IL GENOMA POST-GENOMICO: EPIGENETICA, SALUTE, RESPONSABILITÀ INDIVIDUALI

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LUCA CHIAPPERINO

Sono da poco trascorsi vent’anni dal primo annuncio del sequenziamento completo del genoma umano. È certo che si sia trattato di un punto di svolta nella storia delle scienze della vita, ma – a detta di alcuni critici – non della svolta che i suoi promotori avevano profetizzato. Lungi dall’averci fornito una rappresentazione delle ‘istruzioni genetiche’ della nostra specie o dell’origine molecolare delle malattie che ci affliggono, l’eredità del Progetto Genoma Umano è piuttosto da cercare nei suoi aspetti più controversi. Secondo la filosofa e storica della scienza Evelyn Fox Keller, in primo luogo il Progetto Genoma ha prodotto un massiccio slancio di innovazione bio-tecnologica. Dalla genetica, lo studio di un singolo gene e del suo ruolo nell’ontogenesi e nella filogenesi di una specie, si è passati alla genomica, ovvero la possibilità di comprendere la sequenza, la funzione, se non di modificare, l’insieme dei geni che compongono il nostro genoma. Che si tratti di validi test per la diagnosi precoce di alcuni tipi di cancro, o di test venduti direttamente al consumatore per la valutazione dei propri rischi di salute o del proprio retaggio etnico, la genomica è oggi un mercato mondiale in espansione; ciò che Fox Keller qualifica nei termini di un fiorente ‘biocapitalismo’ che ci pone davanti a questioni socio-politiche di equità e mercificazione dell’accesso ai benefici di queste biotecnologie. L’eredità del Progetto Genoma risiede anche, secondo i critici come Fox Keller, nelle sue molteplici riverberazioni etiche e sociali. Nuove forme di socialità (biosocialità, nei termini dell’antropologo Paul Rabinow) o di responsabilità in materia di salute emergono dalla crescente circolazione nello spazio pubblico delle biotecnologie genomiche. Pensiamo, a titolo esemplificativo, alla pressione che la crescente disponibilità di test genetici prenatali (ovvero, per il rilevamento di patologie o malformazioni genetiche del feto) esercita sugli individui coinvolti in un progetto genitoriale. Infine, la più grande conseguenza del Progetto Genoma Umano – sempre secondo Fox Keller – è da cercarsi proprio nei concetti di gene e genoma che esso ci ha permesso di superare. Diversamente da quanto si pensava nel Progetto, il genoma umano è composto solo da un numero relativamente limitato di geni: 20.000 circa. Si tratta, più o meno, dello stesso numero di geni scoperti nel Caenorhabditis elegans, un verme nematode fra i più diffusi modelli animali in biologia molecolare nella seconda metà del ventesimo secolo. Se non dunque il numero di geni, o la grandezza del genoma, cosa può spiegare l’enorme differenza nella complessità biologica fra gli umani e il C.elegans? Il grande lascito del Progetto Genoma consiste, in altri termini, nel riconoscimento che il solo studio della sequenza di istruzioni codificanti del nostro DNA – suo obiettivo principale – non può rendere conto della complessa architettura biologica, dei molteplici sistemi di regolazione e del sistema di interazioni molecolari che caratterizzano il nostro genoma. Nei termini di Fox Keller, il Progetto Genoma e i suoi limiti hanno fatto sì che il genoma post-genomico diventasse un’entità più complessa e reattiva del genoma pre-genomico.

