SPINOZA CONTRO L’IMPERSCRUTABILE: TRA UNHEIMLICH ED ELDRITCH HORROR

spinoza pop

RICCARDO DAL FERRO

Abbiamo forse il diritto di ribellarci contro l’imperscrutabile?

Posta così, la domanda potrebbe sembrare ingenua, addirittura ridicola. Ovviamente l’ignoto esiste, poiché il confine di ciò che conosciamo è indubbiamente minuscolo a confronto di ciò che ignoriamo. Ma l’imperscrutabile non è semplicemente “quello che ignoriamo” e che potenzialmente un giorno potremmo conoscere.

L’imperscrutabilità designa infatti una condizione ontologica ben precisa: essa impregna tutto quello che non abbiamo alcuna possibilità di conoscere, al punto che non potremmo nemmeno indicarlo dicendo “quello”, dal momento che la capacità di indicare, di individuare, è una struttura ben presente nella nostra mente e nel modo con cui pensiamo. L’imperscrutabile è ciò che esula nettamente, che “differisce di natura” (come avrebbe detto Bergson) dalla struttura del nostro pensare. Imperscrutabile è l’impensabile.

Se la filosofia ha coniato un termine a tutti ben noto, ovvero quello di “unheimlich”, la letteratura si è spinta un po’ più in là e grazie a Lovecraft (e, qualche decennio dopo, Philip K. Dick) ha rinnovato un aggettivo sinistro e significativo della lingua inglese: “eldritch”. Sarebbe opera fin troppo impegnativa spiegare approfonditamente perché “eldritch” sia infinitamente più efficace di “unheimlich” (contraddicendo il pregiudizio di coloro che, legati a un qualche senso di conservatorismo accademico, spacciano l’idea secondo la quale l’inglese non sia una lingua efficace filosoficamente, almeno non quanto il tedesco), ma qualche spunto è comunque necessario. Infatti, la parola “unheimlich” (“non-familiare”, “dis-intimo”) risulta fin troppo vicina alla sensibilità umana per poter designare l’imperscrutabile, l’ignoto più sfrenato, in quanto persino l’inconscio freudiano (il luogo della mente per eccellenza dove si annidano gli abissi che ci scrutano, mentre noi li scrutiamo) sarebbe umano, troppo umano, rispetto a ciò che distrugge la possibilità stessa di essere pensato, ovvero l’imperscrutabile, quello che Lovrecraft definì appunto “eldritch horror”.

A ben guardare, esiste un solo filosofo nella storia che abbia dato credito all’esistenza dell’eldritch, senza ovviamente poterlo chiamare in questo modo: Spinoza. Leggendo le sue pagine ci accorgiamo che il tempo non è stato clemente con molte di esse. L’idea stessa che la ragione possa spiegare tutto è contraddetta dal progresso nell’ambito delle scienze e della fisica quantistica, laddove è ormai chiaro che l’universo non è costruito a immagine e somiglianza della nostra mente e che non basta la logica per spiegarci tutto quello che esiste nella realtà. Anzi, il cosmo è contro-intuitivo, auto-contraddittorio, e continua a manifestarci tutta la sua insensatezza. Un’insensatezza che non sentiamo nostra, che non riconosciamo nella mente di cui disponiamo, che ci atterrisce e ci lascia senza parole.

Di fronte a queste evidenze, potremmo concludere dicendo che Lovecraft ha vinto e Spinoza ha perso. Che Il richiamo di Cthulhu batte 10-0 il Trattato teologico-politico. L’universo è davvero l’imperscrutabile nel quale la ragione, il senso e la logica rappresentano solo una trascurabile eccezione. E probabilmente l’ordine strutturale della nostra mente è il risultato evolutivo dell’interazione con un ambiente limitato, rarissimo, una zona di comfort filosofica e percettiva che ci ha cresciuti dentro una campana di vetro: il pianeta Terra. Foucault disse, nel suo discorso d’insediamento al College de France: [è necessario] “non immaginarsi che il mondo ci volga un viso leggibile, che non avremmo più che da decifrare; il mondo non è complice della nostra conoscenza; non esiste una provvidenza pre-discorsiva che lo disponga a nostro favore. Occorre concepire il discorso come una violenza che noi facciamo alle cose, in ogni caso come una pratica che imponiamo loro; e proprio in questa pratica gli eventi del discorso trovano il principio della loro regolarità”. Con questo Foucault intendeva dire che qualsiasi ordine, qualsiasi “regolarità” che riscontriamo nel discorso sul mondo non è parte di quel mondo, ma è il modo con cui facciamo “violenza” alle cose, disponendole loro malgrado nel modo che più si confà alla nostra comprensione. Ciò che manca, nel ragionamento foucaultiano, è che il mondo “resiste” continuamente a quell’ordine, scatenando gli eventi pregni di entropia e caos, contraddicendo ad ogni piè sospinto il desiderio (perché di questo si tratta) che il cosmo sia una sorta di modello della nostra mente.

