AUTOMATISMI

asimov-1030x615ULDERICO POMARICI

1. In questi anni viviamo la transizione verso una società completamente informatizzata, dunque automatizzata. Non esisteranno più solo processi informatici come medium della comunicazione, ma macchine che li progettano autonomamente. Secondo Ray Kurzweil, uno degli innovatori più visionari nel campo dell’informatica, l’intelligenza non-biologica eguaglierà la ricchezza e la raffinatezza dell’intelligenza umana per poi superarla grazie a due propulsori potentissimi: la continua accelerazione dei progressi scientifici nel campo dell’informatica e la capacità dei computer di condividere con sempre maggiore velocità il proprio sapere. Arriveremo al punto in cui il progresso tecnologico sarà talmente rapido da diventare indecifrabile per l’intelletto umano. Questa è la fase ‘finale’ che Kurzweil chiama Singolarità. Così come – grazie alla decodificazione della struttura del DNA (ad opera di Watson e Crick, 1953) – si sono identificati e mappati i geni del genoma umano, così si farà con lo scanning del cervello. Ma questo processo in base al quale ai corpi si sostituiranno sempre più le macchine porterà davvero, come crede Kurzweil, alla soluzione di tutti i problemi fino ad arrivare a forme di vita eterna ? Insomma il transumanesimo e le sue “magnifiche sorti e progressive” costituisce davvero l’orizzonte necessario degli eventi futuri? Cercherò di mettere alla prova questa idea riflettendo sul dominio e la pervasività delle tecnologie informatiche come vera e propria forma-di-vita, nella nostra comunità linguistica.

2. Quante volte e in che senso, ad esempio, nel nostro linguaggio quotidiano ricorre l’avverbio “automaticamente”? La neo-lingua che si sta componendo sotto i nostri occhi si arricchisce in modo costante di termini tratti dai media, dai linguaggi tecnici e dalla pubblicità, con una velocità forse superiore a quella con la quale i nano-robot delle biotecnologie promettono di invadere il nostro corpo. Ormai l’italiano – che è diventato lingua nazionale solo da una sessantina di anni –  tende a impoverirsi in modo irrimediabile e il linguaggio dei Promessi Sposi, meraviglia linguistica, è ormai archeologia, lontano dai nostri usi quotidiani non meno delle pitture parietali di Altamira. Anche se proprio quel linguaggio – che registrava nella letteratura ‘alta’ gli usi e la trasmissione orizzontale del linguaggio con tutte le sue infinite sfumature  – ha contribuito a costruire il carattere interclassista e nazionale dell’Italia. Il nostro linguaggio aperto ora a ogni ‘gergo’, a neologismi ecc. si avvia invece a diventare una specie di blob nel quale si incanalano i più diversi ‘dialetti’ del Contemporaneo. Delle 270.000 parole che secondo Tullio De Mauro abbiamo come italiani a disposizione, ne usiamo in media 6.000. Ma non è solo questione di quantità.  L’inflazione dell’avverbio automaticamente al quale si faceva cenno è come l’epitome del fiume carsico che alimenta la perversione del linguaggio contemporaneo. Che significato assume questo avverbio nel contesto del degrado che viviamo? Il linguaggio è per sua natura mediazione, relazione, dialogo, confronto attraverso i testi letterari, i giornali, nonché la televisione e la radio che hanno contribuito in modo decisivo all’affermarsi e al propagarsi della lingua nazionale lungo tutta la seconda metà del secolo scorso. La ricchezza inesauribile dell’italiano è prosperata per secoli, dalle sue radici, in un paesaggio naturale/culturale nel quale prevalevano le comunità agricole e la letteratura attingeva a questo mondo, unendo l’alto e il basso.

3. Ho citato non a caso i Promessi Sposi. Nel periodo della sua affermazione definitiva – fra gli anni ’30 e gli anni ’60 del Novecento – il linguaggio costituiva la garanzia della coesione sociale. Cosa accade quando, invece, prende piede un linguaggio fortemente debitore dell’informatica, della statistica, della pubblicità, dominato insomma dall’ideologia economica, il linguaggio che imperversa sui social ? Quelle che soccombono sono le fonti del linguaggio ‘ordinario’, quello parlato ‘in comune’, il linguaggio vivo, fondato sull’esperienza, sull’errore, sulla comunicazione corporea, sulla creatività che nasce nella comunicazione orizzontale. Questa era la barriera che con la rivoluzione tecnologica e informatica si è infranta. Il linguaggio arretra in un’omogeneità ficta che non ha più nulla di ‘creativo’. Ovvero: non sembra che la lingua si innovi più nella mediazione sociale come accadeva fino a 20/30 anni fa. Oggi la relazione col mezzo tecnico muta in modo radicale quel paesaggio della coesione sociale articolato in una contrapposizione città/campagna, dove la città manteneva un elevato livello di dialogo ‘in comune’ e costituiva un polo di riferimento e di elaborazione aggregante.  Penso ad esempio ai romanzi di Gadda, che non a caso lavorava nella televisione italiana ai suoi albori, lui come Camilleri. Ma forse questa malattia ha radici lontane se dobbiamo credere a quanto Giacomo Leopardi affermava nel suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani. I quali, a suo avviso – a differenza di altri popoli europei : inglesi, francesi, tedeschi – mancavano proprio di quel «tuono», di quella maniera tipica di un centro espressivo, di un luogo comune dove scambiare e creare insieme. Il linguaggio sembra andare così verso forme introvertite, offerto com’è for dummies, dalle reti informatiche e/o dai media, cellulare in testa. In modo immediato e automatico, con un clic, si ottengono tutte le risposte, senza una vera ricerca, senza esperienza ad-ventura (ecco il trionfo esclusivo del presente..) lasciando il soggetto nella passività. La parola ci viene fornita automaticamente, e l’elaborazione dalla quale nasce non ha più storia.  Così, mentre ad es. l’inglese è nato e si è sviluppato in modo potente e creativo attraverso gli usi linguistici dando forma a “modi di dire” che ne connotano la ricchezza e l’originalità, la neo-lingua attinge quotidianamente a un repertorio di formule prive di spessore storico, di ‘sapore’ (che sembra conservato invece dai dialetti). Del resto, e non a caso, neo-lingua è termine orwelliano. La società dello spettacolo ha connotati innegabilmente autoritari. Riuscire a conservare per la conoscenza – segnatamente per quella non-commerciale –  un accesso in comune costituirebbe una prima risposta alla deriva tecnocratica che ci minaccia.

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