ESISTE L’INVISIBILE? NEL LABIRINTO DELLE RELAZIONI

GIACOMO PEZZANO

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Tra i tanti memi che circolano sui social network, ce ne sono alcuni che attribuiscono a Fabio Volo esclamazioni tra le più banali possibili, però proclamate con la giusta enfasi da oracolo. Tra queste, troviamo anche uno dei cliché a cui siamo più affezionati: “non è tanto il caldo; è l’umidità”. Ma siamo sicuri che questa frase, perlomeno quando proviene dalla saggezza di Fabio Volo, non nasconda una profonda verità?

A ben vedere, infatti, il buon Fabio ci sta dicendo di non cadere in inganno. Certo, il caldo è ben visibile, è lì “certificato” nei gradi che lo misurano e a cui continuamente guardiamo, come nel sole che è lì a farci vedere il caldo, a sbattercelo in fronte. Eppure, c’è qualcosa che non si vede altrettanto bene, e che non solo è importante, ma forse fa persino la differenza reale. Si tratta appunto dell’umidità: qualcosa che “percepiamo” senza riuscire a vedere, una sorta di “atmosfera” che sembra sfuggire ai nostri occhi, ma che fa sentire la propria presenza, decisamente. C’è, anche se non la vediamo.

Insomma, Fabio Volo ci invita ad aprire gli occhi, per renderci conto però che per quanto possiamo aprirli e ampliare il nostro campo di visibilità, c’è qualcosa che sembra insistere nel rimanere invisibile. Invisibile, ma esistente.

Ma andiamo con ordine, partendo da un piccolo esperimento.

Guarda la tua mano: dovresti riconoscere un pollice, un indice, un medio, un anulare, un mignolo, volendo un palmo, … Ogni parte della tua mano ha un nome (anche la stessa mano!): ma riesci a riconoscere il rapporto tra pollice e indice, quello tra pollice e mignolo, e così via? Come si chiama lo “spazio tra” due dita? Come si chiama la “relazione” di contatto tra due dita? Abbiamo insomma dei termini per nominare questi rapporti?

No, per quanto cerchi di sforzarti, ti accorgerai che non ne abbiamo. Perché mai? La risposta è insieme banale e spiazzante: siamo abituati a riconoscere cose, ma non siamo altrettanto attrezzati per riconoscere relazioni. Le cose ci sono pienamente visibili, i rapporti ci restano invisibili. Eppure le relazioni esistono, eccome se esistono; anzi, sono la cosa per noi forse più importante: relazioni tra cose, persone, fenomeni, eventi, pensieri, emozioni, luoghi, momenti, e chi più ne ha più ne metta.

Siamo circondati da strane “cose invisibili” che appunto non sono cose: siamo immersi nelle relazioni anche se non le vediamo, o forse proprio perché tendiamo a non notarle. C’è chi dice che, in fondo, è tutta un po’ colpa del linguaggio (perlomeno indoeuropeo), occupato a indicare oggetti e delimitare soggetti, a nominare le cose e le loro proprietà, facendo perdere di vista l’evanescente leggerezza dei rapporti, l’intangibile forza delle connessioni. Ed è un bel problema per le relazioni, se è vero che il nostro mondo, il nostro modo di percepire e pensare il mondo, è strutturato dal linguaggio. Siamo destinati a non poter prestare adeguata attenzione a qualcosa che è per noi così decisivo?

Sembrerebbe di sì. Per fortuna, ci sono almeno due “eppure”. Uno più recente, l’altro un po’ più vecchiotto, ma tutto sommato non ancora superato.

