QUESTO RAGAZZO
PIER MARRONE
Questo ragazzo.
Questo ragazzo trascorre il mese di luglio nella sua città. Forse è stato al mare. Cosa abbia fatto di preciso nessuno è in grado di ricordare. Sono passati anni che sembrano eoni. Al mare, se ci è stato, come è probabile si faccia in una città di mare, quando non si hanno soldi per andare in vacanza, avrà letto il giornale, avrà letto qualche pagina di qualche libro, si sarà fatto una corta nuotata prima di distendersi sul cemento caldo che a nessuno viene in mente di chiamare spiaggia. Avrà pensato alla sua ragazza. Avrà pensato a tutte le cose che la vita potrebbe riservargli, portando a compimento l’adolescente che è, ma non sente di essere. Tutte le cose che potrebbe fare nel futuro. Una miriade di possibilità, di azioni indefinite, di incontri, che a quell’età che lui ha, ma che non pensa di avere, sono tutte positive e con lo stigma della volontà che non conosce limiti, che non vuole saperne di conoscere i propri limiti, che è ignorante sui propri limiti.
Ma quante sono le cose che si possono fare? Per quanto la sua vita si possa prolungare a lungo nel tempo, questo ragazzo sa di non essere immortale. Fantastica ogni tanto di esserlo, per cercare di capire che effetto potrebbe fare, ma come è difficile dire che effetto faccia essere un pipistrello, così sembra complicato dire che effetto faccia essere immortale, se molto probabilmente non lo sei. Magari questo ragazzo lo è e non lo sa, come succede in qualche serie televisiva per young adult. Però anche in questo caso, che differenza fa? Non c’è stata nessuna inaspettata agnizione della propria condizione di immortale. Dunque, è molto probabile che la sua credenza sulla propria mortalità sia una credenza vera giustificata sulla base di quella che è la sua esperienza della vita, un’esperienza ancora limitata, ma che già contempla la conoscenza del fatto che gli esseri umani muoiono. Ma ammettiamo di non morire, si immagina questo ragazzo, caricato dalle energie del sole e del mare, che lo fanno sentire più vivo che mai. Quante cose potrà essere capace di fare? Avrà solo l’imbarazzo della scelta. Nulla gli sarà precluso. Magari non riuscirà a accumulare in poco tempo un grande patrimonio per smettere di lavorare, ma disponendo di un tempo infinito di certo ci riuscirà, con uno sforzo piccolo, tutto sommato, se misurato sull’infinità del tempo che avrà a disposizione.
È proprio vero che l’unico limite sarà il suo imbarazzo, ossia la vertigine per un insieme infinito di scelte? Questo ragazzo poi ha una certa familiarità con le problematiche dell’infinito e su qualche paradosso che l’idea di infinito può generare. Ad esempio: questo ragazzo sa che la cardinalità (ossia il numero di elementi) dell’insieme dei numeri reali (l’insieme di numeri che include tutti i numeri razionali e i numeri irrazionali) è infinita, ma sa anche che la cardinalità dell’insieme dei numeri primi è infinito. Eppure i numeri reali sono più numerosi dei numeri pari. L’insieme infinito dei numeri primi è meno infinito dell’insieme dei numeri reali? Allora forse le cose che potrebbe fare se avesse un tempo infinito potrebbero non essere dello stesso ordine di grandezza infinita delle cose che accadrebbero nell’intero universo.
Così la vertigine di questi pensieri di questo ragazzo, disteso al mare, lo culla come un’onda silenziosa e rassicurante. È bello fantasticare, anche senza che le nostre fantasie ci portino in qualche luogo sicuro. Anche un filosofo al quale si era appassionato, Descartes, quello che i manuali descrivono come il padre della filosofia moderna, fantasticava cose assurde: di avere un corpo di vetro ad esempio, di essere accanto al fuoco anziché a letto, di essere costantemente ingannato da un dio malvagio, che gli potrebbe far credere che due più due è eguale a quattro, mentre non è così. Come è possibile una cosa del genere? Davvero un dio potrebbe fare una cosa del genere? Decartes pensa che lo potrebbe fare solo un genio maligno e non il dio cristiano che è sommamente benevolo. Lui no, lui non potrebbe farlo. Ma cosa significa che non lo potrebbe fare? Significa che potrebbe se lo volesse? Forse significa questo. Del resto il dio della tradizione cristiana è concepito come onnipotente (e quindi anche onnisciente). Non c’è nulla che non potrebbe fare, se solo lo volesse.
