IL GUSTO DEL VEDERE E LA CECITÀ IPERVEDENTE

SARANTIS THANOPULOS

vedere

In Nascita della clinica, Foucault dice che la semeiotica medica si è costituita a partire da uno sguardo insieme vergine e sapiente. Il clinico guarda i segni che configurano la manifestazione esteriore del processo patologico oggetto della sua attenzione e cura come se li vedesse per la prima volta e, al tempo stesso, alla luce della sua esperienza e conoscenza. Lo sguardo sapiente sa ciò che vede e può darne una descrizione/spiegazione logica e obiettiva.

Le cose visibili, esposte allo sguardo di tutti, non si vedono veramente se non all’interno delle loro relazioni, dentro il gioco delle differenze in cui sono immerse (a partire dalla loro differenza dal soggetto vedente) che lo sguardo sapiente è in grado di cogliere. L’educazione dello sguardo, l’apprendimento a vedere non è, tuttavia, una scienza esatta, obiettiva. La vista è indissociabile dall’investimento erotico, affettivo e mentale dei suoi oggetti. Lo scienziato che osserva non lo fa secondo le regole di logica formale con cui costruisce il suo discorso. Ciò che vede a partire dal suo personale coinvolgimento, la passione che ispira la sua spinta conoscitiva, eccede l’insieme dei dati visivi logicamente associabili tra di loro.

Lo sguardo vergine vede una cosa, che ha già visto, senza collocarla in un previo sapere, senza ri-conoscerla. Tuttavia ciò sfocerebbe  in  un’allucinazione “negativa” (la cancellazione della cosa vista dal campo visivo) se lo sguardo vergine non potesse affidarsi a un tipo di esperienza che sospende l’effettività della sua conoscenza logica. Lo sguardo sapiente è quello vergine si compenetrano. Creano un vedere che è sperimentazione, esperire aperto, sospeso nella sua concretezza. La compenetrazione trasforma il sapere su ciò che si vede in un saper vedere: cogliere il senso delle cose, godendone.

Nessuna percezione è significativa, emotivamente e intellettualmente investita se non è associata direttamente o indirettamente, positivamente o negativamente, in forma carnale o sublimata, a un’esperienza sensuale, profonda e coinvolgente, in altre parole a un piacere (che non ignora il dolore) del vivere. Seguendo questa prospettiva l’investimento della vista presume un’esperienza di coinvolgimento psicocorporeo di cui essa è una componente, ma non l’artefice. Il bambino nato alla vita investirà ciò che vede solo in funzione della sua associazione con quello che è il centro della propria esistenza: il legame sensuale con il corpo erotico della madre, a partire dal rapporto bocca-seno. Questo legame, che non va confuso con una sue estensione (il piacere gustativo, olfattivo del latte), coinvolge tutti i sensi, più il sistema muscolare e propriocettivo, ed è centrato nel gusto. L’assaporare il corpo materno è l’esperienza piacevole più intensa e costitutiva degli inizi della nostra esistenza, non solo per la cosa in sé, ma anche perché è il prodotto di un reciproco coinvolgimento, di due coinvolgimenti che si incontrano. Esso informa tutti i sensi a partire dalla vista che non potrebbe essere significativa, col rischio di diventare alienante, desoggettivante, se restasse solo “operativa”, se non diventasse gustativa, capacità di assaporare la vita, appropriarsene piuttosto che misurarla.

Il gustare implica il sostare, la sospensione del giudizio, la trasformazione della materia soggettiva insieme alla materia gustata che trasformandosi si rivela insieme a portata di mano e imprendibile. È un’alternanza di ritmi, un persistere della tensione gradevole che include perdita di contatto e ritrovamento, un conoscere, che produce un piacere suppletivo, ma, al tempo stesso, deve arrendersi alla sorpresa, all’imprevisto.  È un saper esserci che non solo deve rinunciare all’acquisizione di un sapere preciso, ma anche rendere sperimentale, potenziale un sapere già acquisito che pure fa parte del piacere complessivo dell’esperienza vissuta.

Vedere è saper gustare la vita e solo a partire da ciò la vista acquista un primato tra i sensi nel campo della rappresentazione dell’esperienza (nell’infinita varietà delle sue forme sublimate), per le possibilità che offre di cogliere le differenze e relazionarle tra di loro, ampliandone il gioco, di definire i dettagli e i confini e di disegnare la complessità. Questo primato della vista è frainteso in termini difensivi, di ritiro dall’esperienza, e usato per affermare il principio dell’evidenza che cancella lo sguardo vergine e perverte il piacere legato al gusto del vedere in eccitazione voyeuristica. In tutti i campi scientifici, a partire dalla medicina e dalla fisica, la tecnologia ottica si sta imponendo non solo come strumento principale di ricerca, ma anche come paradigma conoscitivo. Pure nel campo della cultura e dello spettacolo, il vedere il più possibile, inventare e costruire sempre di più oggetti visivi, eccitare lo sguardo, stordendolo, è diventato un canone di successo e di fidelizzazione di un pubblico passivo. L’“immagine” del soggetto impigliato nel campo di un commercio del piacere di superficie è diventata ben più importante della “sostanza” della sua partecipazione alla vita.

