomma, che si presta – così come la sua matrice – a essere ricettacolo di suggestioni per la riflessione filosofica. Salò rappresenta la riproposizione mediata dal dispositivo cinematografico di un testo, quello sadiano, che ha messo a tema in maniera parossistica alcuni luoghi cruciali del pensiero filosofico e politico: la negazione dell’autodeterminazione dei soggetti; l’intreccio di potere e violenza; il lato perverso e sadico della sovranità; il corpo e le sue funzioni fisiologiche come punto di presa eccellente del potere; il diritto non come garanzia di vita ma come annuncio di morte.
Salò è un laboratorio critico che con troppa facilità si è interpretato come teatro della nuda vita, di una carne troppo docilmente a disposizione. È stato Giorgio Agamben a vedervi replicata la configurazione del “campo”, ove il potere si parerebbe innanzi ai corpi senza mediazioni di sorta. Non v’è dubbio che la configurazione pratica della Sodoma fascista sia disegnata per annichilire la potenzialità emancipatrice di una coscienza incatenata. Lo dice senza fronzoli il Duca Blangis nel suo discorso di benvenuto: “Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere, spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori dai confini di ogni legalità”. Tuttavia, questa è una lectio facilior.
2.
In Salò la sovranità del potere è frustrata, incontra nel suo cammino annientatore figure che ne certificano l’irrealizzabilità. Roland Barthes aveva rilevato la presenza di impossibilia nel testo di Sade, a indicare la dimensione puramente testuale e discorsiva di un potere assurdo. Peni enormi, rapporti sessuali impossibili, orgasmi sovrumani: il testo di Sade è una clamorosa e sperticata presa per i fondelli della volontà del potere.
Dal canto suo, spostandosi sulla riproposizione di Pasolini, Roberto Esposito ha molto acutamente notato come egli metta in scena potenti tattiche per sfiancare il delirio dei libertini fascisti e frustrarne il desiderio. Riprendendo un tema che attraversa tutta la letteratura critica sul sadismo, Esposito sottolinea la figura tremenda della vittima complice, che con obbedienza servile accetta la frusta. In uno degli scritti corsari, Pasolini rilevava che “non c’è disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima”: la vittima docile, che rispetta il suo carnefice e acconsente a ogni sua voglia, finisce con il godere della violenza che gli viene inflitta, intrattenendo con il suo tormentatore un’oscena liaison che gli consente di sopravvivere. In questo modo, al potere sadico viene tolto il suo punto di presa, ossia fare a un corpo ciò che il soggetto non vuole gli venga fatto, cosicché la norma sadica viene disattivata da una preda che non ha la minima intenzione di sfuggire ai colpi del cacciatore. Il piacere del sadico s’infrange contro il masochismo della vittima.
L’interpretazione di Esposito s’inspessisce ulteriormente nell’analisi della scena finale del film, laddove i Signori osservano a turno con un binocolo le sevizie mortali inflitte alle vittime. Questa variante sul tema rispetto al testo di Sade sarebbe nient’altro che la riprova che il godimento illimitato cui agognano è impossibile, puramente osservabile, oggetto teoretico piuttosto che esperienza pratica: “le frustate in aria del Monsignore, o la danza frenetica dei carnefici intorno ai cadaveri delle vittime, divengono lo stemma tragico dell’inconsistenza del potere – il crollo rovinoso del trono sovrano. Così come la circostanza che le torture non vengono effettuate direttamente dai Signori, ma solo contemplate da lontano, alla fine attraverso un binocolo, significherebbe l’impossibilità del loro orgasmo, e dunque l’autodistruzione del potere”.
3.
Nondimeno, questa lettura è ancora eccessivamente conciliante, concede troppo ai padroni. Bisogna riguardare le scene senza distrarsi: il Monsignore non frusta in aria, ma sferza con precisione la schiena delle vittime; l’assenza di orgasmo non rileva in alcun modo ai fini del rapporto sadico, e anzi potrebbe essere letta come l’unica possibilità per procrastinare all’infinito la violenza sui corpi; le torture vengono portate a termine direttamente dai Signori mentre uno di loro, a turno, ammira, assiso come un Re, gli amici e i tormenti. È vero che l’introduzione di una mediazione di sguardi attraverso il binocolo è filosoficamente rilevante e segna una differenza rispetto alla lezione sadiana, ma un’analisi attenta proprio delle scene richiamate da Esposito ne smentisce l’interpretazione. Diversamente dalla sua lettura, il tema del binocolo, ossia il differimento ottico della violenza, non va riferito alla relazione tra carnefici e vittime, ma a quella tra il film e lo spettatore. Non è un caso che il binocolo venga introdotto solo al termine della rappresentazione. Pasolini suggerisce, con un gesto di eccezionale maestria cinematografica, l’idea che, così come il Signore di turno contempla le nefandezze sui corpi innocenti, allo stesso modo lo spettatore le ha contemplate. In un universo corrotto, il ruolo di spettatore è già un ruolo colpevole.
