INTERVISTA CON FRANCESCO VERSO SUL SOLARPUNK, O MEGLIO: IL SOLARTIVISMO
ARIELLE SAIBER
Francesco Verso (nato a Bologna, 1973) è uno scrittore ed editore pluripremiato di fantascienza che da tempo riflette sul futuro dell’ambiente: il cambiamento climatico e la scarsità delle risorse sono al centro delle sue opere e gran parte del suo lavoro può essere descritto come solarpunk. Recentemente, ha affrontato temi ambientali in due antologie da lui curate, Solarpunk: Come ho imparato ad amare il futuro (Future Fiction, 2020) e Solarpunk: Dalla Disperazione alla Strategia (Future Fiction, 2021). Questa intervista offre una panoramica della sua scrittura speculativa sull’ambiente, del suo lavoro editoriale sull’ecofiction e del suo attivismo, o meglio, del suo “solartivismo”, come lo definisce lui stesso.
Verso ha conseguito la laurea in Economia Ambientale presso l’Università di Roma Tre nel 2000. Dopo alcuni anni di lavoro nel settore dell’IT, ha iniziato a dedicarsi alla scrittura e all’editing a tempo pieno nel 2008, lavorando prima per Kipple Officina Libraria come editor e poi per la collana Future Fiction di Mincione Edizioni, che in seguito ha trasformato in un’associazione culturale e piccola casa editrice nel 2018. Future Fiction organizza anche workshop, conferenze (inclusa la FutureCon internazionale nel 2020 con 65 relatori provenienti da 25 paesi) e conferenze pubbliche sulla fantascienza in tutta Italia, Europa, Cina e Stati Uniti. Verso è senza dubbio uno degli scrittori ed editor di fantascienza più dinamici, impegnati e connessi in Italia oggi, e il suo impegno nel sensibilizzare i lettori sull’ambiente e sulla nostra responsabilità di preservarne la salute e l’equilibrio è centrale per la sua missione.
Per i suoi romanzi e-Doll (2009) e Bloodbusters (2015), Verso ha vinto il Premio Urania di Mondadori. Livido (2013) ha vinto il Premio Odissea, il Premio Cassiopea e il Premio Italia. Ha inoltre ricevuto il Premio Italia dell’Italcon nel 2018 come miglior editor, il Golden Dragon Award della RefestiCon per la promozione della fantascienza internazionale (2019), tre premi della European Science Fiction Society come miglior editore (2019), miglior autore e miglior opera di narrativa, ed è stato nominato direttore onorario dell’Accademia di fantascienza Fishing Fortress di Chongqing, Cina (2019). Livido e Bloodbusters sono stati tradotti in inglese e cinese e pubblicati nel Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Cina. Con la sua casa editrice Future Fiction, ha curato nove volumi di racconti di fantascienza internazionale (Storie dal domani, 2015-2024) da più di trenta paesi e undici lingue, e due volumi co-curati di racconti e saggi con Roberto Paura dell’Italian Institute for the Future (Segnali dal futuro [2016] e Antropocene [2018]). Insieme a Bill Campbell di Rosarium Publishing, ha curato Future Fiction: New Dimensions in International Science Fiction (2018), e per Guangzhou di Blue Ocean Press ha curato What’s the Future Like (2019, in cinese).
Quando e come hai iniziato a scrivere fantascienza ambientale, in particolare solarpunk?
