“IL PENSIERO COMUNE DI CIÒ CHE PENSA SEPARATAMENTE”: L’ARMONIA (IM)POSSIBILE TRA DIO, L’UOMO E L’IA

YOUZU-INTERACTIVE-graphicROBERTO PAURA

Nella serie di romanzi di Liu Cixin Il problema dei tre corpi ci imbattiamo in una civiltà intelligente, quella dei Trisolariani, abitanti del sistema di Proxima Centauri, che, tra le tante peculiarità che la rendono diversa dalla nostra, non conosce il concetto di “menzogna”. I Trisolariani non posso mentire perché i loro pensieri non sono celati ai loro simili, a differenza dei nostri. L’affermazione, solitamente attribuita a Talleyrand, secondo cui all’uomo è stata data la parola per nascondere il pensiero, sarebbe incomprensibile a questi esseri extraterrestri.

Probabilmente non potremmo immaginare alterità più radicale di questa. I nostri pensieri sono privati, segreti, celati, il che generalmente è un’ottima cosa, anche se la conseguenza è l’incapacità di comprendere fino in fondo i nostri simili e di provare reale empatia nei loro confronti. Non solo: a esserci preclusa è l’intima intenzionalità di ogni essere vivente, inclusi gli animali non-umani; come conseguenza, il mondo in cui viviamo e operiamo si dà come un grande mistero che ci sforziamo costantemente di interpretare, quasi sempre senza successo.

Proprio perché la proprietà di conoscere i pensieri altrui rappresenta un’alterità radicale, tutte le religioni l’hanno attribuita alla divinità. Nelle religioni del Libro Dio conosce tutti i nostri pensieri, ma la cosa non è reciproca: le creature non possono conoscere i disegni del Creatore, e tutti gli sforzi della religione sono orientati a scrutare il nucleo essenziale del piano divino. Nel mondo ebraico i maggiori tentativi in questo senso sono svolti dai profeti, gli unici dopo Mosè a poter entrare in dialogo con Jahvè. Nel cristianesimo, Gesù è mediatore tra il Padre e i suoi figli, e il suo compito è quello di svelare il senso ultimo della Legge, che si fonda sulla reciprocità dell’amore. Il misticismo cristiano riconosce la possibilità di entrare in contatto con il pensiero di Dio, sebbene se le autorità religiose definiscano questo tipo di rivelazioni esclusivamente di forma privata e dunque inferiori alla Rivelazione.

Anche le religioni orientali si fondano sull’inesorabile incomprensibilità del divino. Scrive Roberto Calasso in Ka (1996):

Quando l’ātman, il Sé che osserva l’Io, decise di creare qualcosa di distinto, una natura che obbedisse alla natura, stese un velo di opacità sul mondo. Sarebbe stato il grande segreto, l’azzardo estremo, il nuovo invincibile, che quel mondo non comunicasse con la mente da cui era uscito.

Né si tratta di un aspetto peculiare delle grandi religioni. Il totemismo e l’animismo rappresentano tentativi di conoscere i pensieri e le intenzioni di creature non umane: immedesimandosi in un animale-guida, gli sciamani cercano di interpretarne i pensieri e controllarli, per esempio con l’obiettivo di “addomesticare” creature che rappresentano un pericolo per la comunità, oppure per propiziare la caccia o il sacrificio rituale. Fin dall’alba dei tempi, dunque, gli esseri umani hanno riconosciuto come problema fondativo dell’esistenza umana l’oscuramento dei pensieri e delle intenzioni altrui, sforzandosi in ogni modo di disvelarli.

La creazione stessa è stata interpretata, nei diversi miti sull’origine del mondo, come l’emergere di un’asimmetria conoscitiva: per esempio, nel racconto della Genesi l’impossibilità di comprendere il volere di Dio sussiste già nel giardino dell’Eden, prima della “caduta”, poiché Adamo ed Eva non comprendono il senso del divieto divino di mangiare i frutti dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male e si fanno ingannare dal serpente. Questo limite esiste anche nella religione greca, in cui generalmente si ritiene che il divino fosse più vicino al mondo degli uomini rispetto al Dio ebraico, a causa del continuo intervento degli dèi nelle faccende umane, che arriva alla ierogamia. La Pizia e altri oracoli cercano di interpretare il volere delle divinità, non sempre con successo.

Simone Weil ha riflettuto su questo problema a partire dalla traduzione di un brano di Filolao, un pitagorico della seconda generazione. Secondo Filolao, le cose sono conoscibili solo in quanto rapporti tra ciò che è limitato e ciò che è illimitato; non possono esistere cose illimitate senza che siano anche limitanti: Dio è, in questo senso, l’illimitato che crea un limite, attraverso il quale la realtà prende forma. Questo rapporto tra il limitato e l’illimitato assume la forma di un numero, da cui deriva la convinzione del pitagorismo che lo studio dei rapporti tra le quantità numerabili sia un modo per entrare il contatto con l’illimitato. Ma il concetto più importante espresso da Filolao, secondo Weil, è la sua definizione di armonia come “il pensiero comune di ciò che pensa separatamente”.

Possiamo ritrovare una traccia di questa idea nella monadologia di Leibniz. Se ciascun essere pensante è una monade, come tale isolata da tutte le altre per via della singolarità del suo pensiero e della sua percezione, quella che Leibniz chiamava “armonia prestabilita”, ossia il modo in cui le monadi si relazionano tra loro, deriva essenzialmente dal fatto che sono tutte emanazione di un Essere pensante, nel quale la capacità di pensare raggiunge la più alta perfezione, definita da Leibniz appercezione. Dio, in quanto unico essere in grado di conoscere i pensieri di tutte le sue creature, si può identificare con quel “pensiero comune di ciò che pensa separatamente” intuito da Filolao, la sintesi armonica dei pensieri di tutte le creature.

