RETRIBUZIONE O RICONCILIAZIONE? PIÚ CHE PRATICHE, IMMAGINARI (DI GIUSTIZIA) A CONFRONTO – EDITORIALE
FERDINANDO MENGA
In un tempo, come quello attuale, solcato da conflittualità nel tessuto comunitario così estese e profonde, nonché da trasformazioni socio-antropologiche di straordinaria e inedita portata, re-interrogarsi su alcune categorie fondamentali della relazione intersoggettiva quali quelle di vendetta e riconciliazione rappresenta un compito tanto urgente quanto complesso.
L’istinto vendicativo, indubitabilmente insito nella struttura psichica del soggetto – e, non a caso, inscenato nel suo portato costitutivo in tutte le grandi narrazioni fondative delle compagini sociali – pare oggigiorno prevalere in modo pressoché unilaterale. Si ha quasi l’impressione che la sua efficacia simbolica abbia trionfato senza trovare più alcun contendente alla sua altezza: un pharmakon, se vogliamo, comparabilmente potente in grado di arginarla, canalizzarla, reindirizzarla o, quanto meno, sublimarla.
Si badi bene, però, la pervasività di un istinto del genere, a mio avviso, è testimoniata non tanto da quella deriva comportamentale che si registra attualmente nella – piuttosto diffusa – inclinazione a una reattività incontrollata nei confronti di azioni effettivamente subite. Piuttosto, potremmo ascrivere una tale pervasività a quella che potremmo definire una vera e propria svolta paranoica immaginaria, talché, in forza di quest’ultima, sarebbe più corretto delineare il processo or ora segnalato all’inverso. Ossia: è il predominio dell’immaginario vendicativo stesso a dirigere preliminarmente ogni reazione, sicché, in ultima analisi, qualsiasi contrapposizione viene a essere immediatamente trasfigurata in potenziale fonte d’innesco per atteggiamenti antagonistici.
Posto che una valutazione del genere possa avere una qualche sua plausibilità, interrogarsi sui fattori scatenanti questa svolta non soltanto pragmatica, ma soprattutto immaginaria, costituisce senz’altro una linea d’indagine urgente per l’epoca attuale – un’indagine altresì chiamata ad analizzare e sistematizzare gli elementi che ne rappresentano fattori di amplificazione e alleanze funzionali di stampo socio-economico e tecnologico.
La delineazione di una tale cornice di fondo esorta, peraltro, anche dal punto di vista politico e giuridico-normativo, a indagini altrettanto rilevanti e pressanti. Si tratta, tra le altre cose, di re-interrogare i tratti strutturali e destinali del rapporto che intercorre tra dinamica retributiva e riconciliativa al fondo della pensabilità e amministrazione della giustizia (quanto meno negli stati che si professano democratici).
La sollecitazione a ritornare su tale tema fondamentale ci giunge, in particolar modo, quest’anno, animati dalla celebrazione dei trent’anni di quello che può essere considerato uno dei processi istituzionali più interessanti, complessi e coraggiosi dell’ultima parte del Novecento politico: la Commissione per la verità e riconciliazione del Sudafrica.
Questo tribunale straordinario, com’è noto, venne istituito al fine di realizzare una transizione democratica giusta e la concomitante ricostituzione di un’identità politica, all’indomani di un’esperienza di lacerazione collettiva profonda quale fu quella dell’apartheid.
Nelle pieghe di tale processo di giustizia transizionale, com’è altrettanto noto, fu proprio il superamento della mera logica retributiva a rivelarsi elemento discriminante. E questo non solo e non tanto alla luce di mere impossibilità tecnico-giuridiche relative, in molti casi, all’individuazione specifica di perpetratori e vittime o alla determinazione della proporzionalità delle azioni punitive. Si è trattato, piuttosto, di un radicale trascendimento paradigmatico – ossia, dell’adesione a un dettato alternativo che, proprio consapevole dell’irrealizzabile imperativo retributivo di carattere nostalgico-vendicativo, si è prefissato il compito di trasferire l’attuazione della giustizia dalla pretesa ricomposizione di un passato originario infranto all’istituzione di un futuro comune possibile.
