INTELLIGENZA ARTIFICIALE E SOCIAL ROBOT: APPLICAZIONI NEL SISTEMA DI RIPRODUZIONE BIOPSICHICO
SANDRO BRIGNONE, RENATO GRIMALDI, SILVIA PALMIERI
I social robot: intelligenze artificiali embodied
In questo breve intervento illustreremo l’importanza di alcune ricerche che abbiamo svolto nel Laboratorio di simulazione del comportamento e robotica educativa “Luciano Gallino” presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino.
Parlare di Intelligenza Artificiale (IA) oggi significa discutere di un argomento complesso e multisfaccettato, che, a partire dal 1956 quando il termine fu coniato, ha conosciuto momenti di grande fervore sia teorico sia pratico e periodi di grande “gelo”, dovuti anche alle sfide tecnico-computazionali che la nuova disciplina poneva ai computer di allora. Nel corso degli anni si sono sviluppate diverse forme e applicazioni di IA, che spaziano dal Machine Learning al Deep Learning, passando per il Natural Language Processing e la Computer Vision, per citarne alcuni. In termini generali, l’IA può essere definita come un insieme di tecnologie autonome e interattive, che possono svolgere attività in modo simile a quelle umane. Tuttavia, da quando tale scienza si è proposta di comprendere la mente naturale simulandone i funzionamenti interni e le comunicazioni con l’ambiente esterno, si è compreso che il passo successivo non è solo la riproduzione delle componenti intellettive-razionali della vita mentale reale, ma deve estendersi anche agli aspetti adattivi, emotivi e sociali di essa.
In questa direzione i social robot – come strumenti dotati di un’intelligenza artificiale “incarnata”, capaci di raccogliere, produrre e analizzare dati dalla realtà circostante (anche attraverso big data) e interagire con essa – ben si prestano a raccogliere la nuova sfida. Progettati per relazionarsi con l’uomo nel modo più naturale possibile, esibiscono comportamenti sociali per raggiungere risultati in diversi campi, tra cui l’educazione e la cura. Negli ultimi anni i robot educativi si stanno diffondendo nel contesto didattico, come nella scuola dell’infanzia e della primaria, dove si sono dimostrati un utile strumento per l’acquisizione di competenze disciplinari e trasversali, tra cui le conoscenze spazio-temporali, base di molti apprendimenti successivi. Tuttavia, ad oggi esistono pochi studi empirici che abbiano sperimentato i social robot come agenti educativi nelle scuole, dove potrebbero offrire supporto personalizzato e inclusivo, sia cognitivo sia emotivo-relazionale.
Se è vero – come ci ricordano i pedagogisti – che i primi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo dei futuri cittadini, il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione (DFE) dell’Università di Torino (che prepara il corpo docente delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie ma anche gli educatori che lavorano nei nidi e nelle comunità infantili) ha voluto assumersi la sua parte di una responsabilità che nell’emergenza pandemica pareva non essere ai primi punti dell’agenda politica. Si è parlato spesso degli effetti del Covid-19 sul sistema sanitario e su quello economico, trascurando talvolta e pericolosamente il sistema educativo nel suo complesso e quello scolastico in particolare, mattoni fondamentali del “dopo” che vogliamo e sapremo costruire.
Dati questi presupposti il Laboratorio di simulazione del comportamento e robotica educativa “Luciano Gallino” del DFE si è dotato dei social robot Pepper e Nao. Tali robot hanno la stessa interfaccia di programmazione e quindi funzionalità simili; sono capaci di riconoscere l’età e il genere di chi gli sta di fronte ma anche di coglierne le emozioni e dunque di regolare e pianificare risposte rispetto a determinate situazioni e stimoli. Vedono il mondo esterno mediante videocamere che catturano un flusso continuo di immagini; attraverso il lavoro di programmazione è possibile creare una memoria condivisa affinché possano riconoscere oggetti e volti all’interno di un ambiente, quando gli si presentano davanti. Questi social robot esibiscono la loro presenza attraverso comportamenti mediati da microcomputer, sensori, motori, attuatori, etc. A differenza di Pepper, Nao ha le “gambe”, può camminare e possiede una larga varietà di movimenti; è alto solo 60 cm e quindi è facilmente trasportabile in ambienti diversi dal Laboratorio come scuole e ospedali.

