SU RICONCILIAZIONE E POTERE “RI-COSTITUENTE”: PER UN’ELABORAZIONE DEMOCRATICA DEL TRAUMA COLLETTIVO

FERDINANDO MENGA

I

Ogni istituzione democratica moderna, nel solco della sua peculiare genesi e funzionamento, è attraversata da quello che potremmo chiamare un vero e proprio carattere irrinunciabile, ancorché espresso non sempre in modo marcatamente manifesto: si tratta del riconoscimento dell’impossibilità strutturale di autorappresentarsi come compagine compiuta e immodificabile. Quale che sia il grado di stabilità e normalizzazione della vita collettiva da essa raggiunto, a questa è preclusa, in effetti, la possibilità di darsi quale ordine unico e necessario. Questa consapevolezza simbolica e, a un tempo, politico-normativa rinvia all’abbandono di ogni fondamento metafisico, che segna precipuamente il passaggio dalla comprensione e organizzazione premoderna a quella moderna della vita sociale.

In tale linea, quindi, la scoperta della contingenza, ovvero l’assunzione della condizione di limitatezza e alterabilità costitutive di ogni ordine, rappresenta quello che potremmo definire una sorta di trauma originario che inaugura la politica moderna. Aspetto traumatico che si consuma, in ultima analisi, nel fatto che ogni ordine deve affrontare la mancanza di qualsivoglia principio onto-teologico preliminare in grado di garantire identità, sostentamento e orientamento alla collettività. Data una mancanza sostanziale del genere, ogni compagine collettiva è pertanto tenuta a costruire la propria identità a partire dal solo ausilio di processi storico-politici d’identificazione. Processi, questi, chiaramente culminanti, essi stessi, in organizzazioni di senso e regole finite, limitate e modificabili; vale a dire: organizzazioni che emergono sempre all’ombra di configurazioni alternative legittimamente possibili. Non a caso, Niklas Luhmann connota il leitmotif costitutivo della Modernità proprio nell’incunearsi della logica dell’“altrimenti” nel tessuto stesso di ogni ordine simbolico e normativo.

II

Soffermarsi su una premessa del genere risulta essere un gesto solo apparentemente estrinseco per una discussione attorno al tema della riconciliazione politica. Come cercherò di mostrare, infatti, essa si rende invero necessaria per un percorso d’analisi appropriato sulla questione, tanto dal punto di vista teorico quanto pragmatico.

Ma torniamo all’aspetto costitutivo dell’istituzione democratica moderna rispetto all’ordine simbolico-politico che la precede.

In particolare, ciò che distingue l’intelaiatura istituzionale premoderna rispetto a quella moderna non risulta soltanto nel tipo di fondamento – assoluto, da un lato; contingente, dall’altro – di cui esse si dotano, ma anche nell’organizzazione temporale della dinamica istituente a cui fanno riferimento. Nel primo caso, in effetti, si tratta di chiamare in gioco una pre-donazione metafisica dell’identità politica, che può essere intesa come una sorta di presenza fissa e dominante: presenza che irradia da un passato originario e saturo e, quindi, permea il presente e il futuro del tessuto collettivo. Nel secondo caso, invece, la contingenza implica la dinamica del potere costituente quale unica fonte in grado di produrre l’ordine politico. Il ricorso al potere costituente, da parte sua, si riferisce al fatto che l’identità collettiva, in forza della privazione di qualsivoglia fondamento sostanziale preliminare, non può rifarsi ad alcun accesso immediato e univoco a un qualcosa come un nucleo di presenza. Ciò che costituisce, anzi, il presente di ogni compagine collettiva non è altro che il risultato di un atto di autorappresentazione collettiva limitata e, tendenzialmente, sempre conflittuale. Di conseguenza, per dirla con Maurice Merleau-Ponty, proprio questo atto rimanda a un “passato che non è mai stato presente”; un passato che, quindi, si propaga inevitabilmente in una presenza mai compiuta e futuro sempre modificabile.