L’ideologia dell’evidenza, l’affidamento a modalità di vedere sempre più sofisticate che fanno vedere ciò che prima non si vedeva, mantiene e riproduce costantemente un sapere calcolatore di quantità, che più amplia il campo visivo in cui opera e più lo affina, più diventa cieco. A furia di cercare di vedere cose che non si vedevano, si rischia di vedere in esse il riflesso della struttura logica della propria mente incapace di conoscere veramente. La conoscenza può procedere in due modi: attraverso l’ampliamento della visuale creato non dallo strumento visivo ma dalle trasformazioni delle relazioni tra le cose che produce l’esperienza “gustativa” della vita; mediante la costruzione di ponti conoscitivi di circolazione dell’esperienza tra ciò che si potrebbe vedere (basterebbe metterlo nella giusta luce o guardarlo dalla giusta distanza e prospettiva, e a questo dovrebbe dare il suo sostegno la tecnologia) e ciò che non si dà a vedere, che non potrebbe in nessun modo essere visto, ma, proprio per questo, fa vedere. Ciò che non può essere visto può essere vissuto: si fa presente come sensibilità, intensità, intuizione, senso della vita, nell’esperienza gustativa carnale o sublimata che essa sia. La tecnologia/ideologia ottica ferma la vita e il processo dell’esperienza conoscitiva e porta l’intera civiltà verso una cecità ipervedente.

Il rapporto tra il visibile e l’invisibile (senza scomodare gli spettri e gli specchi) rimanda ai nostri due modi di vedere: a occhi aperti e a occhi chiusi. Edipo ha perso la vista perché ha voluto vedere a occhi aperti ciò che si vede a occhi chiusi, con gli occhi del sogno: il mistero delle proprie origini, l’esperienza sensuale, degli inizi che non può dare conto di sé, né essere pensata, detta, anche se è conosciuta e fonte di conoscenza, nel segno del “non so che”, del senso vivo, immediato delle cose che eccede la possibilità della loro significazione a posteriori.

È la figura di Tiresia a dare la giusta prospettiva per una lettura appropriata dell’accecamento di Edipo. Il gesto mette certamene in atto una castrazione (un po’ voluta, molto subita) che significa retrospettivamente una complessa situazione in cui il femminile trattiene nel suo interno il maschile e si snatura in un’entità fallica immobile nella sua autoreferenzialità. Tuttavia, è proprio la presenza di Tiresia che permette di seguire una via di interpretazione diversa. Tiresia è accecato dagli dei perché lui uomo ha scoperto il segreto del godimento femminile. Ha voluto godere come una donna da una prospettiva maschile. Il suo accecamento ristabilisce l’opposizione, irriducibile all’Uno, al medesimo, delle due prospettive e rimette in gioca la loro complementarità. Questo è anche il motivo del volontario atto di togliersi, chiudere gli occhi di Edipo che con un atto di umiltà lacerante (che consentirà alla fine la sua redenzione) indietreggia dal suo incedere temerario verso l’assoluto e riafferma il valore dell’accoglienza dell’altro, della salvaguardia della femminilità.

    L’orgasmo femminile, più profondo di quello maschile, è velato allo sguardo penetrante dell’uomo, che può accedervi solo per identificazione, non per appropriazione, espugnazione. Il piacere femminile, il modo di “gustare” della donna, scioglie la struttura psicocorporea dall’interno, aprendola verso l’esterno e fa penetrare, diffondere  il godimento in tutta la sua materia. Il piacere maschile si erige seguendo la strada opposta: la struttura psicocorporea si compatta per penetrare nell’oggetto di godimento e nell’avanzare si fa coinvolgere. Il piacere femminile guarda da dentro verso fuori, quello maschile da fuori verso dentro. Il primo vede il modo a occhi chiusi, il secondo con occhi aperti. È nell’incontro tra di loro che le due vie del piacere e del vedere si compenetrano e si realizzano. La donna e l’uomo non possono godere da soli, se non in modo superficiale, autoerotico. Nè si può godere in modo solo femminile o solo maschile. Non si può vedere il mondo solo con occhi aperti o solo con occhi chiusi.

 Ogni notte sulla scena del sogno ciò che non può darsi alla vista incontra ciò che si può vedere . La trama onirica è un vedere a occhi chiusi che è, al tempo stesso, un vedere a occhi aperti. Il sognatore vede a occhi chiusi  a condizione di mantenere viva la vista ad occhi aperti e, viceversa vede a occhi aperti ciò che senza le palpebre calate la mente vigile (legata alla luce del giorno) farebbe sparire. La trama onirica penetra nell’esperienza del giorno non nella forma della fantasia ad occhi aperti, ma in quella del pensiero sensoriale, dove l’illusione sostituisce l’allucinazione e la vita è vista nella penombra o a occhi “socchiusi” (le palpebre calate ma gli altri sensi vedenti), quando si costruiscono  strutture visive sfumate e inafferrabili, ma intense e potenti.

Saper vedere significa sospendere l’effettività della vista in uno spazio potenziale, sperimentale che attiva gli occhi del gusto, gli occhi profondi, gli occhi  interiori.

Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA POLITICA PSICANALISI

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