I DISCORSI D’ODIO E LE STRATEGIE ADOTTATE NEL NOSTRO PAESE PER CONTRASTARLI
GIANPIERO COLETTA
1. Negli ultimi anni si è assistito ad un considerevole aumento dei crimini d’odio e, di fronte a questa situazione, nell’ottobre del 2019 il Senato della Repubblica ha approvato una mozione per l’istituzione di una Commissione straordinaria diretta a contrastare l’intolleranza, il razzismo, l’antisemitismo e le varie forme di istigazione all’odio e alla violenza.
Con l’approvazione di tale mozione, che ha avuto come prima firmataria la senatrice Liliana Segre, si è inteso soprattutto arginare la diffusione di quella particolare tipologia di crimini d’odio costituita dai discorsi d’odio, nella consapevolezza che gli stessi, pur non essendo sempre perseguibili sul piano penale, rappresentano in ogni caso un serio pericolo per la convivenza civile.
Come è noto, in ambito giuridico non esiste una descrizione generalmente condivisa dei discorsi d’odio. Tuttavia, in base a quanto previsto dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nella raccomandazione n. 20 del 1997 ed a quanto più volte evidenziato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, si può sostenere che sono certamente discordi d’odio tutti quelli che diffondono, incitano, promuovono o giustificano il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e ogni altra forma di forte avversione basata sull’intolleranza.
Per provare a contrastare in modo efficace la proliferazione dei discorsi in parola, con la mozione approvata in Senato si è deciso di attribuire alla Commissione straordinaria numerose ed importanti prerogative.
In particolare, nella mozione si è stabilito che i venticinque membri della Commissione hanno il compito di studiare le varie manifestazioni d’odio che hanno come destinatari singoli individui o intere comunità e devono anche raccogliere, ordinare e rendere pubblici le normative vigenti sui diversi crimini d’odio, i risultati delle rilevazioni statistiche su tali crimini e quelli delle ricerche scientifiche effettuate sulle medesime condotte.
Occorre, poi, ricordare che il Senato ha attribuito ai commissari pure il compito di controllare la corretta attuazione delle norme volte ad arginare la diffusione delle manifestazioni d’odio ed ha riconosciuto loro la possibilità di formulare proposte dirette a modificare la legislazione vigente, anche allo scopo di renderla più coerente con la normativa dell’Unione europea e con le previsioni contenute nelle Convenzioni internazionali in materia di prevenzione e lotta contro ogni forma d’intolleranza, razzismo ed antisemitismo.
Non vi è dubbio, allora, che, con l’istituzione della Commissione straordinaria, si è deciso di prendere sul serio il problema del considerevole aumento dei discorsi d’odio e che, con l’attribuzione ai commissari di numerose ed importanti prerogative, ci si è resi conto del fatto che, per cercare di risolvere il problema in questione, bisogna studiarne in modo approfondito le caratteristiche, comprenderne l’effettiva dimensione e sollecitare l’adozione di tutte le misure idonee al raggiungimento dell’obiettivo.
2. È opinione diffusa che, nel prossimo futuro, la Commissione straordinaria fortemente voluta da Liliana Segre avrà un ruolo centrale nel provare ad arginare la proliferazione dei discorsi d’odio. Va, tuttavia, segnalato che, ben prima dell’istituzione di tale Commissione, il nostro legislatore ha cercato di contrastare il fenomeno in parola, facendo ricorso al diritto penale.
Come sappiamo, il principale intervento legislativo con il quale si è deciso di sanzionare penalmente i diversi discorsi d’odio è individuabile nella legge n. 654 del 1975, che ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione internazionale di New York sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Non sfugge, infatti, che l’articolo 3 di tale legge ha introdotto nell’ordinamento quattro distinte figure di reato caratterizzate da condotte discriminatorie nei confronti di soggetti appartenenti ad un gruppo diverso dal proprio e che, nella sua versione più recente, ha considerato perseguibile penalmente anche chi propaganda odio razziale, etnico, nazionale o religioso e chi motiva la sua forte avversione nei confronti di singoli individui o di intere comunità con la negazione della Shoah, dei crimini di guerra e di quelli contro l’umanità.
A ben guardare, la scelta di provare ad arginare la diffusione dei discorsi d’odio ricorrendo allo strumento penale è stata compiuta anche da diversi altri Paesi europei ed è sicuramente in linea con le numerose disposizioni di diritto internazionale che limitano la libertà di manifestazione del pensiero per contrastare ogni forma di discriminazione. Occorre, però, sottolineare che, con tale scelta, è stata introdotta nell’ordinamento una previsione normativa che diversi studiosi hanno considerato non rispettosa dell’articolo 21 della Costituzione.
Come è noto, la disposizione costituzionale in parola garantisce ad ogni individuo la libertà di manifestazione del pensiero e prevede, come unico limite all’esercizio di tale libertà, il rispetto del buon costume. Sembrerebbe, quindi, che l’articolo 3 della legge n. 654 – i cui contenuti sono stati, peraltro, trasposti all’interno del codice penale nel 2018 – non sia coerente con la Costituzione, perché l’articolo del testo fondamentale che disciplina la manifestazione del pensiero non giustifica in alcun modo il divieto di propagandare idee d’odio.
Bisogna, tuttavia, ricordare che, accanto a quello del buon costume, esistono limiti ulteriori all’esercizio della libertà di espressione, che trovano fondamento in altri interessi costituzionalmente protetti. È evidente, infatti, che il legislatore ordinario può limitare la manifestazione del pensiero se, con un’operazione di questo tipo, va a tutelare altri diritti costituzionali senza giungere alla totale negazione della libertà in questione.
Si può, quindi, affermare che la disposizione che sanziona penalmente la diffusione di discorsi d’odio potrebbe essere legittima se si rivelasse strumentale alla ragionevole protezione di altri beni costituzionalmente rilevanti.
In realtà, la disposizione in esame non è mai stata oggetto di scrutinio da parte della Corte Costituzionale, ma in più di un’occasione la Corte di Cassazione ha fatto presente che la stessa limita la libertà di espressione in modo corretto perché, sanzionando penalmente la propaganda dell’odio, va a tutelare il bene giuridico costituzionale della dignità umana.
Occorre, però, considerare che nella legge n. 654 la dignità delle persone offese da espressioni d’odio non è stata protetta con una limitazione della libertà di manifestazione del pensiero, ma con il suo totale azzeramento. In altre parole, il nostro legislatore non ha assicurato un equo contemperamento tra interessi di rilievo costituzionale e ha determinato un vero e proprio “azzeramento” della libertà di espressione.
Pertanto, la disposizione che impone ai giudici di punire quanti propagandano odio risulta essere di dubbia legittimità, perché va a comprimere la libertà di manifestazione del pensiero in misura eccessiva.
È auspicabile, allora, un intervento legislativo che modifichi la normativa in vigore e non vieti più in modo assoluto l’esercizio della libertà di espressione a coloro che diffondono idee d’odio, prevedendo, magari, di sanzionarli penalmente solo se la pubblica manifestazione delle loro idee sia diretta a scatenare comportamenti violenti o discriminatori. Non vi è dubbio, infatti, che, con un intervento di questo tipo, la nostra legislazione diventerebbe rispettosa del dettato costituzionale e l’autorità giudiziaria potrebbe legittimamente contrastare la diffusione dei discorsi d’odio insieme alla Commissione straordinaria.
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