Il mio interesse per i temi ambientali risale agli anni universitari ad Amsterdam, dove ho studiato Economia Ambientale. Era uno dei primi corsi di laura disponibili in Europa ad esplorare la relazione ambigua tra sistemi economici e conseguenze ecologiche. La mia tesi, L’impronta ecologica dei Paesi Bassi, mostrava quanto l’iperconsumo di beni materiali e immateriali e le esternalità negative dell’economia olandese dipendessero dall’importazione di risorse a basso costo e dall’esportazione di prodotti tecnologici ad alto valore. Questo generava un elevato PIL che nascondeva (o semplicemente non contabilizzava) i veri costi ambientali dello scarico di inquinamento e rifiuti verso altri paesi. Non è una sorpresa, quindi, che quando ho iniziato a scrivere fantascienza in modo regolare, intorno al 2004, queste idee fossero già ben radicate nella mia immaginazione. Il primo pezzo di ecofiction che ho scritto è stato Due mondi, una storia (e un fumetto) ambientata in un lontano futuro, dove due specie umane geneticamente modificate, gli Aeromanti e gli Acquamanti, devono sopravvivere su una Terra radicalmente trasformata e severamente colpita dal cambiamento climatico. Intraprendono una missione per recuperare ciò che rimane dei “semi originali”, custoditi in una torre dimenticata, il Global Seed Vault costruito nelle isole Svalbard nel 2008. Intorno al 2017-18, mi sono imbattuto nel sottogenere solarpunk mentre scrivevo il mio romanzo in due volumi I camminatori. Ho scoperto che il solarpunk era perfettamente in linea con i temi che stavo affrontando nella storia: una graduale ecoluzione del nostro stile di vita, mediante lo sviluppo del prosumerismo, del potenziamento delle comunità meno privilegiate tramite baratto online peer-to-peer, di un ridotto apporto alimentare, di soluzioni off-grid e di una decrescita mirata a migliorare la ridistribuzione del benessere tra le diverse culture grazie all’arte e al neo-nomadismo. Nel corso degli anni, ho sviluppato una mia versione del solarpunk che chiamo solartivismo, un mix di “solar + arte + attivismo” o “solar + artivismo”. Fondamentalmente, il solartivismo è un modo di utilizzare l’attivismo politico per mantenere le tecnologie all’avanguardia libere e accessibili al maggior numero di persone possibile. L’obiettivo è stimolare l’ingegno condividendo buone pratiche e incrementando la creatività collettiva.
Come descriveresti il tuo stile di solarpunk? È in linea con altre forme di cli-fi, eco-SF o fantascienza ottimista?
Sono interessato a storie che mettono in discussione lo status quo e propongono un’alternativa tecnologica ed economica praticabile al nostro attuale sistema di vita. Le mie narrazioni biopolitiche esplorano ciò che si trova al di fuori e oltre la realtà capitalistica e consumistica. Cerco di fare questo in due modi: innanzitutto, scrivendo storie speculative che non sono strettamente “speranzose” nel senso di un desiderio irrealistico; considero la speranza come una forza eteronoma, che dipende da impulsi esterni. Piuttosto, cerco di sviluppare un senso di speranza critica mirata a costruire “exit strategies” pratiche e possibili dalla distopia attuale, proposta dai media mainstream come la nuova “normalità” (o piuttosto “anormalità”). Credo che la fantascienza – e il solarpunk in questo contesto specifico – debba rendere visibile l’invisibile; rendere possibile l’impossibile, permettere all’impensabile di diventare pensabile e portare il suo messaggio trasformativo. Deve essere ecoluzionaria. In secondo luogo, come scrittore ed editore, cerco di dare voce a comunità e culture emarginate, lingue non tradotte, tradizioni poco rappresentate, innovazioni e futuri non riconosciuti. Voglio portare nella conversazione globale sul futuro tutti coloro che sono stati e continuano a essere esclusi dall’editoria mainstream di fantascienza. Questo perché spesso il dialogo è limitato a una sola lingua, l’inglese globale, e perché i diritti d’autore, così costosi e blindati, possono essere usati come strumenti di colonizzazione e di schiavitù cibernetica.
La mia visione del solarpunk, o meglio, del “solartivismo” mira a decarbonizzare, decentralizzare, de-urbanizzare, de-patriarchizzare e decolonizzare il futuro.
Chi (autori, artisti, registi, ecc.) sono le tue principali fonti di ispirazione per scrivere fantascienza ambientale?