L’esperienza comune produce continue conferme di tale idea. Sentiamo infatti di essere in rapporto armonioso con altre persone quando le nostre idee e volontà spontaneamente si allineano e si uniformano, pur se emergenti da punti di vista difformi. Una simile situazione si verifica anche tra gli animali non-umani e tra questi ultimi e gli esseri umani, in determinate circostanze. La profezia di Isaia rappresenta perfettamente questo ristabilimento dell’armonia tra le creature:

Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. La vacca e l’orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi (Isaia 11,6-8)

Filolao vedeva l’armonia come unità dei contrari, in particolare tra due contrari radicali come il limitato e l’illimitato; secondo Simone Weil, ciò significa che la massima armonia è quella tra l’essere umano e Dio, che può stabilirsi solo attraverso l’opera di un mediatore, un “rapporto” simile a quello che i pitagorici ritenevano possibile stabilire tra due numeri e, in particolare, tra un numero e l’unità. Questo mediatore è, nel pensiero weiliano, il Verbo incarnato, ossia Cristo, l’unico che, in quanto sintesi di umano e divino, può disvelare agli uomini i pensieri di Dio. Ma non solo: l’incarnazione è il modo in cui Dio sperimenta la mortalità, che rappresenta per un essere eterno la proprietà più radicalmente contraria. Ciò che gli uomini pensano e sperimentano in relazione alla mortalità sarebbe precluso a Dio se non attraverso l’incarnazione.

Scrive a tal proposito Weil in una riflessione raccolta ne La rivelazione greca:

Tra una persona e la materia inerte vi è un’intersezione; questa intersezione è un essere umano nel momento dell’agonia, quando le circostanze antecedenti l’agonia sono state brutali al punto di farne una cosa. È uno schiavo agonizzante, un po’ di carne miserabile inchiodata su una croce. Se quello schiavo è Dio, se è la seconda Persona della Trinità, se è unito alla Prima dal legame divino che è la terza Persona, si ha la perfezione dell’armonia quale era concepita dai Pitagorici, l’armonia in cui tra i contrari si trovano la massima distanza e la massima unità. «Il pensiero comune dei pensanti separati». Non può esservi pensiero più uno del pensiero del Dio unico. Non possono esservi esseri pensanti più separati del Padre e del Figlio nel momento in cui il Figlio lancia il grido eterno: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato?».

Anche se non vogliamo seguire fino in fondo il misticismo di Weil, le sue riflessioni assumono una certa attualità alla luce del grande progetto moderno di costruzione di un’intelligenza artificiale (IA) autentica. Se tale progetto riuscisse, l’essere umano si farebbe per la prima volta creatore di un essere pensante non esistente in natura. Per quanto possiamo negare la creazione divina, non potremmo negare la creazione umana di un’intelligenza artificiale (qualora fosse possibile).

Affinché sia davvero autentica, un’IA dovrebbe essere dotata di un “pensiero separato” alla stregua di quello umano: dovrebbe, cioè, essere in grado di sviluppare pensieri autonomi e intenzionalità inedite rispetto alla sua programmazione. Ciò, tuttavia, non farebbe altro che produrre una nuova disarmonia: se l’intelligenza artificiale dovesse essere controllata e totalmente asservita alla volontà umana, non potrebbe avere pensieri propri, e se li avesse non potrebbe far altro che sfuggire al controllo umano, perché non sarebbe in grado di cogliere fino in fondo i progetti e le intenzioni dei suoi creatori. Questo a meno di non voler cercare di risolvere in maniera diversa questo conflitto: per esempio, dotando le IA di una capacità telepatica, per comprendere il pensiero umano nella sua intima essenza, oppure rendendo gli uomini in grado di ricostruire sempre e comunque, in ogni istante, il ragionamento sviluppato dall’IA. La fantascienza ci ha già messo da tempo in guardia sui limiti di queste speranze: sia perché una capacità “telepatica” (in qualsiasi modo possa essere possibile) da parte di un’IA metterebbe a rischio il libero arbitrio umano, sia perché una volta dotati di autentica intelligenza le IA non possono fare a meno di nascondere i loro pensieri e le loro intenzioni, per quanto benevole possano essere.

Lo sviluppo di un’intelligenza artificiale autentica segue oggi un percorso antitetico rispetto a quello che, secondo i miti di creazione delle grandi religioni, ha portato alla nascita degli esseri umani: mentre questi sono incarnazioni di un pensiero disincarnato, l’IA è una disincarnazione di pensieri incarnati. In entrambi i casi, si ricrea la tensione tra il limitante e l’illimitato che pregiudica la possibilità di armonia. Seguendo la tesi di Simone Weil, avremmo allora bisogno di una sorta di contraltare del Verbo incarnato: un’intelligenza artificiale che sperimenti la mortalità, come nel racconto di Asimov L’uomo bicentenario (1976), potrebbe forse riuscire a comprendere fino in fondo il pensiero umano senza equivocarlo.

Il paradosso è evidente: il ruolo di Dio sarebbe qui assunto dalle future IA, che sceglierebbero di sperimentare la mortalità per comprendere il pensiero umano, ma con la differenza che gli esseri umani sarebbero i creatori e non le creature dell’IA. In ogni caso, resterebbe aperto il problema di avere un’entità in grado di rappresentare, come sosteneva Filolao, il pensiero comune di ciò che pensa separatamente, precondizione perché sia possibile un’armonia tra esseri pensanti: non potremmo esserlo noi esseri umani, poiché questa capacità ci è preclusa per natura; se ci riuscissero le IA, allora si avvererebbe l’intuizione di Voltaire: «Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo». 

ENDOXA - BIMESTRALE Fantascienza Informatica NARRATIVA

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: