DAI DELIRI DI ONNIPOTENZA AL NICHILISMO
ANDREA STROLLO
L’onnipotenza è una nozione che sembra essere piuttosto slegata dal vivere e pensare quotidiano. La nostra esistenza concreta è talmente segnata da limiti e costretta da vincoli esterni che molta della nostra riflessione di ogni giorno è piuttosto volta a capire cosa ci è possibile fare. Lo spazio delle possibilità che ci è concesso appare angusto e in molti casi così ristretto dalle circostanze da essere quasi assente. L’idea di onnipotenza ricorre solo quando ci si voglia svincolare dalla realtà concreta e dalle sue limitazioni, lasciandosi trasportare dall’immaginazione. Riferita all’umano, parliamo infatti di onnipotenza, nel quotidiano, forse solo quando ci riferiamo ai deliri di onnipotenza. Nonostante il suo carattere eccezionale, come tutte le idee radicali, anche quella di onnipotenza porta però con sé un contenuto che sfida i confini del pensiero e che in quanto tale merita di essere esplorato. Capirne la natura e la logica può essere d’aiuto, di rimando, anche a capire meglio l’esistenza umana che ne sembra così lontana.
Anzitutto, possiamo notare come la nozione di onnipotenza, letta come capacità di fare qualsiasi cosa, difficilmente tollera la relativizzazione. Ovvero, parlare di onnipotenza relativamente solo al fare certe cose, a un certo spazio di possibilità, è fuorviante. L’onnipotenza relativa non sembra vera onnipotenza. Poter far tutto solo in un certo ambito, non vuol dire poter fare tutto in qualsiasi ambito. Solo in quest’ultima accezione abbiamo pura onnipotenza. Sembra che l’onnipotenza propriamente detta debba essere quindi assoluta. Così precisata, la nozione si allontana ancor di più non solo dall’umano ma anche dal mondo naturale, trovando posto, al massimo, nel soprannaturale. Difatti, l’onnipotenza è uno degli attributi che tipicamente associamo agli dei e al dio delle grandi religioni monoteistiche in particolare. Anche una volta che la nozione sia associata ad un essere soprannaturale e divino, non è però ovvio quale ne sia il contenuto. Anzi non è nemmeno chiaro se l’idea stessa di onnipotenza sia coerente. Forse proprio il suo essere slegata dai limiti che caratterizzano l’esistenza concreta, umana e naturale, la rende priva di significato.
La possibile incoerenza della nozione di onnipotenza emerge immediatamente nel momento in cui si immagina di esercitarla per compiti che non siano banali, ovvero per fare cose che solo un essere onnipotente dovrebbe poter fare. Un essere onnipotente, ad esempio, potrebbe violare le leggi della logica? Potrebbe rendere vere le contraddizioni? Potrebbe rendersi non onnipotente? A queste risposte si può provare a rispondere, in ordine inverso, seguendo un problema ben noto in filosofia della religione, ovvero il paradosso della pietra.
Il paradosso della pietra è un tipico problema usato per far emergere le apparenti aporie dell’idea di onnipotenza. Esso consiste nel chiedersi se un essere onnipotente, come appunto un dio, potrebbe creare una pietra così pesante che nemmeno lui potrebbe sollevare. È facile vedere come le due possibili risposte portino entrambe a contraddizione. Anzitutto, potremmo rispondere positivamente. Un essere onnipotente, essendo onnipotente, può fare qualsiasi cosa, compreso creare una pietra siffatta. La pietra però non può essere sollevata, quindi costituisce essa stessa qualcosa che l’essere onnipotente non potrebbe fare. Ovvero, se la può creare, non la può sollevare. Quindi, dopotutto, c’è qualcosa che non può fare, e non è onnipotente. Contraddizione. Oppure, visto l’esito contraddittorio, potremmo dare una risposta negativa e affermare che un essere onnipotente non potrebbe creare una pietra siffatta. In questo modo però abbiamo immediatamente qualcosa che l’essere onnipotente non può fare, ottenendo di nuovo una contraddizione. Sia che la risposta sia positiva sia che sia negativa arriviamo quindi a una contraddizione. La morale di questo paradosso è quella di mostrarci che la nozione di onnipotenza stessa, come potere assoluto di fare qualsiasi cosa, porta ad esiti contraddittori, mostrando così la sua incoerenza.