In tale e simili contesti di transizione, volti a condurre dalla lacerazione subita dalle vittime a causa dei perpetratori a una qualche forma di ricomposizione del rapporto reciproco, certamente non si possono nascondere le enormi difficoltà esistenziali, motivazionali, simboliche, pragmatiche e procedurali in gioco. Tali difficoltà, peraltro, non si limitano unicamente alla evidente problematicità insita nell’innesco, pianificazione, organizzazione e facilitazione di interlocuzioni possibili tra le parti. Difficoltà di fondo si palesano, invero, anche in seno al dominio stesso che riguarda le sole vittime. Per esempio, si rivelano strutturalmente problematici, al riguardo, tanto i processi di selezione delle tipologie delle vittime, quanto la determinazione del peso rappresentativo delle diverse figure coinvolte, come pure la determinazione medesima delle linee narrative responsabili di veicolare le istanze vittimarie.
Pur considerando tutte queste difficoltà, un punto resta però fermo e su di esso vale la pena di soffermarsi: il paradigma riparativo, rispetto a quello retributivo, reclama un’eccedenza strutturale in forza del suo stesso investimento simbolico-esistenziale sulla produzione immaginaria di un futuro possibile insieme.
Ed ecco che rientra qui nuovamente sulla scena la questione dell’immaginario. Solo che ora su di essa grava un carico problematico incrementale proprio alla luce di quanto si segnalava in precedenza. Oggi più che mai si tratta, in effetti, di chiedersi: può per davvero la logica riparativa-conciliativa, sulla base del peso specifico stesso che la connota, reclamare cittadinanza in un contesto socio-simbolico implacabilmente sbilanciato sull’impeto vendicativo?
Probabilmente, è su questa impasse immaginaria di fondo – oserei dire, quasi-trascendentale –, e non tanto su ostacoli procedurali (per quanto consistenti, sempre superabili), che, a mio avviso, rischia di arenarsi ogni progetto di riconfigurazione riconciliativa circolante all’interno dei tessuti sociali e istituzionali dell’epoca odierna. Di conseguenza, al netto di ogni giustificata critica di stampo tecnico-giuridico, ogni valutazione contemporanea che si inscrive in tale ambito non dovrebbe soprassedere su un tale dato strutturale. Nell’alveo di tale considerazione, per inciso, si potrebbe far rientrare anche un dibattito critico, ma non ideologico, rivolto alla recente riforma Cartabia, che così tanto ha puntato sull’esteso ricorso allo strumento riparativo.
Nondimeno, sarebbe altresì auspicabile interrogarsi se siano effettivamente reperibili contro-modelli in grado di esercitare per davvero una resistenza nei confronti del predominio reattivo e vendicativo descritto. Probabilmente, per rispondere a quest’ultima domanda, si potrebbe procedere, anzitutto, attraverso un’indagine indiretta, lasciandosi orientare da segni e tracce. Come si indicava poc’anzi, proprio quei segni e quelle tracce delle istanze simboliche al centro della pratica stessa della riconciliazione. Su tutti, quelli che potremmo definire i marcatori sociali, culturali e politico-istituzionali di un investimento genuino su “un possibile futuro insieme”.
“Avvenire” e “inclusività” potrebbero qui risuonare quali prime parole d’ordine da intercettare. Non fosse che, allo stato attuale, nutro dei forti dubbi a che possano essere individuate spie per orientare una ricerca del genere alla luce, quanto meno, dello stradominio del paradigma neo-liberale, da un lato, avviluppato com’è su dinamiche consumistico-predatorie, e tendenza a una gestione sempre più proceduralizzata e funzionalizzante dei flussi migratori, che cerca di realizzare la sistematica neutralizzazione e reificazione di individui umani, dall’altro.
Al limite, proprio laddove il presente pare non offrire alcun appiglio emancipatorio, c’è sempre la strada di una prassi di resistenza sociale da inaugurare e di contro-egemonia politica da perseguire. Una movimentazione che, lasciandosi magari ispirare dal più che mai “disperato” tentativo di Papa Francesco, potrebbe caparbiamente ricorrere anch’essa a quel cocktail di pharmaka dell’immaginario costituito da “cura”, “misericordia” e “speranza”.
DIRITTO ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Endoxa maggio 2025 Ferdinando Menga Riconciliazione Vendetta