Il lavoro del pensatore francese Serge Latouche sullo sviluppo sostenibile e la decrescita è stato particolarmente illuminante per immaginare possibili strategie che vadano oltre la mentalità occidentale. L’economista spagnolo Joan Martínez Alier, specializzato in economia ecologica e giustizia ambientale, ha scritto un libro intitolato Ecologia dei poveri, che ritengo dovrebbe essere insegnato nelle scuole superiori e nelle università. Dato che è quasi impossibile separare i modi in cui produciamo, trasformiamo e smaltiamo le risorse dai loro effetti sull’ambiente, penso che dovremmo smettere di usare il termine “Antropocene” per riferirci alla crisi climatica attuale: è un termine spesso usato e abusato dai privilegiati. Dovremmo parlare invece di “Capitalocene,” poiché non tutte le società e i sistemi produttivi impattano l’ambiente allo stesso modo, così come non tutte le comunità utilizzano/producono la stessa quantità di energia, risorse e rifiuti.
Donna Haraway è stata per me una grande fonte di ispirazione, con il suo focus sull’inclusività e sull’agentività non umana. Le sue idee sull’importanza di mescolarsi con “l’altro” sono parallele alla visione solarpunk di una società migliore. Il suo libro del 2016 Staying with the Trouble: Making Kin in the Chthulucene de-struttura i pilastri della società occidentale contemporanea, introducendo elementi di collaborazione e contaminazione inter-specie come via per imparare a sopravvivere alle macerie del tardo-capitalismo.
Quando si tratta di fantascienza, lo scrittore statunitense Andrew Dana Hudson mi ha particolarmente colpito per il suo intreccio chiarissimo di idee solarpunk. Quando ho letto le sue storie (l’anno scorso ho pubblicato la sua prima raccolta di racconti in italiano, Lo stato solare), ho provato lo stesso “shock culturale” che ebbi trent’anni fa leggendo il cyberpunk di William Gibson. Il suo uso di temi come autonomia energetica, comunità resilienti, politiche inclusive, sostenibilità ambientale e cooperazione anziché competizione, descrive i prossimi trent’anni con la stessa visione acuta e d’avanguardia con cui Gibson affrontava gli anni ’80 e ’90.
Quali sono alcuni dei temi principali che affronti nella tua scrittura solarpunk?
Sono affascinato dall’immensa creatività delle culture umane: l’innovazione indigena offre modi ingegnosi per risolvere problemi critici come nutrizione, abitazione, educazione, assistenza sanitaria ed energia con le risorse disponibili qui e ora. È una forma di solarpunk nativo. Immagina e crea modi sostenibili nel lungo termine per fare le cose localmente, senza spedire beni da una parte all’altra del mondo, danneggiando i territori con produzioni commerciali estranee (come gamberetti o olio di palma) e imponendo standard globali in aree specifiche, ad esempio dislocando comunità per costruire parchi, centri commerciali, industrie di fast-fashion o allevamenti intensivi. Le tradizioni indigene sanno come nutrire la biodiversità culturale, che può essere usata come strumento per opporsi alla standardizzazione, alla mercificazione, all’omogeneizzazione delle idee e, in ultima analisi, del futuro. È per questo che tendo a collegare la mia idea di solarpunk a un nuovo “senso del vagamondare,” ossia un senso di esplorazione del mondo per trovare e coltivare futuri trascurati.