Sebbene il problema sia costruito su un caso che può sembrare di poco conto, (perché mai dovrebbe importarci se un dio può o no creare una pietra siffatta?), ciò che emerge è una difficoltà di principio. Esso mostra che, a dispetto dell’esoticità del esempio, la presunta onnipotenza è inconsistente. Inoltre, una volta capita la fonte del problema, non sarebbe comunque difficile produrre esempi diversi che porterebbero allo stesso esito. Abbiamo quindi ragioni per sospettare che la nozione di onnipotenza sia incoerente. Se è così, essa non sembra poter trovare posto nemmeno nel mondo soprannaturale, rimanendo relegata, ancora una volta, ai deliri.
Il termine ‘paradosso’ non indica di per sé un problema insolubile. Piuttosto indica qualcosa che sfida il senso comune. Anche il paradosso della pietra, sebbene inviti a riflettere in modo più accurato sulla nozione di onnipotenza, potrebbe nondimeno essere risolvibile. Sebbene a prima vista esso sembri mostrare la contraddittorietà dell’idea di l’onnipotenza, non è detto che questo ne sia l’esito inevitabile. Sembra anzi possibile darne una soluzione piuttosto immediata. La soluzione consiste nel seguire gli eventi che si succederebbero nella creazione della pietra insollevabile. Immaginiamo che vi sia un essere onnipotente che, in quanto tale, può tutto. Dunque, può anche creare una pietra così pesante che non può esser sollevata da nessuno. Immaginiamo dunque che la crei. Siccome la pietra non può essere sollevata, neanche il dio in questione può sollevarla. Quindi, nel momento in cui la crea, egli smette di essere onnipotente. In questa ricostruzione del racconto non emerge nessuna contraddizione. La creazione della pietra implica semplicemente che il dio perda la sua onnipotenza. La possibilità della creazione della pietra equivale alla possibilità che un essere onnipotente rinunci alla sua onnipotenza. Possiamo quindi chiederci, un essere onnipotente, potrebbe rendersi non onnipotente? Se è onnipotente, può fare ogni cosa, quindi la risposta è affermativa. Il paradosso è dissolto.
Come spesso succede, i paradossi tendono però a vendicarsi una volta che siano risolti. Ovvero, è spesso possibile riformulare il paradosso in una versione rafforzata che eviti la soluzione proposta. Ad esempio, possiamo chiederci: un essere onnipotente può creare una pietra insollevabile e allo stesso tempo rimanere onnipotente? Non dovrebbe esser difficile vedere che questo caso ci porta nuovamente a contraddizioni senza che la soluzione precedente sia praticabile. La nuova versione rafforzata può anche essere messa in varie forme. Ad esempio, si consideri un essere essenzialmente onnipotente, ovvero per cui l’onnipotenza risulti necessaria. Potrebbe un tale essere creare una pietra insollevabile? Oppure, può un essere onnipotente rendersi non onnipotente e allo stesso tempo rimanere onnipotente? Essendo questa una contraddizione, possiamo anche chiederci direttamente: un essere onnipotente può rendere vere le contraddizioni? Il paradosso della pietra, nella sua versione più radicale, ci porta naturalmente a considerare il rapporto tra l’onnipotenza e le contraddizioni o, in generale, le leggi della logica.
