LE DUE FORME DEL NARCISISMO
SARANTIS THANOPULOS
Ci sono due forme di narcisismo e sono tra loro opposte, antagoniste. Una è pulsionale, origina dal legame tra corpo e psiche ed è espressione di vita. L’altra viene dalla psiche (l’apparato di significazione erotica, affettiva e ideativa dell’esperienza) ed è espressione di morte. La prima è legata al desiderio, la seconda al bisogno.
Il desiderio, cerca il piacere dei sensi (in forme immediate sensoriali o in forme indirete sublimate): il persistere di una tensione psicocorporea, la cui gradevolezza nasce dall’intensità e dalla profondità del coinvolgimento, dal ritmo, dalla complessità e dall’imprevedibilità dell’esperienza. Include sempre un grado di rischio, di incertezza, trasforma la materia della soggettività e resta sempre insaturo, aperto nel suo appagamento. Nella sua forma originaria, all’inizio della vita, è desiderio di sé: il soggetto vede nell’altro desiderato (in principio la madre) un’estensione della propria esperienza, una parte eccentrica di se stesso.
Questa iniziale autoreferenzialità del desiderio, il nucleo onnipotente dell’esistenza soggettiva, è il narcisismo che guarda alla vita. È la fonte dell’opposizione al vivere adattivo, la spinta a creare il mondo non a propria immagine e somiglianza, ma nel senso che D. W. Winnicott (1970) ha genialmente intuito: la madre deve porre il seno (essere presente come oggetto sensuale erotico con il suo corpo) là dove il desiderio del bambino (il movimento che lo estroverte al mondo) se lo aspetta, lo colloca. In questo modo il bambino ha l’illusione di avere creato il seno, il mondo come luogo di euēmeria (la “bella giornata” di cui parla Aristotele). Più che “sentimento oceanico”, espansione senza limiti di un essere tutt’uno con il mondo, il “narcisismo primario” (Freud) è un fluire continuo dell’esperienza, lo scorrere spontaneo dell’esistenza, il godere del semplice vivere.
Nella concezione di Winnicott il nucleo narcisistico del soggetto, il “vero Sé” come egli lo definisce (in modo che sa di romanticismo, ma, nondimeno, capace di rendere l’importanza del sentimento erotico, passionale che fonda la soggettività), è isolato, non comunicante se non “silenziosamente” (1962). Il soggetto sorgente non comunica intenzionalmente con ciò che lo circonda perché seppure vagamente percepisca la sua differenza non la concepisce come tale. L’oggetto del suo desiderio è un fenomeno soggettivo, la comunicazione con esso è una comunicazione tra sé e sé.
La comunicazione silenziosa è, tuttavia, relazione. La creatività originaria (il nucleo essenziale della soggettività) non è il creare l’altro (il “seno”) come parte di sé, ma il creare la relazione con esso, l’accordarsi inconsapevole dei propri movimenti psicocorporei ai suoi che dà forma a un dialogo tra due luoghi di un’unica esistenza: il dentro e il fuori dal centro di gravità della propria esperienza. Il narcisismo di vita è una relazione con l’altro in cui non si comunica intenzionalmente con esso perché il soggetto poco percepisce e nulla concepisce della sua distinta esistenza. Non è che non si sappia nulla dell’altro: ciò che di esso si sa non è conoscenza di qualcosa di diverso da sé. Il narcisismo iscrive la relazione con il mondo nella materia psicocorporea del soggetto. Si tratta di una relazione che contiene in sé l’alterità, non mette in comunicazione con essa. L’altro è una relazione prima di essere un oggetto/soggetto definito e nominabile, una componente co-costitutiva della propria soggettività prima di costituirsi come soggettività altra.
Luogo di appartenenza a sé, che è in realtà appartenenza alla relazione con la vita, il narcisismo è sotteso, innervato dalla differenza che così si iscrive nel cuore dell’esistenza individuale, aprendola, estrovertendola alla realtà nel punto della sua massima autocontemplazione. Quando la differenza dell’oggetto desiderato irrompe con la sua improrogabile riconoscibilità -riguardante anche la propria personale complessità, che non può più restare, senza essere compressa, nell’accordo senza conflitti con la madre- nessuna gradualità e neanche la sua pre-iscrizione nella trama della soggettività può evitare che nel luogo della comunicazione silenziosa si verifichi una mutilazione. Il bambino è mutilato di madre, esposto a un gioco di presenza e assenza, di prossimità e lontananza in cui l’essere mancante di una parte di sé, l’incompletezza del suo essere, lo spinge alla ricerca di una cosa esterna che lo completi. Passa dalla “mancanza di essere” al “vivere nella mancanza”.