Dobbiamo chiederci adesso in che senso, di preciso, il nostro genoma è reattivo. Per la maggior parte, il nostro DNA non codifica per una proteina specifica. Poco dopo la fine del Progetto Genoma, la gran parte di questo DNA sembrava non avere una funzione. In realtà, si sarebbe scoperto di lì a breve che la trascrizione di queste sequenze nella forma di RNA non-codificanti svolge una funzione fondamentale nella regolazione dell’espressione genica. A questo vanno poi aggiunte le conoscenze esistenti sul ruolo che le modificazioni della cromatina (ovvero, il complesso di proteine e acidi nucleici in cui è fisicamente organizzato il genoma nel nucleo cellulare) giocano per la regolazione dell’espressione genica nello sviluppo, differenziamento e proliferazione delle cellule del nostro corpo. Da un lato, dunque, il nostro genoma è reattivo nel senso di una struttura tridimensionale dinamica e complessa che risponde a una cascata di segnali provenienti da diversi livelli di espressione e regolazione genica endogena (DNA, RNA, istoni, cromatina, ecc.). Occorre poi precisare che il nostro genoma è reattivo anche in quanto ricettivo degli stimoli che provengono dall’ambiente circostante. In questo senso, alcune modificazioni dell’espressione genica sono una risposta diretta a segnali provenienti dal contesto di sviluppo dell’organismo, o dal suo ambiente, che modulano l’espressione genica e modificano il fenotipo che ne risulta. Per funzionare i geni hanno dunque bisogno di essere attivati e disattivati, secondo un programma temporale di sviluppo predefinito, e alla luce di stimoli ambientali che intervengono a livello cellulare lungo tutto l’arco di vita di un organismo. Al di là del contenuto informazionale dei geni, in altri termini, questi meccanismi costituiscono un livello essenziale di traduzione e reattività del contenuto informazionale del DNA nella costituzione di un fenotipo specifico di un organismo.

Il termine epigenetica (dal greco ἐπί, epi-, “al di sopra”) designa proprio tutti quegli studi che, a partire dalla fine del Progetto Genoma Umano, hanno provato a delineare l’insieme di meccanismi che controllano l’espressione genica e il passaggio dal genotipo al fenotipo. Il termine ha drasticamente cambiato significato nel corso del tempo. In quanto aggettivo, “epigenetico” esiste già da molto prima del sostantivo “epigenetica”, ma in relazione al concetto neo-aristotelico di “epigenesi”, ovvero l’idea che lo sviluppo di un organismo sia un processo che, a partire da un materiale genetico/ereditario fondamentale, comporta una graduale crescita in termini di complessità. La genealogia moderna dell’ “epigenetica” risale invece ai lavori dell’embriologo britannico Conrad Waddington, il quale ha introdotto il termine nel 1942, delineando la sua relazione con la tradizione degli studi sull’epigenesi. Waddington definisce l’epigenetica come l’insieme dei processi di sviluppo che fanno sì che da un genotipo si passi a un fenotipo. Secondo alcuni, Waddington non avrebbe assegnato un ruolo essenziale agli stimoli provenienti dall’ambiente in questi “processi di sviluppo” – o lo avrebbe fatto solo tardivamente nella sua produzione. Secondo altri, invece, il grande contributo di Waddington sarebbe proprio l’aver intuito l’importanza di considerare l’unità dei fattori endogeni (meccanismi e programmi di regolazione genica frutto dell’evoluzione darwiniana) e dei fattori esogeni (stimoli ambientali) nella determinazione di un fenotipo. Diversamente da quanto avvenuto nel campo della biologia vegetale, quest’ultima interpretazione dell’epigenetica nei modelli animali (e nei mammiferi soprattutto) è rimasta fondamentalmente marginale fino all’inizio del XXI secolo – sebbene, come mostrato dal sociologo Maurizio Meloni, si tratti di un’intuizione di lungo corso sulla natura del vivente. Molti degli studi contemporanei in questo campo si occupano di descrivere i diversi programmi endogeni di regolazione genomica che caratterizzano i diversi tessuti del nostro corpo – molto spesso sotto l’etichetta di “epigenomica”. A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, e in seguito alla scoperta dei meccanismi di imprinting genetico legati all’alimentazione nei processi di sviluppo in modelli murini, le modificazioni del DNA e della cromatina legate a stimoli ambientali sono diventate però sempre più un fenomeno strettamente associato all’epigenetica. Un crescente numero di studi si occupa oggi di descrivere come le esposizioni ambientali (fattori inquinanti, esposizioni sul lavoro, perturbatori endocrini, ecc.), o le esperienze biografiche (stress, legami genitoriali, trauma, ecc.), o gli stili di vita (fumo, consumo di alcool, attività fisica, ecc.), o alcune esposizioni in utero (nutrizione della gestante, violenza durante le gravidanza, ecc.) abbiano un effetto epigenetico di lungo termine, possibilmente anche trasmissibile alle generazioni future, sulla programmazione delle traiettorie individuali di salute. È soprattutto questa versione dell’epigenetica contemporanea a rappresentare un punto di svolta rispetto alle concezioni riduzionistiche e deterministiche di gene e genoma che caratterizzavano il Progetto Genoma Umano, secondo Fox Keller. L’epigenetica ci mostra come un fenotipo complesso di un organismo sia irriducibile agli strumenti interpretativi elementari della genetica e necessiti, per essere compreso, di una concezione post-genomica dell’inseparabilità tra ambiente e corpo, biografia e biologia, natura e cultura, passato e presente.

