SALMO RESPONSORIALE
JURI CAMBARAU
Aprì gli occhi lentamente, abbagliato dalla retroilluminazione del monitor di fronte. La sensazione di avere una spugna in bocca non fu spiacevole tanto quanto guardare in basso e scoprirsi seduto, con i pantaloni calati fino alle caviglie, il membro floscio e i peli pubici imbrattati dallo sperma rappreso. Mise a fuoco lo schermo e lesse Cream my asshole baby! scritto in sovraimpressione sul fermo immagine di un fondoschiena femminile bianco candido, in contrasto al rosso vermiglio dell’anello sfinterico dilatato all’inverosimile ai cui fianchi si aggrappavano poderose mani di colore.
“Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.”
A quel punto sì sentì spaventato, tanto che non si alzò subito. Cercò di riordinare le idee prima della postura. Solo alla fine di una specie di processo autodiagnostico allungò la mano verso il mouse e spense il computer. Il click dissipò quell’ostinato residuo di vergogna. Si alzò di colpo e si ricompose in un solo gesto, tirandosi alla vita mutande e pantaloni. Prese un opuscolo dal disordine della scrivania, lo guardò distrattamente e lo gettò all’estremità di un vecchio divano. Colto da un’afflizione fulminea, si lasciò cadere all’estremità opposta. In quel momento di sconforto, l’arredo più prezioso, fu lo spazio vuoto al centro, lo stesso spazio vuoto che il pensiero ossessivo di Marta gli aveva lasciato dentro.
“Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.”
Alzandosi dal divano incrociò la propria immagine nello specchio. Constatò quanto gli ultimi dieci giorni lo avessero reso triste. Uno di quelli che a guardarli trasudano tutta la loro dannata tristezza e ad incontrarli ti metti a immaginare di quanto nocivo sia per un uomo, tutto sommato piacevole, il trascurare la propria immagine. Ora non gli restava che un ennesimo giorno da affrontare. Solo. “Una bella giornata del cazzo”, pensò avvilendosi verso l’estremo di quella sensazione. Non riusciva a ricordarsi quello che aveva fatto il giorno prima all’infuori di tutte e cinque le volte che si era masturbato compulsivamente, come fosse stata una sorta di rivalsa verso l’addio di Marta.
“Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.”
Cominciò a togliersi i vestiti con una fretta tale che lo fece ritrovare dentro alla doccia con ancora i calzini ai piedi. Attese lateralmente che il getto d’acqua divenisse della giusta temperatura e vi si portò sotto come se quell’acqua avesse un potere taumaturgico. Così non fu e lui se ne rese conto subito mentre immaginava di nuovo Marta, lì, davanti allo specchio, che si aggiustava il trucco, come dopo tutte le volte che avevano fatto l’amore. Dopodiché non riuscì a fare altro che appoggiare una mano alla parete della doccia e a far chiudere l’altra a pugno sul suo desiderio. Iniziò a masturbarsi lentamente con il pene ancora flaccido, immaginandola in ginocchio difronte a lui, sotto alla doccia, con la bocca aperta e protesa verso il suo membro, aspettando che lui venisse copioso, schizzandola prima in faccia e poi fin dentro alla gola. Si immaginava tutto questo per esorcizzarla, ricordando, in effetti, che una cosa simile non l’avevano mai fatta nelle dozzine di volte che erano stati assieme. Forse a Marta avrebbe fatto schifo pensò.
“Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.”
Fu una doccia lunga, interrotta dall’acqua fredda che sancì lo svuotamento dello scaldabagno prima che il proprio orgasmo avesse potuto affiorargli tra le dita. Desistette senza nemmeno il barlume di riprendere l’iniziativa. Asciugandosi tirò dritto verso il cucinino, dove la colazione rimase solo un tentativo, visto che aveva dimenticato di comprare il pane e aveva finito i biscotti. Sbucciò allora un’arancia, ne mise in bocca uno spicchio ma questo gli sembrò che avesse un vago sapore di sperma, ricadendo ancora dentro al ricordo dello sguardo di Marta che gli annegava qualsiasi altro pensiero o volontà.
“Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.”