Per dirla altrimenti: il Noi politico, a causa della privazione di ogni accesso diretto a un modello unitario di ipseità nei termini di una presunta identità preliminare a disposizione, può impadronirsi della propria auto-riflessività solo attraverso un atto di etero-riflessività: vale a dire, l’etero-riflessività che si sostanzia nella dinamica stessa della propria auto-rappresentazione (attraverso il potere costituente).

Va da sé che tale apertura strutturale di passato, presente e futuro come caratteristica del potere costituente non rinvia ad altro se non all’articolazione costitutiva della democrazia quale forma di regime politico in cui “chi” e “che cosa” può apparire alla presenza della sfera pubblica, “chi” e “che cosa” può essere considerato alla stregua di passato rilevante e “chi” e “che cosa” deve essere determinato nel suo statuto di futuro prospettico, tutti questi, sono elementi mai fissati una volta per tutte. Anzi, essi si rivelano piuttosto quali poste in gioco di processi contingenti e sempre rinegoziabili nell’alveo della sfera pubblica.

III

È importante, tuttavia, chiarire meglio il tipo di organizzazione temporale che aderisce al potere costituente come dinamica autentica del meccanismo democratico. In particolar modo, dal punto di vista di una disamina della struttura temporale, ciò che non dovrebbe essere equiparata è esattamente una specifica contingenza democratica e una più generica contingenza politica. Mentre la contingenza democratica, difatti, implica la costante sottrazione di ogni accesso a un fondamento metafisico, tale da impedire strutturalmente ogni tipo di chiusura o di realizzazione per quanto riguarda il passato, il presente e il futuro dell’ipseità collettiva, la contingenza politica, invece, si riferisce al riconoscimento di una mancanza soltanto preliminare di fondamento metafisico della comunità. Tale mancanza, tuttavia, a differenza di quanto accade nel caso della contingenza democratica, non è necessariamente destinata a mantenersi per tutta la vita dell’ipseità politica. Al contrario, come accade nel caso della visione schmittiana del politico, la condizione primordiale della contingenza è tale da richiedere il suo stesso superamento nella forma di una decisione sovrana in grado di determinare i tratti di una identità comunitaria compiuta. Come è noto, infatti, secondo la visione di Carl Schmitt, suddetta identità culmina nella configurazione di un Noi pienamente determinato in opposizione a un Loro. Di conseguenza, nonostante il suo emergere da una condizione traumatica d’infondatezza, la contingenza politica può essere inscritta nel solco di una strategia di assunzione e superamento del trauma. La contingenza democratica, al contrario, deve essere intesa come una forma di articolazione collettiva in cui la riflessività politica non si libera mai del trauma dell’infondatezza. In ultima analisi, dunque, potere costituente e democrazia implicano, assieme, quella che potremmo definire – volendo ricorrere a una variazione su un celebre titolo di Donna Haraway – una dinamica di persistente “staying with the trauma”.

IV

Di qui, l’ultimo tratto di questa riflessione, in cui entra in gioco proprio la questione della riconciliazione politica. Aver insistito così tanto sulla distinzione tra le forme di contingenza or ora esplicitata, si rivela, difatti, feconda – a mio avviso – per una elaborazione strutturale circa le modalità possibili di pensare la riconciliazione stessa. Per cominciare, in ogni processo di riconciliazione, l’aspetto della lacerazione traumatica originaria, da cui si prendono le mosse, si manifesta quale elemento evidente. Elemento su cui, tuttavia, cala il cono d’ombra della contingenza e, allo stesso tempo, la radicale apertura alle poc’anzi evocate estasi temporali di passato, presente e futuro.