Forse è vero, forse dobbiamo arrenderci all’idea che il mondo non sia lì a nostra disposizione, che il cosmo non sia come una stanza buia chiusa tra quattro pareti e priva di finestre che, in un tempo seppur lunghissimo, potrà essere esplorata in tutta la sua vastità, ma che assomigli più ad un bosco sconfinato nel quale mettere un piede in fallo è tanto facile quanto avere un pensiero, e che tra gli alberi di questo ambiente ostile ed alieno ci attende continuamente l’eldritch a cui siamo destinati.

Ecco allora che la domanda iniziale acquisisce un nuovo senso: abbiamo il diritto di ribellarci all’imperscrutabile? Io credo di sì. Il pensiero che oltre la cortina di quel poco che sappiamo esista un infinito universo privo di struttura, ordine, riconoscibilità, e che tutto questo sia semplicemente ineluttabile, ci spinge a fermarci e temere. Un sacro timore e tremore rivolto all’assurdo, al caos, all’imponderabile, che come conseguenza potrebbe spingerci a ritirarci ulteriormente nella nostra piccola nicchia felice, in attesa che la mostruosità venga a prenderci (perché questo accadrà, inevitabilmente); oppure al totale abbandono delle nostre strutture, mentali e sociali, la resa incondizionata di fronte alla vanità di tutto il nostro pensare, e la caduta in un nichilismo senza via di ritorno. Angoscia o pazzia, è l’apparente bivio a cui sembra siamo destinati.

Spinoza ci mostra un’altra strada, una strada che potremmo chiamare “filosoficamente eroica”.

La nostra mente infatti non è soltanto un frattale del cosmo, come voleva Hegel, non è una sorta di “ripetizione” in miniatura della totalità, ma è un’arma attiva con cui affrontare un mondo che (Baruch lo sapeva benissimo) ci mostra sempre la sua faccia mostruosa, il suo “eldritch horror”. A differenza di Foucault e Lovecraft però, Spinoza comprende che l’alieno, il terribile, l’imponderabile, non arriva necessariamente dagli spazi esterni del cosmo, da ciò che sta al di fuori dei confini della nostra percezione: l’eldritch è dentro di noi.

Questo è il senso ultimo della sua filosofia, e così come Giobbe lotta non tanto contro Dio quanto piuttosto contro le voci angeliche che lo tormentano, l’uomo lotta non contro il mondo esterno a sé, ma contro la voce che gli suggerisce di arrendersi alla follia o abbandonarsi all’angoscia: pensare significa prima di tutto far prevalere, nel marasma che ci alberga dentro, l’unica voce che ci ricorda di fare ordine, nonostante tutto.

Saremo pur sconfitti in partenza, certo, nulla possiamo contro le potenze cosmiche. Ma quando saremo caduti avremo dato il meglio di noi stessi, avremo reso la sconfitta degna di essere vissuta e la ragione uno strumento più lucido e affilato per chi verrà dopo di noi. Un po’ come ha fatto Spinoza, eroe del suo e del nostro tempo.

Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE Fantascienza FILOSOFIA

1 Comment Lascia un commento

  1. “A differenza di Foucault e Lovecraft però, Spinoza comprende che l’alieno, il terribile, l’imponderabile, non arriva necessariamente dagli spazi esterni del cosmo, da ciò che sta al di fuori dei confini della nostra percezione: l’eldritch è dentro di noi.”
    La voce interna amante dell’ordine mi suggerisce di conciliare le due visioni: da oggi crederò alle possessioni. Posso farcela. 🙂

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