ONNIPOTENZA – EDITORIALE

PIER MARRONE

Intensificare, progettare, acquisire un potere che antecedentemente non si possedeva. Dobbiamo necessariamente muoverci in questa prospettiva, proprio per il fatto che siamo esseri limitati. Lo facciamo continuamente, anche nelle cose più semplici, quotidiane e banali. Prendiamo un ascensore. Non facciamo altro che intensificare e dare realizzazione alle nostre capacità nutrita dalla nostra volontà di salire in alto. Naturalmente, non ci basta salire in alto per giungere proprio lì, ovvero possiamo esserne momentaneamente soddisfatti, ma altre nostre aspirazioni sono guidate dai altri nostri desideri e quello di cui possiamo essere certi rispetto ai nostri desideri e che non si acquietano mai. Solo l’omeostasi della morte rappresenterà la fine di questa continua rincorsa. Forse, sarà proprio così, a patto di non reincarnarsi, perché rischieremmo di essere punto a capo. E anche con l’eterno ritorno di Nietzsche le cose non andrebbero meglio.

Il desiderio, per noi mortali, rimane sempre lì, si tratti di cercare di trovare il cavatappi in cucina per aprire una bottiglia, si tratti del fatto che non si riesce a staccarsi dalla bottiglia, si tratti di fare qualsiasi altra cosa. Il nostro desiderio ha la caratteristica di risorgere sempre, perché siamo esseri delimitati da molte mancanze e innumerevoli incapacità. Risorge anche perché noi ci proiettiamo oltre il nostro presente. Vogliamo essere da un’altra parte, in un tempo migliore di quello che stiamo vivendo, magari non sempre, perché capita pure che qualche volta siamo felici, ma di solito lo siamo perché pensiamo che nella nostra situazione limitata quanto stiamo vivendo è ciò che di meglio potrebbe accaderci. Forse abbiamo ragione, ma forse ci sbagliamo. Noi non abbiamo, infatti, la possibilità di esplorare realmente universi e tempi alternativi e di metterli a confronto tra di loro. E allora per un qualche momento, per un periodo, o per la vita intera ci accontentiamo di quanto stiamo vivendo. E, se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che in realtà siamo incapaci per la nostra stessa struttura antropologica di accontentarci. È la nostra capacità di immaginare che ci impedisce di farlo. È il fatto che non riusciamo mai a liberarcene.

La nostra immaginazione ci proietta in scenari alternativi, i più vari. Non è un caso che una momentanea pausa a questa costante presenza riusciamo a ottenerla solo se adoperiamo una qualche tecnica di meditazione, che molto spesso è concentrata sul focalizzarsi sul presente. Ma il presente sfugge sempre in avanti e allora quello che possiamo sapere è che il desiderio sempre risorge, inarrestabile, molto più forte di un fiume e di una marea. Vogliamo avere qualcosa di altro di quanto in questo preciso istante ci tocca in sorte, magari soltanto perché abbiamo fame o abbiamo sete; vogliamo essere in un altro posto e non nel luogo di lavoro che non ci soddisfa. E se quanto stiamo facendo ci sta soddisfacendo, allora è molto probabile che siamo vittime di una sorta di autoinganno, perché vorremo una soddisfazione ancora più intensa. L’onnipotenza è questa intensificazione delle possibilità, pensata come reale, come eterna e piena soddisfazione, forse. Non è un caso che talvolta quell’ente al quale attribuiamo l’onnipotente, lo pensiamo anche come onnisciente e, quindi, come privo di mancanze.

Essere onniscienti è una conseguenza dell’essere onnipotenti, ma l’onniscienza è una condizione che può esistere solo al di fuori del tempo. Per questo essere onnipotente, se mai esiste, tutto dovrebbe essere un eterno e istantaneo presente. Si tratterebbe di un tempo congelato nel quale non ci sarebbe alcuna necessità di desiderare alcunché, perché ogni oggetto e ogni evento di ogni universo possibile sarebbe a questo essere presente. Non si tratta, cioè, di un caso, se anche nel linguaggio comune noi talvolta parliamo di delirio di onnipotenza, modulando l’onnipotenza impossibile per noi sullo schema della patologia.

Forse l’onnipotenza non è posseduta da nessuno. Non può essere una proprietà di nessuno. Esiste nella logica filosofica una letteratura ampia sui paradossi che vengono generati dal concetto di onnipotenza, che molti, la maggior parte degli studiosi, ritiene inconsistente, privo di coerenza, destinato a generare una contraddizione e poiché da una sola contraddizione si può ricavare qualsiasi conseguenza, allora l’onnipotenza è legata al suo cadere fatalmente su sé stessa, rovinosamente. Non era qualcosa di ignoto ai filosofi del passato. Descartes non trovava nessun motivo per il quale il suo dio avrebbe potuto contraddire gli enunciati della matematica e della geometria, che persino noi, che siamo essere finiti, e non infiniti come lui, riusciamo qualche volta a dimostrare. Ma come faceva a esserne così sicuro, se non negando, implicitamente e forse anche un po’ disonestamente, proprio quanto si trattava di dimostrare, ossia che il suo dio non era onnipotente e, assieme, immensamente buono.

Questa aspirazione alla bontà è naturalmente un punto a favore del suo dio. Perché noi non pensiamo all’intensificazione delle nostre possibilità solo per risolvere il problema della fame del mondo, della guerra, della violenza domestica, e così via. La pensiamo anche per intensificare il nostro piacere, per avere di più, per essere di più, ogni volta qualcuno di diverso da quello che ci è toccato in sorte di essere. E non potendo raggiungere l’onnipotenza con il pensiero declinato nella realtà, poiché questa non vi può mai corrispondere, cerchiamo di approssimarvici con la tecnica, che è il prolungamento nella realtà delle nostre aspirazioni nutrite da un’immaginazione abissale e mai sazia. Per questo la tecnica è da numerosi pensatori pensata come la forza più imponente che sia mai apparsa nella storia dell’umanità. Una forza capace di trascendere gli individui, i popoli, i sistemi politici, per il fatto molto semplice che senza le realizzazioni tecniche, da quelle più umili a quelle più complesse, non esisterebbero né individui, né popoli, né sistemi politici. Anche i popoli hanno una loro immaginazione, di solito quella di dominare su altri popoli, o di allearsi con altri popoli per dominarne altri. E il dominio è spesso, se efficace, una potenza che domina l’immaginazione di chi è dominato. Una delle potenze dei sistemi totalitari e di essere concepiti da coloro che ne sono schiavi come eterni, ossia come trascendenti il presente. Per questo quando un regime totalitario cade e dimostra la sua impotenza le reazioni variano dal sollievo al giubilo all’incredulità. Possibile che ciò che aveva l’ambizione di essere onnipotente per me, si sia rivelato improvvisamente impotente? L’onnipotenza è un limite del nostro pensiero, fortunatamente è un limite della nostra capacità di realizzare ciò che si può desiderare. Non altrettanto fortunatamente vorremmo costituisse un limite di quanto in maniera inarrestabile dobbiamo desiderare. Ma qui sembrano non esserci grandi alternative: se smettiamo di desiderare, allora non ci siamo più.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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