GESTI D’IN-AMICIZIA: DIRE, DISDIRE, RIDIRE L’ALTRO – EDITORIALE

jacques-derridaFERDINANDO MENGA

Trent’anni fa Jacques Derrida dava alle stampe Politiche dell’amicizia. Dei suoi testi, certamente, uno tra quelli che maggiormente hanno avuto influenza e successo non soltanto nel panorama filosofico in senso stretto, ma anche in quello generalmente culturale. Un’opera che ha saputo dare nuovo tono e slancio all’interrogazione su una categoria così fondamentale per la nostra tradizione, alimentando discussioni e nuove aperture entro l’immaginario etico, politico, ma anche giuridico.

Attraverso il tipico esercizio di lettura decostruttiva, il testo di Derrida prende avvio e – a mo’ di refrain – viene scandito dall’iterazione della celebre citazione: “O miei amici, non c’è nessun amico”. Affermazione, questa, che non semplicemente implode in quella che potremmo definire un’autocontraddizione, ma che piuttosto, nella sua genuina consistenza esperienziale, impone di muoversi in un precario equilibrio denso di significati e prospettive.

È il caso di soprassedere, in questa sede, sull’intricata intelaiatura di rimandi che scaturisce dalla sua natura di citazione e dall’oscura genesi che la vede non riconducibile a una sicura paternità. Concentriamoci, invece, proprio sul portato evidentemente paradossale, ma al contempo effettuale, che la attraversa.

Derrida, magistralmente, ne fa esplodere la presunta unitarietà, disseminandola nei molteplici rivoli che tanto la mettono in scena, quanto allo stesso tempo la mettono in mora.

Da un lato, in effetti, “politiche dell’amicizia” rinvia al gesto poderoso al cuore della nostra tradizione: gesto volto all’investimento in una concettualizzazione eminentemente sostanzialistica. In tale scia, “amicizia” rappresenterebbe, dunque, il rilascio categoriale sotto l’egida dell’Uno che tutto tiene. Se vogliamo, gesto volto all’affermazione – o, quanto meno, ricerca, desiderio, pretesa – di un’unitarietà che intesse e condensa l’esperienza tutta: dal microcosmo delle relazioni strettamente interindividuali al macrocosmo delle organizzazioni collettive in senso ampio e strutturato. Gesto di pacificazione metafisica per eccellenza e, di conseguenza, tale da fornire compimento, saturazione, piena realizzazione e garanzia ontologica al vissuto-in-comune (tí estí sempre rinvenibile a prescindere dall’ampiezza del comune in questione).

Ma, per l’appunto, non connessione immediata, ma gesto. Non interiorità autotrasparente che si approfondisce e cristallizza, ma rinvio che si espone al tema stesso che lo deborda e mette in scacco. E di qui, il secondo versante della dinamica: “politiche dell’amicizia” non sta per diretta realizzazione di una possibilità, ma per possibilità dell’impossibile. Per dirla con una terminologia cara a Levinas: “amicizia” non indica un “detto” che semplicemente si deposita e reitera in un “dire” meramente veicolatore. Si tratta, piuttosto, di un “detto” il cui “dire” già lo “disdice”, costringendolo così a un reinscenarsi incessante in plurali tentativi di “ridire”.

Nasce di qui una frattura interna insanabile, che lascia aderire all’amicizia tanto la sua spasmodica ricerca, quanto lo spettro costante del suo rovescio: l’inimicizia. E, d’altronde, nella misura stessa in cui l’impossibilità di colonizzare gli estremi polarizzati tra amicizia e inimicizia, non esauriscono il desiderio, ma al contrario lo alimentano, si finisce per innescare, in tale spazio diastatico, una vera e propria dinamica pulsionale paranoica, tale da produrre traiettorie disseminate e plurali di un rapporto mai compiuto e pienamente determinabile.

Le oscillazioni che si producono, in tale area indeterminata, non sono affatto di carattere meramente speculativo, ma, al contrario, assolutamente concreto e dense di vissuto. Si mettono in scena a livelli e ad ampiezze diversi: dal piano più nucleare delle relazioni d’amicizia interpersonali, a quello più ampio che investe gli spazi pubblici e comunitari, fino a interessare l’ambito dei rapporti politici internazionali.

I contributi raccolti in questo numero offrono uno spaccato assai rappresentativo dell’intricato plesso di senso e paradosso che popola la questione. Peraltro, non mancando essi stessi di condensare stili e tenori argomentativi che non si sottraggono all’effetto del tema che veicolano, non potranno che rimettere in scena, giocoforza, l’oscillazione che li contamina, producendo, in tal modo, tanto convinte adesioni, quanto stizzite prese di distanza. Ma si spera, in ogni caso, nell’acquisita consapevolezza di non cadere vittima di atteggiamenti assolutistici: amichevoli od ostili che siano.

Non mi resta che augurarvi buona lettura … amiche, amici (e non)!

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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