Il social robot Nao
Il social robot Pepper
Le sfide dell’IA nei contesti sociali
I robot si stanno progressivamente spostando dagli ambienti industriali, con aree riservate e compiti ripetitivi, agli spazi pubblici e alle abitazioni private e probabilmente nel prossimo futuro diventeranno compagni quotidiani dell’uomo, affiancando i singoli e le famiglie nella vita di tutti i giorni. Tuttavia, è solo in anni recenti che l’interazione uomo-robot si è affermata come area di studio; si parla infatti di human-robot interaction – HRI e di robotica sociale da circa due decenni. Poiché l’oggetto di cui si occupa – ossia lo sviluppo di tecnologie robotiche e sistemi per l’interazione avanzata, nonché la cooperazione tra uomo e macchina – è estremamente complesso e multi-sfaccettato, il nuovo campo di indagine si avvale dei contributi di diverse discipline. Vi sono certamente gli studi di impronta più matematico-ingegneristica, come la robotica, l’intelligenza artificiale, il machine learning e l’informatica, ma convergono anche le scienze di matrice più umanistica, come la psicologia, la medicina e le neuroscienze, così come le scienze cognitive e sociali, la filosofia e il design.
Le sfide che i social robot stanno e si accingeranno sempre più ad affrontare, infatti, sono estremamente complesse, ad iniziare dalla decodifica, interpretazione e successiva azione sull’ambiente nel quale dovranno muoversi. Per un robot, infatti, è estremamente difficile replicare capacità che all’essere umano risultano semplici, perché sviluppate nel corso di miglia di anni di evoluzione biologica e sociale. Per esempio, per la computer vision un problema apparentemente facile da risolvere per le persone (come quello di “vedere un tavolo” e riconoscerlo come tale – associandolo, quindi, al concetto di “tavolo”), risulta assai complesso. E simili storie potrebbero essere applicate anche alla locomozione negli spazi, alla manipolazione di oggetti, fino alla comprensione di un linguaggio. Proseguendo nel ragionamento, la complessità aumenta nel momento in cui il social robot si trova in presenza dell’essere umano (con cui è stato progettato per interagire), probabilmente il più imprevedibile elemento immaginabile per una macchina. Come, infatti, raccogliere, analizzare e decodificare i suoi movimenti nello spazio, o interpretare le sue posture e gestualità, oppure ancora, riconoscere l’elocuzione delle parole, l’intonazione della voce e i significati che sottendono? Le interazioni sociali, intrise di significati simbolici veicolati nella comunicazione e legati a contesti e ruoli, hanno lo stesso status di complicatezza.
Dunque, per una macchina si tratta di risolvere il problema di ridurre la complessità degli elementi in gioco, emulando quell’azione mentale (la semplificazione) che riesce molto bene agli esseri umani. Semplificare significa estrarre le informazioni rilevanti da un dato ambiente naturale e, nello specifico dei social robot, recepire gli elementi salienti che emergono dalla comunicazione con un soggetto interlocutore (in tempo reale), per fornirgli risposte coerenti, efficaci e di supporto.
In estrema sintesi, secondo alcuni autori per riuscire a realizzare dei social robot – capaci, cioè, di interagire in modo effettivamente sociale con le persone – è necessario affrontare alcuni punti nodali (nonché sfide): in primo luogo occorre costruire dei modelli interpretativi in grado di riassumere in modo efficace le dinamiche sociali che intercorrono nei contesti oggetto di indagine; far apprendere alle macchine norme morali e sociali e, non da ultimo, costruire una teoria robotica della mente. Si tratta quindi di fornire al robot una base di conoscenza, espandibile ed affinabile con l’esperienza, che esso possa utilizzare per rapportarsi con la realtà circostante. Sfida non semplice, poiché la nostra stessa comprensione dei processi mentali e sociali dell’essere umano non è ad uno stadio avanzato come si auspicherebbe.
Ad oggi, l’interazione sociale coi robot è ai suoi inizi. Tuttavia, diversi studi sottolineano alcuni elementi da tenere in considerazione per costruire una relazione positiva tra la macchina e l’essere umano. Tra questi, si possono sinteticamente ricordare: la presenza fisica del social robot in uno spazio (che deve essere condiviso e negoziato con le persone), le sembianze più o meno antropomorfe, la capacità di svolgere compiti specifici e definiti, nonché la possibilità del social robot di comunicare sia in linguaggio verbale sia non verbale. In particolare, quest’ultimo elemento risulta di estrema importanza, poiché proprio attraverso il linguaggio sono veicolati i significati sociali dell’interazione, oltre ai fattori emotivi, aspetti altamente rappresentativi del comportamento umano.