C’è stato un tempo (dagli anni ’60 agli anni ’80 del secolo scorso) in cui importanti opere di narrativa speculativa venivano tradotte da un paese all’altro, specialmente in Europa, Russia e America Latina. Oggi, tuttavia, l’egemonia dell’inglese nel mondo editoriale ha creato una situazione in cui ogni autore desidera essere tradotto soltanto in inglese, il che significa che tutti conoscono ogni dettaglio della fantascienza anglosassone, mentre ignorano completamente ciò che viene scritto a pochi passi da loro, ad esempio tra Francia e Germania, Cina e India, Brasile e Argentina, Russia e Finlandia. Naturalmente, esistono opere di alta qualità in ogni lingua; è solo che per la maggior parte degli editori le preoccupazioni commerciali vengono prima di qualsiasi altro elemento culturale, quindi i lettori non hanno necessariamente accesso ai migliori scritti, ma solo ai “migliori” libri disponibili in inglese. La perdita culturale di questo approccio miope è enorme. Uno studio dell’Università di Rochester ha scoperto che solo il 3% di ciò che viene pubblicato negli Stati Uniti proviene da una traduzione e in quel 3% sono incluse tutte le lingue del mondo! Allo stesso modo, su un qualsiasi scaffale di fantascienza in una libreria da Tokyo ad Amsterdam, da Roma a Rio de Janeiro, ci sono centinaia di libri tradotti dall’inglese (una percentuale che in alcuni mercati raggiunge l’80%) e pochi dalle lingue dei singoli paesi o da autori che scrivono in lingue diverse dall’inglese. È ciò che Antonio Gramsci chiamerebbe “egemonia culturale.”
Quindi, parte del mio contributo al solarpunk va nella direzione di disintermediare e di liberare la fantascienza dalla sua cronica dipendenza dalla lingua inglese. Come genere letterario, il solarpunk è nato in Brasile nei primi anni 2000 (vedi l’antologia del 2012 Solarpunk: Histórias ecológicas e fantásticas em um mundo sustentável curata da Gerson Lodi-Ribeiro), seguito da opere prodotte in altri paesi dell’America Latina, Africa e subcontinente africano. Nel Sud del mondo, il solarpunk cerca di sfruttare la saggezza antica e i metodi tradizionali di praticare l’agricoltura e la produzione di energia sostenibile per rigenerare il tessuto sociale e politico danneggiato da secoli di colonizzazione, imperialismo e globalizzazione.
In sostanza, mi sono chiesto: cosa accadrebbe se tutti leggessimo un solo tipo di storia, se vedessimo lo stesso tipo di film, se vivessimo in un solo tipo di economia, se condividessimo una sola visione del futuro? Il solarpunk è davvero un fenomeno globale e, in quanto tale, dovrebbe includere le voci e le esperienze di persone che parlano portoghese, arabo, cinese, francese, spagnolo, russo, giapponese e tedesco, solo per citare le lingue più parlate. Pretendere che i testi e le storie debbano “nascere in inglese” impone un onere enorme e ingiusto a tutte le persone che non parlano inglese, molte delle quali non hanno accesso all’istruzione in inglese e/o non possono permettersi di studiarlo. C’è molto lavoro da fare in questo senso, non solo sui mercati ma soprattutto sulla percezione della realtà.
Come editore cosa hai notato in termini di ricezione del solarpunk (scrittura, arte, media) in Italia?
In Italia c’è molto interesse per il solarpunk, specialmente considerando che negli ultimi vent’anni la fantascienza è stata dominata da un genere di distopia YA che ha proposto libri molto simili tra loro. I grandi editori italiani non hanno ancora iniziato a pubblicare solarpunk, quindi per ora è un fenomeno legato alla piccola editoria. Detto ciò, alcuni agenti letterari in Italia hanno cominciato a dire “basta distopia, per favore,” quindi è possibile che presto vedremo gli editori commerciali inondare il mercato con narrazioni di stampo “solarpunk”. E la cosa mi inquieta parecchio.