Mezz’ora dopo se ne stava ancora in giro per casa ripassando mentalmente il monologo che aveva preparato la sera precedente, mentre il televisore mandava in onda le immagini di Obama che abbracciava sua moglie Michelle. Ecco, quest’immagine proprio non gli andava giù, questa possibilità di dichiarare l’amore pubblicamente lo deprimeva, gli delimitava chiaramente lo stretto perimetro della propria gabbia e la sua buona dose di vigliaccheria, mentre sullo schermo apparivano attempati opinionisti ed aristocratici intellettuali. A quell punto si mise comodo sul divano e cominciò ad osservare i loro maglioni di lana a rombi colorati, le loro giovanili camicie slim fit, le ardite montature degli occhiali e soprattutto i denti ingialliti, i loro denti da tabagisti incalliti. Prese allora una sigaretta che teneva nascosta dentro un vecchio astuccio di legno e l’accese. Tornò di nuovo a pensare e ad osservare quei signori in tv, immaginando la strada delle loro vite, sfavillante fino a un certo punto, poi grigia, lenta, ed infine tornita dalla frustrazione. Immaginò le loro mani sulla schiena delle stagiste di redazione mentre il loro pene flaccido implorava invano ormai improbabili apporti di sangue arterioso. Cercava di figurarsi come fosse stato il loro lento adeguarsi allo sgretolamento, a quella voglia di eterna giovinezza che trascinavano stancamente, a quell caparbio legittimare il proprio crollo pubblicamente.
“Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.”
Spense la tv e si accorse che quei buffi individui avevano iniziato a farlo sentire una persona felice. Si diresse verso la camera ancora nudo e lo sballottamento libero dei propri testicoli gli riscaldò il cuore. Giudicò che non era il caso di portarsi dietro quei piccoli scampoli di felicità e allegrezza, per cui decise che si sarebbe masturbato, perché sentiva di meritarsi quella tristezza profonda che solitamente lo avvampava dopo una sega. Pensò allora ai seni enormi di Marta che strizzava vigorosamente quando la prendeva da dietro, alle sue natiche burrose, pensava a quella costante sensazione che provava nel penetrarla, quella di non essere abbastanza lungo, di non essere abbastanza e basta. Pensò al vero motivo del perché non gli avesse detto mai: “leccami le palle e ingoialo tutto…troia”. Venne sulla propria mano.
“Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.”
Mezz’ora dopo padre Nicholas uscì dalla sagrestia percorrendo il deambulatorio, pensando intensamente a come in quel rapporto avesse sbagliato continuamente tutto e a come alla fine fosse stata sempre Marta ad accollarsene il torto. Passò accanto alla fonte battesimale ed arrivò fino al transetto. Poi si fermò. Tornò indietro e prima di salire i quattro gradini dell’altare accennò una timida genuflessione con annesso segno della croce. Ripetette lo stesso gesto difronte al leggio e si accomodò sul sedile centrale alle sue spalle. Iniziò una preghiera silenziosa con lo sguardo verso terra, poi spinto dal desiderio rivolse gli occhi verso i fedeli. Li contò. Erano trentaquattro. Marta era lì, al terzo banco di sinistra, vicino a sua madre, come sempre. Sopra quell’altare padre Nicholas smise la preghiera interiore e guardò verso il crocifisso rivolgendogli un sorriso, perché sapeva che in fin dei conti, Dio nei suoi confronti se ne sarebbe stato sempre un passo avanti o due di lato. Inseguirlo sarebbe stato sbagliato, aspettarlo un privilegio che non sarebbe mai riuscito a contemplare. Vivere continuando a sbagliare sarebbe stata l’unica soluzione possibile. Il resto sarebbero state preghiere meccaniche, lumini votivi, ampie stanze dietro ampie stanze, mobili silenziosamente scuri e soprattutto spicciola filosofia, tutte cose che per un errore tanto imperdonabile quanto consapevole avrebbe ostinatamente continuato a chiamare Fede. Si alzò di colpo dirigendosi verso il leggio e con voce forte e ferma pronunciò:
“Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.”
Endoxa LETTERATURA endoxa luglio 2020 Juri Cambarau lussuria