LOCKE E POPPER SUL POTERE E SUI LIMITI DELLA LEGGE

disobbedienza

GIACOMO DI PERSIO

Il problema della potenza coercitiva della legge è stato trattato da filosofi pre-illuministi, illuministi e post-illuministi, che ne hanno messo in luce i punti di forza e le contraddizioni. Una legge è giusta in quanto tale? Posso disobbedire a una legge in qualsiasi momento? Oppure ci sono dei criteri ben precisi per poter disobbedire? In questo articolo tenterò di fornire una piccola riflessione su questi temi, grazie al contributo fondamentale di due importanti filosofi della politica: John Locke e Karl Popper.

Nonostante su questa questione molti percorsi ed accostamenti sarebbero possibili, mi piacerebbe però soffermarmi – a mò di sollecitazione – proprio su questi due pensatori fra loro temporalmente distanti. Tra Locke e Popper vi sono infatti quasi trecento anni di distanza. Tuttavia, il pensiero lockiano ha creato un punto di rottura nella società del suo tempo, tanto da ispirare l’intero contesto intellettuale illuminista che gli seguirà poco dopo. Queste influenze (ricordo essere in primis il liberalismo politico, la laicità dello Stato e la divisione dei poteri) saranno poi storicamente fondamentali per le democrazie occidentali. Ma non solo, moltissimi pensatori furono, direttamente o indirettamente, influenzati dalle opere di Locke: pensiamo a David Hume, Immanuel Kant, Adam Smith, Charles Darwin, fino a Friedrich von Hayek. Sarà proprio quest’ultimo a influenzare pesantemente il pensiero politico di Karl Popper, grazie all’incontro tra i due avvenuto dopo gli anni ’40, e indirizzandolo a una visione tipicamente liberale. Popper era pronto a raccogliere questa grande eredità di pensiero, avendo maturato, grazie al nazismo, l’odio per ogni tipo di totalitarismo.    
Dopo questa breve ma doverosa premessa, arriviamo al cuore della questione. John Locke nella sua Epistola sulla tolleranza, (1689) scriveva: “Le leggi non vegliano sulle verità delle opinioni ma sulla sicurezza e l’integrità di ciascuno e dello Stato” Ciò significa che obbedire alla legge non è sempre giusto. Locke aveva ben chiare le funzioni e i limiti della legge: una legge è giusta quando rispetta le prerogative del contratto sociale. Quest’ultimo non è da intendersi come un contratto fisico, quanto più come il consenso implicito che ogni individuo, titolare di diritti inalienabili in quanto uomo, conferisce allo Stato. Possiamo infatti distinguere tra legge etica, ossia quella legge che risponde a criteri arbitrari o relativi, e legge naturale, che risponde direttamente ai criteri razionali e universali del diritto naturale. Quest’ultima, è l’unica legge che Locke considera fondamentale per la vita degli individui. Se infatti una legge tentasse di imporre giudizi morali (all’infuori della sfera dei diritti naturali), allora gli individui potrebbero disobbedirgli e condannare quella stessa legge come ingiusta. L’autorità politica non è da intendersi come “sovrana” rispetto agli individui, tutt’altro, sono invece quest’ultimi a legittimarla in quanto tale. Lo Stato, il governo, le leggi e tutti gli atti che comprendono la sottomissione della sfera individuale ad un organismo terzo, sono in Locke al “servizio” degli individui. Possiamo dire, allora, che una legge è giusta quando tutela gli individui da invasori esterni, quando li tutela da possibili soprusi, quando rimuove gli ostacoli allo sviluppo della propria individualità e quando agisce nei limiti stabiliti dal contratto sociale, ossia dai diritti inalienabili di ogni uomo. Una legge non ha quindi validità universale in quanto tale e, una disobbedienza civile, è sempre lecita nei casi riportati in precedenza.

Il discorso di Locke verrà quindi ripreso, come visto in precedenza, dal filosofo Karl Popper. Ne La società aperta e i suoi nemici, Popper sviluppa la prospettiva lockiana (e tutte quelle a essa affini) interrogandosi sulle sue problematiche. In particolar modo, il lavoro di Popper è guidato da una domanda fondamentale: se le leggi non possiedono valore morale, è giusto allora tollerare gli intolleranti? Prima di proseguire, è bene definire il profilo dei cosiddetti intolleranti. Un individuo che non si conforma alle leggi minime stabilite dal contratto sociale, (ossia quelle leggi che Locke considerava indispensabili) è per definizione un intollerante: colui che non tollera parte dell’individualità altrui. Un intollerante è chi si rifiuta di riconoscere nell’altro gli stessi diritti inviolabili che gli sono garantiti, rompendo il patto sociale. Popper è convinto del fatto che, se una legge proibisse all’intollerante di essere tale, allora questo potrebbe disobbedirgli in modo lecito. Pensiamo al fatto che, In Italia, vi è il reato di apologia di fascismo. Una legge del genere esprime un valore morale fortissimo: condanna un’opinione e un comportamento basandosi su una categorizzazione dello stesso. Per cui, un fascista, (intollerante per definizione) potrebbe addirittura rivendicare il suo diritto ad essere intollerante, poiché è proprio lo stesso Stato ad esserlo con lui. Ma allora gli intolleranti potrebbero fare ciò che vogliono? Che ne è della violenza? Popper prosegue il suo discorso arrivando ad affermare che, se un qualsiasi individuo (intollerante o meno) arrivasse a esercitare violenza o soprusi di libertà nei confronti di un altro, allora sarebbe la stessa legge naturale a condannare quell’atto. Per cui, per Popper, la legge etica non ha alcuna validità logica, poiché porterebbe l’intollerante a rafforzare la sua intolleranza.

La prospettiva di Locke e Popper trova l’equilibrio tra l’obbedienza e la disobbedienza, mostrando come una legge etica possa portare ad uno Stato etico o totalitario, con la conseguente perdita delle libertà individuali, sancite dal patto sociale. Allo stesso tempo, la disobbedienza di una legge naturale, porterebbe al ritorno del conflitto all’interno della società. La legge può essere quindi strumento di garanzia o strumento di privazione: nel secondo caso la disobbedienza è sempre lecita.

DIRITTO Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA POLITICA

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