Il principio di non contraddizione, che esclude che una cosa possa essere in un certo modo e allo stesso tempo e sotto lo stesso aspetto, non essere in quel modo, è per Aristotele il principio più saldo di tutti. Come tale è stato spesso e a lungo considerato irrinunciabile, nonostante tentativi, non sempre chiarissimi, di emendarlo (dallo scorrere di Eraclito, alla dialettica Hegeliana, o in alcune concezioni di pensiero orientale, per fare solo qualche esempio). Se si accetta tale principio, come vorrebbe l’ortodossia, è facile concludere che le contraddizioni siano al di là dello spazio logico della possibilità. Ovvero, essendo logicamente impossibili, esse non dovrebbero contare ai fini dell’onnipotenza. Detto altrimenti, l’onnipotenza dovrebbe essere intesa come la capacità di fare qualsiasi cosa, dove questo ‘qualsiasi cosa’ indica, più precisamente, ‘qualsiasi cosa possibile’. Chiedere l’impossibile, infatti, ci porterebbe in contraddizione. Ovvero, i paradossi dell’onnipotenza, dando origine a contraddizioni, ci mostrerebbero che l’idea di onnipotenza come capacità di fare tutto, anche il logicamente impossibile, vada esclusa. D’altra parte, l’impossibile, è, per definizione, non possibile e quindi non dovrebbe rientrare tra le cose che si possono fare. Questa via, che rappresenta la strategia standard per gestire il paradosso, permette di superare il problema promuovendo una più attenta concezione dell’onnipotenza, intesa come la capacità di fare tutto ciò che è logicamente possibile.
Vi è però qualcosa di insoddisfacente nell’idea che l’onnipotenza sia vincolata ad uno spazio limitato di possibilità. È difficile non concludere che, così intesa, la nozione di onnipotenza ottenuta sia spuria e forse non vera onnipotenza. Come notato in apertura, l’onnipotenza dovrebbe essere assoluta, non relativa. Non soggetta alle regole del mondo ma nemmeno a quelle della logica. Un essere che fosse vincolato dalle leggi della logica esibirebbe un’onnipotenza limitata. Al contrario, l’onnipotenza assoluta dovrebbe essere in grado di violare o piegare anche le leggi della logica. I sostenitori della soluzione non contraddittoria detta sopra obbieterebbero che non è possibile pensare in modo coerente una tale onnipotenza assoluta. Questa conclusione è però legittima solo se la contraddizione è davvero un assurdo logico, come voleva Aristotele. Specie alla luce degli sviluppi recenti della logica, non è affatto scontato che sia così.
Negli ultimi decenni l’idea che le contraddizioni siano logicamente inammissibili è stata messa in dubbio e, ad oggi, pochi logici accetterebbero che la visione aristotelica sia così scontata come potrebbe apparire. Sono stati infatti proposti raffinati trattamenti logici e filosofici che, in modo chiaro e dettagliato, mostrano come sia possibile ragionare in modo rigoroso pur ammettendo le contraddizioni. Per fare questo, tali strategie rivoluzionarie hanno dovuto superare alcune difficoltà teoriche. Dal punto di vista logico, le contraddizioni presentavano almeno due problemi che le rendevano di non facile trattazione. Da un lato, esse appaiono sicuramente false. Ammetterle vorrebbe quindi dire introdurre qualcosa di falso nelle proprie teorie. Dall’altro lato, in logica classica il falso implica tutto, secondo il principio dell’Ex Falso Quodlibet. Una teoria che ammettesse una contraddizione non avrebbe quindi in sé solo qualcosa di falso ma sarebbe costretta ad ammettere qualsiasi affermazione. La teoria ottenuta dimostrerebbe tutto e il suo contrario, rendendosi banale. Le logiche che ammettono contraddizioni risolvono entrambi questi problemi. Anzitutto, esse modificano la logica classica in modo tale che il principio dell’Ex Falso Quodlibet sia rifiutato. In questo modo, le eventuali contraddizioni non implicano ogni cosa e le teorie che includono contraddizioni non risultano banalizzate. Queste logiche sono dette paraconsistenti. In secondo luogo, si può arrivare ad ammettere che alcune affermazioni possano essere sia vere che false. Questa posizione è detta dialetheismo. Esempi di tali affermazioni, le dialetheie, sarebbero proprio alcune contraddizioni. Le contraddizioni non sarebbero quindi da rifiutare sempre e completamente perché false, avendo comunque in sé qualcosa di buono. Esse sarebbero false ma, allo stesso tempo, anche vere, e tale verità non andrebbe gettata alle ortiche. Si noti che, in questa prospettiva, non tutte le contraddizioni sono da ritenersi sia vere che false ma solo quelle che vi è ragione di accettare come tali. Tipicamente, queste sono le conclusioni dei paradossi, laddove se ne accettino le premesse. Ad esempio, abbiamo visto che il paradosso rinforzato della pietra conclude che l’essere onnipotente può rendersi non onnipotente rimanendo onnipotente. Dunque, se si accetta che esista un essere onnipotente, allora, da questo punto di vista, se ne può concludere che vi possano essere enti che sono e non sono onnipotenti. Questa conclusione, pur contraddittoria, è quella che l’adozione di una logica paraconsistente ci permette di sostenere.