Un social robot per la “cura” dei più piccoli
Durante il periodo del primo lockdown, iniziato nel marzo 2020, ogni famiglia e individuo si è trovato di fronte ad una nuova e difficile situazione, che ha visto coinvolta soprattutto la sfera sociale, portando ogni persona al rispetto dell’isolamento e della distanza sociale. Anche le attività didattiche in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado sono state sospese su tutto il territorio nazionale ed erogate in modalità on-line. Proprio in quel contesto, il Laboratorio Gallino, con l’ausilio dei genitori e degli insegnanti, ha preso a cuore la situazione dei bambini e delle bambine mettendo in campo il social robot Nao. Dalla sua casa dove anche lui si trovava in “quarantena”, Nao è diventato un agente comunicativo attraverso il web. Infatti, mediante video di pochi minuti, presenti sui canali social del Laboratorio Gallino, il robot ha accompagnato molti bambini e bambine durante la lunga emergenza sanitaria. Grazie alle sue capacità di movimento e di espressione, ha condiviso e comunicato i vissuti e stati d’animo di quel periodo. Con Nao è stato possibile sia trasmettere emozioni positive, come la gioia e il divertimento, sia aiutare i bambini a elaborare le emozioni negative come la noia, l’ansia o la paura. In questo senso, il social robot si è rivelato essere non solo un mediatore di comunicazione, ma una sorta di un compagno di esperienze, un’intelligenza artificiale incarnata, in qualche modo simile all’uomo e al servizio dei bisogni dei più piccoli. L’attività del social robot si può dunque ascrivere al sistema di riproduzione biopsichico, che, come scrive Gallino, è formato dalle azioni istituzionali rivolte a riprodurre la popolazione come entità biologica, a mantenere i suoi membri in condizioni fisiche e psichiche tali da permettere loro di svolgere in modo adeguato i ruoli richiesti nei diversi sistemi e a sviluppare forme di solidarietà di gruppo e di comunità.
Indispensabile è stato il contribuito degli stessi bambini e bambine, che interagendo con il social robot hanno reso possibile un interscambio di messaggi. Hanno, per esempio, inviato a Nao disegni e audio messaggi, ma anche domande come: “I robot possono infettarsi o ammalarsi?”. Dando la parola a un esperto di cybersicurezza, Luca Sambucci di Roma, è stato spiegato loro, in linguaggio semplice ma non semplicistico, che anche i robot possono contrarre “virus” pur se differenti dai nostri. Da questo interscambio è stato possibile vedere come i bambini e le bambine fossero pienamente collaborativi, maturi e rispettosi, come dimostra Edoardo, figlio di un operatore sanitario in prima linea, che scrive: “Papà, sono fiero di te! Non mollare Italia”. I bambini sembravano aver capito benissimo la gravità della situazione, facendo uno sforzo importante: accettando quanto viene loro richiesto, dando piena fiducia agli adulti, e rinunciando, per un periodo non così breve, ad amici, sport, hobby, scuola. Per una panoramica completa dei video su “La Quarantena di Nao”, si veda il canale YourTube, al seguente link:
https://www.youtube.com/channel/UC1dWccycYohdwQbwC1IRCkw.

Un disegno inviato da un bambino a Nao, durante il primo lockdown
In conclusione, i social robot, non puliscono, non verniciano carrozzerie di auto, ma sono stati progettati per stare in compagnia con gli umani. L’intento del Lab. Gallino è quello di sfruttare la loro intelligenza artificiale incarnata, la loro capacità empatica di stare assieme anche attraverso il loro corpo. Il team di lavoro sta progressivamente imparando a trasferire dentro di loro basi di conoscenza capaci di farli diventare non solo dei comunicatori, ma veri e propri esperti di dominio (anche se ristretto) e quindi renderli capaci di accompagnarci, imparando dalle interazioni a prendersi cura di noi. E noi di loro.
“Pepper” by kirainet is licensed under CC BY-NC-SA 2.0