Di fronte alla limitazione della propria autoreferenzialità -alla frustrazione del desiderio che deve accordarsi con un desiderio altro, di cui non può ignorare la libertà, l’autodeterminazione- il soggetto ricorre a un investimento erotico di sé, il “narcisismo secondario” nella prospettiva che Freud ha delineato. Trattenere parte dell’investimento erotico della vita su di sé è la condizione necessaria perché si possa trasferirlo sull’oggetto desiderato. Non si può amare svuotandosi di se stessi, è necessario sentirsi amabili per poter amare. L’investimento narcisistico secondario al riconoscimento dell’esistenza autonoma dell’altro non è un ripiegamento difensivo. Esso irradia verso l’ambiente esterno l’amor proprio che così include anche l’oggetto amato. Lungi da essere egoistico, consente di prendere cura delle cose desiderate, amate come se fossero parte di se stessi. Domanda che è, al tempo stesso, offerta di desiderio e di amore, fondata sulla propria verità: non si è desiderati, amati se non nel riconoscimento/desiderio del proprio modo di desiderare, amare.
Il narcisismo di morte -termine con cui A.Green (1982) ha introdotto una prospettiva destinata a modificare la nostra concezione di Thanatos- è totalmente iscritto nella logica del bisogno: tensione psicofisica – scarica della tensione – sollievo. La sua derivazione non è, tuttavia, corporea. L’appagamento dei bisogni materiali non è di per sé incompatibile con la materia desiderante di cui è fatto l’essere umano: la sua naturale inclinazione verso il prolungato e necessariamente trasformativo piacere dei sensi. Essere libera di tensioni indesiderabili, disturbanti consente alla struttura psicocorporea di lasciarsi andare alle trasformazioni/destabilizzazioni che procurano un suo coinvolgimento/godimento profondo. Spesso i bisogni sono condizioni logistiche, preliminari dello sviluppo e della soddisfazione del desiderio. E viceversa l’espressione adeguata del desiderio aiuta a prendersi meglio cura del proprio corpo nelle sue esigenze fisiche.
È un’esigenza squisitamente psichica a spingere l’uomo nell’adozione di una logica di funzionamento meccanico, ripetitivo, di un ritorno del medesimo che aspira all’azzeramento di ogni tensione. Più di ogni danno materiale l’essere umano teme la destabilizzazione psichica, l’impossibilità di dare senso alla propria esperienza tutte le volte che le circostanze eccedono la sua capacità di rappresentazione. Nella necessità assoluta di dare un senso alla propria esistenza, sotto la pressione di condizioni interne ed esterne che la rendono estremamente precaria, può prendere decisioni che mettono in serio pericolo la propria sopravvivenza.
La psiche ripara la propria impotenza di fronte a situazioni che la sopraffanno rifugiandosi in un assetto performante che produce inerzia e la dissocia dal corpo, abbandonato ai suoi parametri biologici di funzionamento e trasformato in mero strumento esecutivo. Si vive secondo un principio di esistenza omeostatico, secondo schemi mentali di comportamento che sostituiscono il desiderio e annullano il suo effetto insopportabile di coinvolgimento destabilizzante.
Il modello omeostatico del funzionamento psichico è fondato sull’identificazione con la morte. Piuttosto che implodere o esplodere, subire l’effetto destrutturante della morte mentre è vivo, l’apparato psichico si identifica con essa, tende a diventare tutt’uno con la sua configurazione atarassica. In definitiva l’inerzia che può colpire in varie estensioni la struttura psichica tende verso l’assoluta oggettività della morte. Riduce l’esistenza umana a un ideale di macchina, totalmente adattata alle sua condizioni oggettive, che può avere un guasto o smettere di funzionare, ma non “muore”, non essendo viva. Il narcisismo di morte agisce pervertendo il desiderio in bisogno, allontanando l’eccitazione profonda e scaricandola in superficie. Nella misura in cui resta viva una parte della materia della soggettività, si sente l’odore di morte che viene da dentro. Far apparire vivo ciò che è morto, ingannando i sensi, sostituisce il vivere, piuttosto che sopravvivere di ciò che è vivo e si ricorre a tecniche e mezzi eccitanti e calmanti il cui alternarsi imita, contraffacendolo, il desiderio/godimento vero.
Preso nelle maglie del narcisismo di morte l’essere umano diventa morto vivente: morto in profondità, vivo artificialmente in superficie. Fonte di desoggettivazione dell’esperienza dissocia il zēn dal bios e lo riduce a vita puramente biologica, “cruda”. Il narcisismo è il terreno dello scontro tra Eros e Thanatos, tra la spinta pulsionale erotica che viene dal corpo e l’inerzia psichica, tra il desiderio e la sua perversione, tra la trasformazione e il funzionamento omeostatico dell’esperienza, tra l’estroversione della soggettività e il chiudersi desoggettivante dell’esistenza.
Bibliografia
A.Green (1982), Narcisismo di vita, narcisismo di morte, Edizioni Borla, Roma 1992
D.W. Winnicott (1970), Gioco e realtà, Armando Armando Editore, Roma 1971, 2001
D.W. Winnicott (1962), Comunicare e non comunicare. Studio su due opposti in Sviluppo affettivo e ambiente, Armando Armando Editore, Roma 1974
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA PSICOANALISI Endoxa marzo 2018 PSICOLOGIA Winnicott