Il primo è che oggi l’intreccio tra digitale, web, infosfera ecc. rende effettivamente più visibile la trama di rapporti che ci costituisce e dentro cui nuotiamo. Non si tratta né di esaltare la potenza della rete, né di denunciare la perdita di qualche antico valore più profondo, o cose del genere: si tratta semplicemente di riconoscere che quotidianamente abbiamo sempre più a che fare con interfacce e interazioni, che in certa misura rendono visibile ciò che altrimenti sarebbe restato inavvertito, o poco avvertito. Banalmente, se per esempio possiamo fare più caso alla forza di un rapporto senza concentrarci su oggetti, cose o persone, è grazie al fatto che attraverso un’apposita app possiamo accendere il riscaldamento di casa nostra a distanza e senza contatto fisico, così come possiamo interagire con amici o persino sconosciuti senza vederci di persona, e così via. Che sia meglio o peggio non è ora il problema: il punto è che le cosiddette ICT quasi ci costringono a notare queste strane presenze invisibili che permeano le nostre giornate. Ogni qualvolta cerchiamo – parole per nulla casuali! – campo o connessione, in fondo, cerchiamo qualcosa che non si vede ma c’è – eccome se c’è.

Il secondo è che sin da quando qualcosa come la filosofia ha cominciato a esistere, non ha fatto altro (esageriamo pure!) che sforzarsi di far notare non solo che esistono cose invisibili, ma anche che queste sono perlomeno altrettanto importanti di quelle visibili. Già più di 2.500 anni fa, Anassagora – anticipando Fabio Volo – aveva fatto presente che «le cose che si vedono sono l’aspetto visibile di quelle che non si vedono»: c’è qualcosa che non si vede, ma che appunto c’è! La filosofia non è altro (continuiamo sempre a esagerare!) che un esercizio per mettere a fuoco ciò che non è visibile, per rendere ogni volta percepibile l’invisibile, per riconoscere la presenza di questa invisibilità, senza però riuscire davvero a vederla come si vedono le cose.

È vero, spesso la filosofia si è un po’ persa per strada, arrivando a credere che le cose che si vedono sono in fondo illusioni, apparenze e inganni, mentre la vera realtà starebbe dietro le cose o al fondo delle cose, quasi nascosta, per timidezza oppure per meglio sedurre. Come se le cose rimandassero a una sorta di Super-Cosa, la supereroina per eccellenza di tutte le cose, da sole incapaci di badare a se stesse. Ma è anche vero che, al di là di un simile smarrimento per questa meravigliosa scoperta dell’invisibile, resta viva un’esortazione che non può essere ignorata: facciamo attenzione alle relazioni! Sono invisibili, ma eccome se ci sono! Anassagora ci diceva insomma che «le cose che si vedono sono l’aspetto visibile delle relazioni, che non si vedono, ma ci sono».

Fare attenzione all’invisibilità delle relazioni significa anche non restare impantanati nella palude: se esiste l’invisibile, allora esistono davvero zombie, spettri, forze oscure, entità superiori, demoni, dèi, e cose del genere? No, proprio perché le relazioni non sono cose, oggetti ed entità, naturali o sovrannaturali: non bisogna confondere l’invisibilità dei rapporti con quella di supposte cose invisibili.

Che cosa sono però le relazioni? Come funzionano? Dove si annidano? In che cosa consistono? In fondo, è proprio per porre domande simili, prima ancora che per rispondervi, che abbiamo bisogno della filosofia e non ci bastano le app.

Le relazioni sono i passaggi tra le cose, sono i luoghi in cui una cosa passa in un’altra, lo spazio appunto invisibile in cui avvengono le trasformazioni. In una parola, le relazioni sono processi. In effetti, se ci facciamo caso, i processi sono sparsi ovunque, ma non li vediamo o non ci badiamo granché, perlomeno normalmente.

Facciamo un altro piccolo esperimento. Quanti e quali sono i processi che in questo momento stai davvero avvertendo? Ti stai davvero accorgendo del fatto che, impercettibilmente, stai crescendo, o che – se sei più pessimista – stai invecchiando? È per te visibile il fatto che ti stai trasformando? Lo vedi il processo di lettura attraverso cui stai ora leggendo? Se stai in piedi, fermo, come una cosa, ti accorgi che in realtà c’è tutto un movimento di tensione tra i muscoli, le ossa, i tendini, le cellule e così via, che ti permette di mantenere quella posizione così statica?