Il solarpunk in Italia sta vendendo bene, poiché i lettori sono disposti a esplorare nuove narrazioni, sia dal punto di vista dei contenuti che delle diverse culture, abbracciando il cambiamento di prospettiva verso “futuri multipolari” che molte persone stavano aspettando. Il mio romanzo I camminatori ha ricevuto recensioni positive dai critici di fantascienza e dai lettori, e le antologie Solarpunk: Come Ho Imparato ad Amare il Futuro e Solarpunk: Dalla Disperazione alla Strategia sono tra i best-seller di Future Fiction alle fiere e alle convention in Italia. Spesso vengo intervistato da radio, riviste e blogger che vogliono saperne di più su questo nuovo tipo di fantascienza. Per portare questi temi a un pubblico più vasto, ho iniziato a pubblicare una piccola serie di fumetti incentrati su questioni ambientali: i primi due volumi si chiamano Due mondi ed Ecoluzione.
Ma non si tratta solo di pubblicazione di fantascienza. Il solarpunk ha attirato l’interesse di architetti, artisti, designer, urbanisti e responsabili politici di comunità. C’è un gruppo di italiani che vive nel Regno Unito chiamato “Commando Jugendstil” che sta facendo cose interessanti a livello di comunicazione e di riappropriazione degli spazi urbani. Potrebbero essere considerati artisti di strada solarpunk. Inoltre, “Solarpunk Italia” è un sito web che negli ultimi due anni è diventato una sorta di repository di articoli, saggi, video e recensioni in italiano su tutto ciò che riguarda il solarpunk nel mondo. La scorsa estate (2021), ho organizzato un “Solarpunk Café” in collaborazione con un gruppo di ricercatori della Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa, dove abbiamo discusso della relazione tra sviluppo sostenibile, inclusività radicale, decisioni biopolitiche e pianificazione urbana.
Dove vedi andare questo tipo di fantascienza? Pensi che ci sarà più o meno fantascienza ottimista in futuro?
Uno dei maggiori rischi che vedo è la normalizzazione del solarpunk, ovvero che possa essere ridotto a un meme, una moda, un hashtag, messo sugli scaffali come una copertina scintillante, o indossato da un modello sorridente per essere venduto come il sogno di un futuro felice. Temo che potrebbe fare la stessa fine del cyberpunk. Nelle parole di William Gibson:
(…) Non avevo un manifesto. Avevo un certo disagio. Mi sembrava che la fantascienza americana mainstream della metà del secolo fosse spesso trionfalista e militarista, una sorta di propaganda popolare per l’eccezionalismo americano. Ero stanco dell’idea dell’America come futuro, del mondo come monocultura bianca, del protagonista come bravo ragazzo della classe media o superiore. Volevo più spazio. Volevo fare spazio per gli antieroi.
Il solarpunk potrebbe facilmente essere trasformato in un brand alla moda e trend commerciale, usato per fare soldi e sfruttare la “novità” di una sostenibilità, inclusività e solidarietà fasulle. Il capitalismo prospera sulla noia dei consumatori disillusi, e temo che, se un solarpunk privilegiato e sovraesposto dovesse oscurare le versioni meno privilegiate – come è successo con la lingua inglese e la fantascienza in generale – perderemmo gran parte della sua forza e del suo attivismo.
Non c’è nulla di cui essere ottimisti se il solarpunk finisce per essere “greenwashed” sulle ultime riviste di tendenza, antologie o convention, piegando il suo originario set di idee trasformative, controculturali e underground un’esperienza alla moda, esclusiva, in stile Burning Man, sia come narrativa di fantasia consolatoria con un finale speranzoso, sia come approccio tipo “il vincitore si prende tutto”.
Il mio lavoro va nella direzione opposta, verso la creazione di una rete di piccole case editrici e autori che collaborano per rendere la fantascienza intrinsecamente senza confini, facilmente traducibile e ampiamente replicabile con il minimo sforzo e costo. Altrimenti, non è realmente solarpunk, ma piuttosto “una presa in giro solare” (solarprank)!
ENDOXA - BIMESTRALE Fantascienza LETTERATURA Arielle Saber ENDOXA NOVEMBRE 2024 FRANCESCO VERSO SOLARPUNK