In primo luogo, l’apertura in seno al presente del Noi collettivo, quale posta in gioco della dinamica stessa del processo di riconciliazione, si concretizza nel fatto che i lineamenti della costituenda identità politica non sono affatto decisi e configurati preliminarmente. Anzi, l’apertura connotata dalla contingenza riguarda proprio il “chi” e il “che cosa” può o non può acquisire un posto di rilievo in termini di soggetti e temi rilevanti per il discorso pubblico insito nel processo riparativo. Soggetti e temi dal cui variare, in effetti, dipende ora una ora altre possibilità di rimodellamento del Noi politico. Ma anche il passato è esposto a un’apertura contingente, giacché, neppure al guardarsi indietro risulta già stabilito, ma da stabilire, “chi” e “che cosa” deve contare alla stregua di quei soggetti e temi rilevanti, sì che questi e non altri inneschino e veicolino una determinata linea narrativa atta a rappresentare e portare avanti le istanze vittimarie. E, infine, altrettanto aperto risulta anche il futuro della riconciliazione politica – e ciò quanto meno nel senso che non già decisa, ma da decidere, si rivela la figurazione d’identità collettiva tale da rendere possibile la prosecuzione (o meno) di un Noi effettivamente condiviso e comunitario.

Ora, però, se effettivamente è d’apertura e indeterminazione che qui si può parlare, è altrettanto fondamentale, in tale contesto, intendersi – secondo quanto poc’anzi indicato – sul modello di contingenza da cui bisogna lasciarsi condurre: quello democratico o meramente politico? Sì, perché, se si adotta la linea paradigmatica che proviene dal secondo modello, la ricostruzione della riflessività collettiva, a partire dalla condizione di lacerazione passata, corre il rischio di realizzare essa stessa un mero ribaltamento delle posizioni tra vittime e perpetratori, con la conseguenza che il nuovo Noi finisce per essere null’altro che una nuova identità cristallizzata di stampo antagonistico, senza spazio per eventuali rinegoziazioni plurali e diffusamente partecipate. Qui, come si può facilmente intuire, la riflessività collettiva si blocca nella fissazione di un presente politico unilaterale e indiscutibile, che domina la linea narrativa del passato e contestualmente predetermina le future traiettorie di sviluppo in direzione univoca e monolitica. Nel caso della contingenza democratica, invece, ciò di cui la riflessività politica viene resa consapevole è il fatto che il superamento dell’oppressione e dell’inimicizia del passato non può dare origine a una mera nuova forma di antagonismo costituita dal solo rovesciamento dei ruoli. Un Noi politico che scaturisce da un autentico processo di riconciliazione deve piuttosto lasciare spazio all’aperto, abbandonando con ciò il modello antagonista stesso e abbracciando quello di un’articolazione di pluralità di voci nel solco di una dinamica agonistica. Quest’ultima chiaramente non tace delle lacerazioni, non rimuove l’imperdonabile, non risolve/dissolve contenziosi ancora aperti una volta per tutte. Tuttavia, nella misura stessa in cui accoglie riflessivamente ed esplicitamente l’impossibile atto di una realizzazione assoluta e monopolizzante della nuova identità collettiva, resiste con ciò stesso a ogni seduzione di autismo comunitario, aprendosi così a un “futuro con l’altro”. Un futuro difficile, eppure il solo possibile. L’unico, cioè, in grado di realizzare il motto principe e lungimirante di ogni tentativo vero e proprio di riconciliazione: “Che il passato mai più riaccada!”

È esattamente in tal senso che in ogni atto genuino di riconciliazione collettiva, nella misura in cui si permane nel solco di una contingenza radicale al riparo da sogni – o meglio, incubi – di configurazioni politiche sclerotizzate, risuona sempre la logica democratica e, al contempo, lenitiva del potere costituente. Un potere, quindi, che, proprio perché cerca una guarigione davvero trasversale e compartecipata, proiettandola in avanti, consente di parlare, in ultima analisi e alla lettera, di un vero e proprio “potere ri-costituente”.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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