Forse cominci a notare tutti questi aspetti ora, che sei inciampato in simili domande, domande che indirizzano l’attenzione verso il farsi delle cose, anziché semplicemente sulle cose fatte: le cose fatte sono per noi visibili, il farsi delle cose ci resta per lo più invisibile.

Certo, il treno che stai per prendere non lo vedi in questo momento, ma sai che a breve potrai vederlo; ma il viaggio che farai con quello stesso treno, fatto di rapporti e dinamiche che intercorrono tra persone, paesaggi, vagoni, sedili, valigie, rotaie, condizioni atmosferiche, e via di seguito, come potresti mai davvero vederlo, normalmente? Quel viaggio è invisibile eppure esiste realmente – o qualcuno vorrebbe negarne l’esistenza?

Oppure, pensa agli schemi nel calcio: uno “schema 4-3-3” indica un modo di giocare, uno schieramento, una disposizione, vale a dire una maniera di occupare il campo, di muoversi, di far circolare gli spazi, e via discorrendo, con tutte le variazioni che esso comporta anzi apre. Lo schema, preso di per sé, non è altro che la relazione tra i giocatori, come tra i giocatori e il campo, i giocatori e la palla, e così via: è un insieme dinamico di rapporti, un processo. Ma lo schema è in quanto tale visibile? Certo, se ne vedono una serie di effetti, realissimi ovvero visibilissimi, che vanno a comporre lo svolgimento e l’esito di una partita, ma lo schema resta in sé invisibile. Eppure gli schemi esistono e non in un qualche strano retro-mondo o sovra-mondo, non in un qualche Iperuranio del Calcio Ideale, ma proprio qui, nella visibilità stessa del gioco del calcio. Oppure qualcuno giungerebbe a dire che gli schemi, poiché di per sé non si vedono, non esistono?

Immagina ora due persone (tre? quattro? quante preferisci!) che si amano o si vogliono bene, che hanno dunque un rapporto affettivo – ma sarebbe lo stesso per un rapporto di odio o inimicizia, per qualunque tipo di relazione. Ti sembra un caso che comunemente lo descriviamo dicendo che c’è qualcosa tra di loro? Tra di loro, le cose – come si suol dire – funzionano, lo scambio è sempre dinamico, la passione è accesa: anche quando discutono, lo fanno perché sono coinvolti, perché il loro rapporto riesce a produrre qualcosa – fosse appunto anche soltanto un contrasto.

La loro relazione è proprio quel che intercorre tra ovvero “corre tra” di loro: non sta in nessuno dei due presi singolarmente e nemmeno in nessuna delle cose che condividono (la casa, il calcio, la cucina, …), né nella semplice somma di questi aspetti. A chi appartiene il rapporto tra me e te? A me? A te? Al videogioco al quale giochiamo entrambi? Appartiene davvero a qualcuno o qualcosa? Non è che coincide piuttosto con quel particolare dinamismo che tiene insieme tutte queste dimensioni? E dove sta questo dinamismo? Come lo vediamo?

Spesso capita che ci siano dei rapporti tremendamente strani, in cui abbiamo l’impressione che persone troppo diverse per stare insieme siano però tenute insieme (proprio nella loro diversità) da una certa tensione di fondo che appunto corre tra loro, che cioè passa per elementi tanto disparati, o persino contrastanti, riuscendo però a legarli senza (con)fonderli. Non solo: quelle persone sono realmente trasformate da quel rapporto, perché non sarebbero le stesse senza la relazione che li tende l’uno verso l’altro ed erano decisamente diverse prima che avvenisse l’incontro tra di loro. Eppure, quell’incontro proprio non si vede: resta invisibile.