Come deve essere la mente di un dio onnipotente, che può contemplare qualsiasi possibilità, che può realizzare qualsiasi cosa, perché non esiste la frattura tra pensiero e realtà possibile, che prova questo ragazzo disteso al sole. La sua vertigine, pensa questo ragazzo, è la frattura radicale tra quello che penso e quello che posso realizzare. “E nel pensiero però posso pensare quello che voglio. Almeno nel pensiero mi avvicino alla divinità.” Questo ragazzo pensa che si vergognerebbe di dire a alta voce una cosa del genere. “Posso pensare quello che voglio? Davvero? Posso pensare che il triangolo abbia 7 lati? Posso pensare che la serie dei numeri primi si esaurisca con il numero 19? Nel primo caso io posso esprimere verbalmente la frase “il triangolo ha 7 lati”, ma questa frase non può esprimere una credenza che io effettivamente abbia, se so realmente il significato di che cosa sia un triangolo. Nel secondo caso io posso effettivamente credere che la serie dei numeri primi si esaurisca con il numero 19, ma la mia credenza non è vera né è giustificata da alcunché.”
Questo ragazzo è ora rassicurato. Non è possibile pensare qualsiasi cosa e pensare che il proprio pensiero corrisponda alla verità. C’è qualcosa di migliore fuori di noi, questo pensa questo ragazzo, ed è la verità che noi possiamo talvolta raggiungere. Ecco: è forse la verità a essere, almeno per noi, un limite alla nostra onnipotenza. La verità è un freno al pensiero più selvaggio e, forse, al pensiero più violento, perché tu potrai forse credere di potere tutto, ma la realtà ti piomberà addosso. Questo ragazzo sa di non potere tutto anche se fosse immortale (e come sa di essere mortale? Ha visto dei cadaveri, ha sentito dire che il vicino di casa era morto quando era bambino, ha contemplato per degli attimi congelati nella sua memoria il volto scavato del nonno morto da qualche ora. Ecco allora che pensa anche lui di essere mortale, ma potrebbe essere che non lo sia. Chi può dirlo?). Ma tutt’altra faccenda è poter fare qualsiasi cosa. Potrebbe trasformarsi in un una tartaruga, forse, se tra qualche millennio ci saranno delle tecniche che lo consentano. Ma non potrà mai essere un numero primo. Non potrà mai essere un solo elettrone. Quindi, questo ragazzo ha la ragionevole certezza di non essere immortale, forse, ma sa per certo di non essere onnipotente.
Cosa potrebbe mai accadere con un essere che fosse nello stesso tempo immortale, anzi, ancora meglio, che fosse eterno e fosse onnipotente. Un dio potenzialmente signore di tutto l’universo, anche quando l’universo non lo avesse creato lui, perché potrebbe sempre distruggerlo per un suo capriccio. E poi se è onnipotente che importanza potrebbe avere che questo universo non lo abbia creato lui. Magari ne ha creati innumerevoli altri, come un ragazzino che costruisce castelli di sabbia sulla spiaggia d’estate. Questo ragazzo non è forse diverso da quel ragazzino, perché anche lui costruisce castelli nella sua mente. Cosa si potrebbe provare a essere questo dio onnipotente? Quale vertigine? Qualcosa simile forse a quella che prova questo ragazzo disteso al sole in quella giovinezza dove tutto sembra possibile. Ma è davvero possibile tutto? Questo dio potrebbe esistere? L’onnipotenza è poter fare qualsiasi cosa, anche le cose più assurde, va da sé? Un dio onnipotente potrebbe ferirsi se avesse un corpo e dal momento che è onnipotente potrebbe anche dotarsi di un corpo. Potrebbe decidere di essere masochista per vedere che effetto fa. Potrebbe decidere di avere la mente di un pipistrello, così finalmente qualcuno saprebbe che cosa significa essere un pipistrello. È chiaro che però se è stato lui a creare il nostro universo lui già sa che cosa significa essere un pipistrello. Potrebbe dimenticarsi che cosa significa avere la mente di un chirottero per provare di nuovo l’esperienza di averla. Ma un dio onnipotente dovrebbe essere anche onnisciente: queste due qualità è chiaro che debbano andare insieme, pensa questo ragazzo. Un dio onnisciente potrebbe dimenticare? Questo ragazzo ne dubita. Dimenticare sembrerebbe porre un limite alla propria onnipotenza, ossia fare di un dio che è onnipotente qualcosa di meno. Sarebbe sempre un essere che a questo ragazzo procura la vertigine della realizzazione di ciò che è possibile in infinite direzioni, ma non la vertigine di potere tutto in qualsiasi direzione, perché ci sarebbe almeno qualche cosa che non potrebbe ricordare.
(A questo ragazzo nel futuro della vita capiterà di visitare una grotta in un paese con una grande varietà di chirotteri. Una grotta piena di piccoli pipistrelli. La guida sosterrà che una particolare femmina, tra le centinaia di pipistrelli che a quello che è stato questo ragazzo paiono tutti eguali, lo riconosce e lui riconosce lei. Forse è un’incarnazione di un dio penserà questo ragazzo. Di un dio, magari, che si è scordato di essere tale.)