Questa svolta epistemologica delle scienze della vita contemporanee non è certamente scevra da controversie. L’epigenetica, almeno nelle sue versioni di studio delle tracce biologiche dell’’ambiente’ o delle ‘esperienze’, ci mette davanti a una serie di quesiti etici, sociali e politici di grande rilevanza. Fra questi, vale la pena di menzionare le controversie etiche associate all’uso potenziale delle biotecnologie epigenetiche come ‘bio-dosimetri’ degli stili di vita e delle esposizioni ambientali degli individui. Alcuni studi sui cambiamenti epigenetici globali e specifici del nostro genoma hanno infatti proposto una quantificazione degli effetti biologici di diversi comportamenti individuali, o di esposizioni come il consumo di psicotropi, il fumo, l’alimentazione e l’attività fisica. Tali modificazioni epigenetiche possono essere considerate un’impronta biologica degli effetti delle scelte individuali in materia di salute, in quanto costituiscono uno dei meccanismi principali attraverso cui gli stili di vita e le esposizioni ambientali influenzano l’espressione genica, lo sviluppo dell’organismo, le malattie in età adulta e, secondo alcuni, la salute delle generazioni future. In questa versione, l’epigenetica è anche parte integrante di quel biocapitalismo post-genomico che abbiamo menzionato in precedenza: diversi test epigenetici sono attualmente in fase di sviluppo e/o disponibili per la vendita direttamente al consumatore. Sebbene la validità e utilità di questi test sia ancora incerta, i test epigenetici promettono di poter tracciare con precisione le impronte delle origini comportamentali, o ambientali, della nostra salute quantificando i loro effetti biologici. Ad esempio, alcuni test basati sull’analisi quantitativa della metilazione del DNA (una delle modificazioni epigenetiche più studiate) attualmente consentono di rilevare il consumo di tabacco per diverse settimane. Un produttore di questo tipo di test, la Behavioural Diagnostics, raccomanda il proprio test per usi che includono “stabilire i comportamenti in materia di fumo nella sottoscrizione di assicurazioni sulla vita o sulla salute”, o “stabilire una priorità fra pazienti in costose procedure cliniche” come i trapianti. Se non per appurare o misurare gli effetti di comportamenti passati, i test epigenetici sono anche presentati come un modo per fornire ai consumatori una panoramica del loro stato di salute biologica. Pubblicizzati come “una vera e propria misura dell’età biologica” dei consumatori da parte dell’azienda Chronomics, i loro test epigenetici sono venduti sulla base del presupposto che la conoscenza delle proprie predisposizioni, o dei rischi personali in materia di salute forniscano delle informazioni rilevanti per “riportare indietro le lancette dell’orologio” biologico o “fare scelte di vita più intelligenti per evitare le malattie future”.