Questo è dunque una relazione: un processo che tiene insieme trasformando quegli stessi elementi che tiene insieme. E lo fa senza farsi vedere, restando sullo sfondo e conservando la propria invisibilità, quasi custodendola.

Infatti, quando un rapporto diventa visibile, le cose si complicano: ci perdiamo proprio laddove credevamo di esserci ritrovati, perché siamo molto a nostro agio ad affrontare le cose, ma decisamente meno a districarci nel labirinto dei rapporti in cui pur ci muoviamo costantemente.

Le cose si complicano non solo perché, come testimonia la filosofia, quando si punta l’attenzione verso le relazioni ci si ritrova ad avere a che fare con idee strane, prospettive particolari, tentativi di nominare l’innominabile, di percepire l’impercepibile, di avvertire un processo mentre si sta facendo, e così via. Si complicano anche perché ci imbattiamo in un sacco di difficoltà pratiche, che rendono faticoso riuscire a gestire situazioni concrete.

Restiamo sempre nel campo dei nostri rapporti personali: spesso, quando realizziamo – quasi per folgorazione – il modo in cui sta andando uno dei nostri rapporti e cominciamo a farlo notare a qualcuno, si apre un problema. Si discute, si litiga, finendo magari a passare più tempo a parlare del modo in cui va o dovrebbe andare quel rapporto, che non a viverlo e “lasciarlo correre”. Cominciano insomma i casini.

Hai presente quelle coppie che a un certo punto non si ricordano più nemmeno il motivo per cui hanno litigato, ma sono perse nel rinfacciarsi a vicenda senza sosta, in una spirale all’infinito, l’atteggiamento che hanno l’uno verso l’altro? “Tu mi hai risposto in questo modo…”, “ma perché tu mi hai detto quella cosa…”, “certo, perché tu ti poni così…”, ecc. Bene, in simili situazioni il rapporto sembra diventato talmente visibile da occupare tutta la scena, paradossalmente bloccando di fatto ogni scambio reale. Quel rapporto si sta come spegnendo, forse inesorabilmente.

“Però almeno stiamo finalmente vedendo quel rapporto invisibile, finalmente è diventato visibile!”, potresti pensare. Ma ne sei davvero così sicuro? Non è che forse, proprio in quel momento in cui crediamo di aver “stanato” i rapporti, la loro invisibilità ci sta di nuovo prendendo alle spalle? Non è che la nostra attenzione si sta concentrando su qualcosa che sembra infine visibile, ma che proprio in questo modo fa trionfare ancora una volta la propria forza invisibile?

Ti faccio infatti un’altra semplice domanda: quella coppia di litiganti sta realmente rendendosi conto del tipo di rapporto che in quel momento sta intercorrendo tra di loro? Quelle due persone stanno realizzando di essere entrate in un circolo vizioso e potenzialmente infinito di rinfacci reciprochi? Evidentemente, no. Se tu sei lì a osservarli, te ne accorgi subito: sono tanto presi dal parlare della loro relazione da non accorgersi nemmeno che stanno litigando, del modo in cui stanno litigando e del processo del loro litigare!

Quella coppia, immersa nel litigio, non vede altro che le incrinature del proprio rapporto, crede finalmente di star vedendo il proprio rapporto con estrema chiarezza, eppure non si accorge dell’invisibilità di quel litigare, che è il rapporto che sta intercorrendo in quel momento. È tutta presa dal litigio come “cosa” da non avvedersi del litigio come “relazione” ovvero “processo”.

Chissà, forse è proprio di fronte a una situazione del genere che Anassagora si è detto: “le cose che si vedono sono l’aspetto visibile di quelle che non si vedono”. In ogni caso, se ti ritrovi spettatore più o meno volontario di una simile scena, non dimenticare che l’ultima cosa da fare è disturbare i due litiganti ricordando loro la saggezza di Anassagora – questo è poco ma sicuro. Potresti forse avere più fortuna sfoderando un aforisma sull’amore di Fabio Volo.

Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA PSICOLOGIA

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