Quale possa essere il piacere di agire, di fare qualcosa, di fare qualsiasi cosa per un essere che è onnisciente, questo ragazzo non sa spiegarselo. Ma il piacere della novità è per ovvi motivi un piacere riservato a creature limitate, non a un dio onnipotente. Forse anche questo sarebbe un limite per questo dio. Un dio onnipotente e onnisciente potrebbe soffrire come soffriamo noi? Solo se lo volesse, per mezzo del suo libero arbitrio, ammesso che il libero arbitrio sia compatibile con l’onniscienza. È questo il mistero cristiano dell’incarnazione. Questo ragazzo non pensa, se non fugacemente, all’incarnazione, anche perché gli è difficile credere che ci sia gloria e redenzione nella sofferenza, soprattutto se alla maggior parte di quelli che potrebbero essere salvati importa ben poco della sofferenza di un dio che ha rinunciato alla sua onnipotenza, sebbene momentaneamente.
E alla fine, disteso al sole, questo ragazzo pensa che il problema non sia tanto cosa se ne potrebbe fare un essere onnipotente della sua onnipotenza, quanto se un essere onnipotente possa esistere. Un essere del genere avrebbe a disposizione tutto quanto è immaginabile da una mente infinita. Cosa ne sappiamo noi di questo contenuto? Quasi nulla, perché non possiamo paragonarci a un essere onnipotente e onnisciente, dal quale siamo infinitamente distanti. Siamo infinitamente distanti da lui, che alberga dentro di sé infiniti in numero infinito. Però qualcosa ne sappiamo. Quasi nulla non è niente. È pur sempre qualcosa, si dice questo ragazzo. Ed è allora che una saetta attraversa la mente di questo ragazzo. Quando non sarà più un ragazzo, ne penserà come se un satori, un’improvvisa illuminazione gli si fosse palesata. Sarà pure onnipotente, ma se decidesse di suicidarsi? Se decidesse di annichilirsi potrebbe mai tornare all’esistenza? No. Non potrebbe farlo perché non esisterebbe più. Certo, se fosse vero quello che hanno pensato alcuni filosofi della divinità, concettualizzata come un divino orologiaio che sovrintende al funzionamento dell’universo, sarebbe un bel guaio, perché l’universo, in assenza di un testamento olografo del divino artefice, rischierebbe di precipitare nel caos. Ma forse la divinità è una divinità che piange per la nostra cattiveria o perché si aspettava qualcosa di più da noi, che, in effetti, non abbiamo dato una buona prova di noi stessi. Potrebbe anche essere che decida di suicidarsi per tutte altre ragioni. Forse è annoiato di sapere tutto fin nei minimi dettagli. Che gusto c’è, se non accade mai nulla che tu non sappia debba accadere?
Ad ogni modo, pensa questo ragazzo, se decidesse di annichilirsi non potrebbe ritornare all’esistenza, perché se potesse tornare all’esistenza, allora qualcosa di questa divinità avrebbe dovuto conservarsi, ossia non si sarebbe annichilita realmente, ma avrebbe soltanto finto di annichilirsi. L’onnipotenza è in scacco pensa questo ragazzo con l’incoscienza dell’adolescenza, come se un pensiero potesse causare sul serio qualcosa, fuori dalla volontà. Questo ragazzo ha appena riscoperto il paradosso dell’onnipotenza.
Questo pensiero lo stordisce. Cerca una cabina telefonica. Telefona alla sua insegnante di filosofia, che certamente sarà sorpresa di ricevere questa chiamata. Amabilmente, questa persona che si accinge a cambiare la vita di questo ragazzo, gli spiega che era un problema che ha assillato molti, ad esempio Leibniz, la cui filosofia questo ragazzo capirà solo nella maturità. Nella maturità di questo ragazzo gli capiterà, quando sarà lui a essere un professore, di spiegare in un’aula universitaria questo paradosso. Uno studente ne rimarrà sconvolto e comincerà a alzare la voce dicendo che dio non può volere il proprio annichilimento. Ma, obietterà questo ragazzo giunto oramai nella sua maturità professionale, se non può volere, in un senso rigoroso, allora significa che onnipotente non è. Il tono della voce dello studente continua a salire. Non continuerà a frequentare il suo corso.