Sembra che la prospettiva ottenuta dalla logica paraconsistente permetta di maneggiare il paradosso della pietra anche nella versione rafforzata. Ciononostante, la soluzione non è ancora del tutto soddisfacente. Sebbene la logica paraconsistente rifiuti il principio di non contraddizione, in essa, tipicamente, valgono altri principi logici, come, ad esempio, la legge del terzo escluso, che afferma che o una affermazione o la sua negazione devono essere vere. Si potrebbe quindi ricostruire un problema analogo a partire da quelle leggi. In altre parole, e in termini generali, il problema di fondo, di cui la compatibilità con le contraddizioni è solo un’istanza particolare, è se un essere onnipotente sia vincolato o meno al rispetto delle leggi della logica, siano essa la logica paraconsistente o altre.
Questo tipo di quesito è abbastanza comune nelle riflessioni sulla onnipotenza. Spesso si gioca però ad un livello che tende a dare per scontato il significato di termini che chiari non sono. In particolare, cosa sono le leggi della logica? Per chiarire cosa comporti la loro violazione, è necessario capire quale sia la loro natura nomologica. Sicuramente le leggi della logica non sono leggi nel senso giurisprudenziale del termine, ovvero analoghe a leggi dello stato. Sono forse simili a leggi di natura, solo molto generali, come credono alcuni? Oppure sono leggi del pensiero, come credono altri? Oppure sono il risultato di mere convenzioni linguistiche? Una soluzione soddisfacente ai problemi dell’onnipotenza dipende da quale concezione si adotti. Siccome la natura della logica e delle sue leggi è uno dei problemi più profondi della filosofia della logica, invece che esplorare queste alternative, mi limito in chiusura a considerare un caso particolarmente interessante.
Secondo una certa concezione, la logica è una disciplina che, come molte altre scienze, costruisce modelli formali per lo studio di vari fenomeni e problemi. Questi modelli riguardano, tipicamente, i rapporti inferenziali tra formule e certi fenomeni semantici molto generali. In questo approccio una legge logica è un principio che vale all’interno del modello in cui svolge un ruolo centrale. In questa prospettiva almeno due aspetti sono da notare. Anzitutto, il modello, in quanto tale, non deve essere letteralmente perfetto, dal momento che risulta da una idealizzazione del fenomeno. Che i suoi principi siano a volte violati non è quindi un problema. Quel che conta è solo che il modello, nella sua interezza, abbia una certa utilità pragmatica o teorica. Questa prospettiva già fa sgonfiare il problema della violazione delle leggi logiche, anche da parte di un essere onnipotente. In secondo luogo, non esiste un modello corretto in generale. A seconda del fenomeno e dell’aspetto che se ne intende studiare, diversi modelli possono essere preferibili. Veniamo allora alla questione di quale modello logico sia adatto per ragionare di onnipotenza. Dal momento che un essere dotato di onnipotenza assoluta non dovrebbe essere vincolato da nessuna legge logica, allora il modello più adatto sembra essere uno in cui non vi sia nessuna legge logica. Per un essere onnipotente non esistono leggi logiche e nulla è quindi logicamente impossibile. La logica dell’onnipotenza assoluta è quindi naturalmente rappresentata dal nichilismo logico. In questo modo il problema del rapporto dell’onnipotenza con le leggi logiche viene dissolto insieme a queste ultime. Se nel mondo umano l’onnipotenza trova il suo posto nei deliri, in quello divino l’onnipotenza si trasforma dunque in nichilismo.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA ANDREA STROLLO Endoxa settembre 2025 Onnipotenza