Questi usi commerciali dell’epigenetica illustrano una conseguenza etica prevedibile della svolta post-genomica nelle scienze della vita: in che modo il crescente interesse dei biologi per le origini ambientali delle malattie, o per gli effetti molecolari delle nostre scelte e stili di vita influisce sul dibattito di lunga data riguardante le nostre responsabilità in materia di salute? Ancor prima che questi test fossero disponibili in commercio, alcuni attenti critici avevano già suonato il campanello d’allarme riguardo alla possibilità che le biotecnologie epigenetiche potessero diventare una risorsa fattuale per i promotori di queste posizioni normative. Le riflessioni sulla responsabilità e l’epigenetica sono particolarmente fruttuose in quanto questo tipo di conoscenza sembra toccare alcuni aspetti dei modelli di responsabilità più comunemente utilizzati in filosofia morale e politica. In primo luogo, le conoscenze epigenetiche sono un modo per connettere causalmente un particolare agente, o un insieme specifico di azioni (ad es., stili di vita, esposizioni ambientali) alle circostanze per le quali si cerca di attribuire una qualche responsabilità (ad es., le proprie condizioni di salute). Per quella che è ampiamente considerata una condizione necessaria per le attribuzioni morali di responsabilità (l’aver causato lo stato di cose per il quale si è considerati responsabili), le modificazioni epigenetiche legate a dei comportamenti o delle esposizioni passate promettono di fornire una risorsa fattuale cruciale – anche se tutt’altro che controversa, come vedremo – per affermare la responsabilità causale di un certo fenomeno. In secondo luogo, le informazioni epigenetiche sostengono l’intuizione che, quanto più siamo consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni, tanto più siamo in grado di vederne il valore, la posta in gioco, ciò che di fatto ci rende ancor più responsabili di queste stesse azioni. Questo punto tocca le condizioni epistemiche della responsabilità ed è un aspetto particolarmente cruciale del dibattito accademico attorno all’epigenetica. Come mostrato dalla politologa Maria Hedlund, è vero che le conoscenze epigenetiche potrebbero presumibilmente dare una svolta al dibattito sulle responsabilità in materia di salute, dal momento che quelle potrebbero fornire una stima fattuale, che finora era impossibile concepire, del valore relativo di diverse azioni (ad es., gli stili di vita) sulla salute.

Riprendendo una distinzione in materia di responsabilità del filosofo politico Thomas Scanlon, possiamo dire che le evidenze epigenetiche sono state associate sia a nozioni di responsabilità attributiva, sia a interpretazioni sostantive della responsabilità in materia di salute. Dando per scontata la volontarietà delle azioni in questione (che per taluni resta un aspetto controverso delle scelte in materia di salute), l’epigenetica interviene – secondo alcuni – nell’attribuzione di caratteristiche fattuali e moralmente rilevanti alla relazione fra un agente morale e uno stato di salute, così come nella valutazione del suo dovere di rimediare a/evitare alcune conseguenze biologiche nefaste dei comportamenti individuali. Sarebbe dunque il valore conoscitivo di questa informazione a permettere, da un lato, un’attribuzione più precisa degli effetti dei comportamenti sulla salute individuale, e, d’altro canto, una valorizzazione di queste scelte ancora più determinante per formulare dei giudizi di responsabilità. In particolare, i test epigenetici – come quello che rileva i comportamenti passati legati al fumo di cui sopra – sono un esempio concreto di come questo sapere scientifico ci potrebbe portare al di là delle correlazioni epidemiologiche per stabilire la responsabilità per dei comportamenti individuali di salute rischiosi. Tale test costituisce, o almeno viene presentato come una misurazione delle tracce molecolari degli stili di vita. Ciò che diversi critici hanno considerato solo una possibilità (problematica) dell’epigenetica è dunque, oggi, un supporto fattuale, disponibile in commercio, alle politiche e a un’enfasi morale diffusa sulla responsabilità individuale in contesti di riforme sanitarie. Inoltre, le applicazioni diagnostiche dell’epigenetica sembrano anche esemplificare l’idea che, proprio in quanto adesso abbiamo delle evidenze epigenetiche per gli effetti nefasti di alcuni comportamenti, abbiamo un obbligo sostanziale ad agire responsabilmente per preservare, proteggere o migliorare il nostro epigenoma. Questo tipo di responsabilità, soprattutto nella sua forma prospettica (forward-looking) la possiamo identificare nel caso sopraccitato del test epigenetico di Chronomics che ci permetterebbe di mandare indietro il nostro orologio biologico: i fornitori di questo tipo di test pubblicizzano infatti questo strumento come una tecnologia empowering che fornisce ai cittadini le conoscenze utili per rispondere a un tale obbligo.