Il problema rimane allora la costituzione di una soggettività rivolta a un processo di liberazione, a partire da una configurazione che impone alle coscienze solamente i ceppi. In una dinamica quale quella disegnata in Salò, come è possibile innescare un processo di liberazione dalle maglie del potere? Come sopravvivergli malgrado tutto? Quale gesto consacra lo spazio di emancipazione del soggetto nonostante le sbarre di un potere che lo imprigiona?
4.
In un episodio del film il potere sovrano, nella sua volontà di esercitare l’onnipotenza annichilendo le vittime, s’inceppa e mostra tutte le sue debolezze. In seguito a una catena di accuse reciproche – a testimonianza della contagiosità del male, in grado di sporcare anche l’innocenza delle vittime e renderle conniventi –, i Signori scoprono l’unione amorosa tra Ezio e una ‘serva nera’. Colti in flagrante, i due verranno uccisi, ma Ezio morirà mostrando ai Signori il pugno chiuso, a testimoniare in punto di morte la sua fede comunista opposta al loro credo fascista.
La morte di Ezio, come ha dichiarato Pasolini, è il punto culminante del film. Non certo perché il rapporto sinceramente amoroso tra la guardia e la serva puntelli di sentimentalismo una pellicola viceversa insostenibile, ma perché viene qui disegnato un altro schema politico, che si incista in quello che i Signori avevano meticolosamente organizzato e ne squaderna le debolezze. Ad affrontarsi sono qui nemici politici, comunisti opposti a fascisti: Ezio, a differenza del resto del serraglio, non muore perché infrange una regola, né perché destinato alla morte. La sua non è una vita puramente uccidibile, non è nuda nonostante egli nudo muoia. Ezio muore perché rivendica uno spazio di libertà all’interno di una configurazione che pretende di assegnare alle coscienze unicamente la testa china pronta per la lama. Non è un sacrificio eroico il suo, ma l’imposizione di una volontà da parte di un soggetto prigioniero disposto a scontare il prezzo della sua rivendicazione.
Il gesto rivoltoso di Ezio disorienta gli ‘amici’, che lo crivellano di colpi. Costringendo i Signori a giustiziarlo per la sua fede politica, Ezio si sottrae al rituale che celebra le fantasie dei padroni. Ed è proprio il rifiuto del rituale verticalmente imposto dal potere, che se riconosciuto e accettato trasforma i soggetti in nuda vita, a restituire il soggetto alla dimensione politica dalla quale era stato alienato. Ezio morirà, ma sottraendosi al desiderio del carnefice, e anzi precipitandolo dentro al tempo storico, dentro al conflitto tra soggetti politici dal quale i Signori si erano estraniati attraverso la tattica dell’isolamento spaziale.
Ezio rappresenta la figura estrema della resistenza al potere. Resistenza estrema perché esercitata a partire da una configurazione concreta organizzata per scongiurarla, e per questo destinata a un epilogo tragico. Ma il pugno chiuso alzato, la pretesa di morire da nemico politico e di subire la morte per fucilazione – riservata, appunto, ai nemici politici –, rivela il gesto pienamente moderno ch’egli compie. Certo, Ezio muore. Ma non è la morte di una “debole creatura incatenata”, bensì quella di una irrequieta soggettività, che osa agire la propria libertà e rivendica la politicità della sua morte.
La modernità di Ezio, figura tragica che sconta con la morte la ribellione, sta tutta nel processo di soggettivazione che lo consegna a un improvvisato patibolo. Il pugno chiuso, che disarma i libertini dei loro desideri senza storia e li ripiomba nel ruolo che avevano dismesso, quello di nemici politici, inaugura una nuova soggettività. Il cerchio è ormai spezzato, la ritualità del potere interrotta: la vittima non porge più il collo, e bisognerà sparargli a distanza. Non vi è più alcuna complicità tra vittima e carnefice: nessuna concessione della prima al secondo. Se Ezio può effettivamente disarmare la logica dei Signori, è perché manifesta la potenzialità di una trascendenza nei confronti del potere che può sempre essere rivendicata poiché inseparabile dal soggetto che la impugna. Il pugno chiuso di fronte ai carnefici è la negazione della loro sovranità e, come pendant, il rifiuto a essere ridotto a nuda vita. Un gesto che è una soggettivazione, che fa esplodere la coscienza imprigionata, riconsegnandole, almeno simbolicamente, fosse solo in articulo mortis, un primato dell’azione e una rivalsa contro il potere bestiale che pretende di calpestarla.
CINEMA ENDOXA - BIMESTRALE ENDOXA LUGLIO 2025 Ernesto Sferrazza Pasolini