L’onnipotenza è inconcepible, quindi? Questa è l’ultima parola che può essere detta sul problema? Come tutti i paradossi anche di questo non si può dire che si risolva, ma c’è forse, addirittura, un modo di rivoltarlo contro sé stesso, che questo ragazzo non poteva conoscere in quell’estate luminosa che decise molto della sua vita e nella quale trovò una vocazione, senza che lui ancora lo sapesse. Nel 1991 un filosofo e logico britannico, Graham Priest, pubblica un breve articolo dal titolo promettente: The Limits of Thought – and Beyond, che in effetti è un titolo strano, specialmente se proviene da un logico, perché, se siamo d’accordo sul fatto che possiamo indagare i limiti del pensiero e della ragione (questo è un tema classico della filosofia), accostare “limiti” e “oltre” pare condurre a una contraddizione, e la contraddizione è fatale per ogni pensiero razionale, perché da un sistema che contiene una contraddizione, si può dedurre qualsiasi conclusione.
È ora di mettere in questione questa conclusione, o meglio è ora di smettere di considerarla fatale. Per molto tempo, cosi scrive Priest, l’umanità, almeno quella occidentale, si è per lo più collocata all’interno di un universo ben delimitato, dove il cosmo era un sistema chiuso. Questa visione, che pure aveva avuto i suoi critici anche nell’antichità, venne progressivamente demolita nei secoli sedicesimo e diciassettesimo. Oggi è patrimonio comune pensare che l’universo potrebbe essere infinito. Un argomento, già utilizzato dal filosofo greco Archita, individuava nell’idea stessa di limite una contraddizione e quindi la necessità di andare oltre il limite, come anche suggerirà Priest non più per il mondo fisico, bensì per il pensiero. Scrive Archita, in un passo riportato da Eudemo a un commento alla Fisica di Aristotele: “Se mi trovassi all’ultimo cielo, cioè a quello delle stelle fisse, potrei stendere la mano o la bacchetta al di là di quello, o no? Ch’io non possa, è assurdo; ma se la stendo, allora esisterà un di fuori, sia corpo sia spazio (non fa differenza, come vedremo). Sempre dunque si procederà allo stesso modo verso il termine di volta in volta raggiunto, ripetendo la stessa domanda; e se sempre vi sarà altro a cui possa tendersi la bacchetta, è chiaro che anche sarà interminato”.
Se tu poni un limite, allora sai che cosa c’è da una parte del limite e cosa c’è dall’altra parte. Il limite è come una frontiera tra due paesi. Non puoi pensare che al di là della frontiera del tuo paese ci sia il nulla. Ci sarà sempre qualcosa, si tratti pure del potere frenante dell’acqua, come dicono quelli che si occupano di geopolitica. Ma passiamo adesso al pensiero e facciamo l’ipotesi che esistano dei limiti a quanto può essere pensato. Forse ci sono delle cose che sono troppo complesse per essere pensate. Il nostro cervello è finito in vari sensi e non è difficile ammetterlo. Però se lo ammettiamo, allora, come se ci muovessimo sulle orme di Archita, dobbiamo ammettere che esistano alcune cose al di là di questo limite, che saranno inconcepibili. Abbiamo però visto che porre un limite, tracciare un confine, sia pure al pensiero, significa avere un’idea di ciò che c’è su entrambi i lati del confine. Per Priest questo è un argomento a favore di una forma di idealismo. Il realista sostiene che esistono cose che esisterebbero anche se non fossero pensate (un albero che cade nella foresta di un pianeta lontano un miliardo di anni luce, dove non c’è nulla di paragonabile a una coscienza, ad esempio). Devono quindi esserci cose che sono inconcepibili. Ma se è così, allora “deve esistere un confine tra ciò che è concepibile e ciò che non lo è. E questo è proprio ciò che questo argomento esclude.” Poniamo un limite e nello stesso momento non lo poniamo. Lo mettiamo e, mentre lo mettiamo, anche lo togliamo. La contraddizione, proprio come la pensava Hegel, è reale e deve esistere nel pensiero. Scrive Hegel che “il limite (tesi) e la negazione di questo limite (antitesi) non rappresentano altro che le affermazioni opposte, cioè che un limite esiste e che il limite è ugualmente un limite superato; che il limite ha un oltre, con cui è in relazione e oltre il quale deve passare.” E così commenta Priest: “Il pensiero, per così dire, pensa a questi limiti e, nel farlo, inciampa su di essi: non può fare a meno di compiere l’impossibile andare oltre.” L’onnipotenza è la promessa, forse la necessità di compiere l’impossibile?
Questo ragazzo allora inciampò in qualcosa, quando il pensiero dell’onnipotenza emerse nella sua mente scaldata dal sole, anche se non se ne rese conto a lungo. In che cosa sia inciampato non gli risultò chiaro nemmeno quando, uomo maturo, si voltò più volte indietro. Forse nel fatto che semplicemente è necessario pensare oltre i propri limiti.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Endoxa settembre 2025 Onnipotenza Pier Marrone