Esistono, tuttavia, diversi spunti analitici per identificare dei limiti di queste attribuzioni di responsabilità in materia di protezione del nostro epi-genoma e della nostra salute. Le ragioni possono trovarsi, in primo luogo, nella considerazione della natura stessa del genoma e dei processi epigenetici che abbiamo introdotto in precedenza. Alcuni critici di ciò che possiamo chiamare per brevità ‘responsabilità epigenetica in materia di salute’ provengono infatti dal dibattito interno all’epidemiologia molecolare e all’epigenetica. Uno sguardo più attento al valore informativo delle modificazioni epigenetiche oggi conosciute mostra che, quando parliamo di effetti epigenetici degli stili di vita, ma anche delle esposizioni, dei contesti di vita, dei fattori psicosociali, ecc., parliamo in realtà di un contenuto informazionale non sempre decisivo per comprendere la nostra salute. Da un lato, le prove a disposizione sul ruolo causale delle modificazioni epigenetiche nei processi di patogenesi di molte malattie sono ancora molto limitate e circoscritte solo ad alcune malattie, come ad esempio alcuni tipi di cancro. Dall’altro, potrebbe non esistere davvero la possibilità di stabilire se una modificazione epigenetica associata a una condizione di malattia/salute sia dovuta esclusivamente allo stile di vita, a stimoli ambientali particolari, o a differenze genetiche interindividuali. Come abbiamo mostrato in precedenza, la concezione post-genomica della nostra biologia suggerisce un’inseparabilità tra ambiente e corpo, genoma e epigenoma che dovrebbe farci propendere piuttosto per un’interpretazione diversa delle traiettorie di salute individuali. Queste sono, molto probabilmente, il risultato di una combinazione di stili di vita, stimoli ambientali e del genoma di ciascun individuo: potrebbe quindi essere un compito impossibile il cercare di isolare il contributo degli stili di vita passati rispetto ad altri fattori nell’eziologia di malattie complesse. È poi possibile estendere questa critica alle responsabilità epigenetiche sostantive e prospettiche. La natura altamente contestuale dell’epigenoma, e dei suoi effetti sul funzionamento dell’organismo, suggeriscono che la responsabilità epigenetica in materia di salute potrebbe essere una nozione limitata nel guidare l’azione individuale. Se il nostro epigenoma è molto sensibile alle temporalità dello sviluppo individuale, alle variazioni genetiche individuali, all’ambiente circostante e, in parte, alla stocasticità di questi processi biologici, quale sarebbe la ‘normalità epigenetica’ da perseguire con i nostri comportamenti? Quali gli obblighi specifici che discendono da una responsabilità generica che avremmo di proteggere o migliorare il nostro epigenoma? Infine, un’ultima strategia per criticare le responsabilità epigenetiche in materia di salute è di natura propriamente morale. Al di là di una valutazione dell’azionabilità delle conoscenze epigenetiche (o dei loro limiti sopraccitati), la responsabilità individuale in materia di salute resta un concetto morale controverso alla luce delle circostanze che in varia misura limitano le scelte individuali. L’intenzionalità, la volontarietà o la consapevolezza nello svolgere queste azioni – tutte condizioni che, come abbiamo visto, sono generalmente ritenute necessarie per rivendicare delle attribuzioni di responsabilità – raramente si applicano ad agenti vincolati da strutture sociali ed economiche diseguali. L’idea che le persone siano moralmente responsabili delle conseguenze – epigenetiche e non – delle proprie scelte personali in materia di salute dimentica, secondo questa critica, che gli individui non vivono in un vacuum sociale. Il comportamento e le scelte personali, così come molti degli effetti biologici messi in luce dall’epigenetica, sono piuttosto il risultato di un intreccio di influenze sociali, di legami affettivi, di modelli culturali, di opportunità che costituiscono l’orizzonte di scelta offerto a ciascun individuo.

In fondo, dunque, se l’epigenetica ci permette di riconoscere la natura intrinsecamente relazionale della nostra biologia, occorre semplicemente sottolineare come tale sia anche la natura delle nostre scelte in materia di salute, o il potere di ciascun individuo di influenzare, agire e correggere i determinanti sociali, individuali, o anche molecolari della propria salute.

BIOTECNOLOGIE Endoxa ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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