PROPEDEUTICA FILOSOFICA

libri-per-avvicinarsi-alla-filosofiaFABIO POLIDORI

Il titolo di queste righe è il titolo di un insegnamento che, nelle università italiane, esiste da numerosi decenni ed è previsto da regolamenti e ordinamenti che risalgono a ben prima delle varie riforme che hanno scandito l’ultimo quarantennio accademico. Il significato ha la pretesa di essere chiaro, così come sono chiare le implicazioni: esiste una disciplina, la filosofia, per la quale c’è la possibilità di concepire e mettere in atto, al pari di molte o forse tutte le altre discipline insegnabili, un percorso di avvicinamento, una sorta di avviamento. Qualcosa insomma – perlopiù una pratica didattica – che possa costituire un raccordo affinché un giovane (secondo l’etimologia di “propedeutica”) o anche un non giovane possa immettersi sul terreno vero e proprio di ciò che si chiama filosofia. Questa la prima implicazione, che però ne contiene un’altra, la quale a prima vista potrebbe sembrare del tutto ovvia se non banale: che la filosofia sia una disciplina il cui apprendimento consenta una certa gradualità, come accade per esempio in matematica, dove si incomincia con l’apprendere le operazioni più elementari e alla portata di studenti ancora bambini, o come accade per esempio nell’ambito medico, dove la “Propedeutica clinica” costituisce un avviamento ai vari settori specialistici, certo non destinata ai bambini ma ad adulti neofiti.

Sulla base di queste schematiche considerazioni preliminari, si potrebbe dedurre quindi che, fatte salve le intrinseche e senz’altro amplissime differenze di contenuti e metodi, sotto l’aspetto didattico e dunque anche disciplinare alla filosofia si possa arrivare per gradi, passo dopo passo, acquisendo via via alcune nozioni di base sulle quali poi costruire progressivamente le proprie competenze tecniche, la proprie conoscenze disciplinari, insomma i contenuti del proprio sapere filosofico. Un sapere filosofico che, una volta acquisito, sarebbe per così dire pronto all’uso, applicabile nelle situazioni che lo richiedano, come appunto accade nel caso della tutela della salute o del calcolo. Ed è una idea, o una immagine, questa della filosofia come un sapere impiegabile o utilizzabile, che trova conferma nelle costanti iniziative editoriali attraverso le quali vengono proposte agili e sicuramente ben fatte monografie su autori, testi e problemi che concorrono a formare la costellazione di ciò che diffusamente si intende con “filosofia”. A essere precisi, tali iniziative non si pretendono tanto introduttive quanto compendiali, non manifestano cioè lo scopo di avviare gli acquirenti a un percorso ma semmai di collocarli alla fine del percorso – o comunque a una altezza soddisfacente – quanto più rapidamente possibile e con il minore sforzo. In ogni caso contribuiscono a consolidare una certa immagine della filosofia, ritagliata sul modello degli altri saperi scientifici, entro i quali si può penetrare gradualmente e all’interno dei quali altrettanto gradualmente si può progredire sino a modificarne i limiti estremi, tramite innovazioni metodologiche e scoperte a vario titolo: questo, ovviamente, nel caso di studiosi di punta.

Sotto questo aspetto, però, l’assimilazione della filosofia agli altri saperi scientifici non risulta del tutto convincente. Se infatti questi ultimi si caratterizzano anche, e forse soprattutto, per la loro intrinseca gradualità, una gradualità progressiva che perfeziona via via il livello delle rispettive conoscenze disciplinari (tutto ciò va sotto il nome di progresso scientifico), non altrettanto risulta nell’ambito della filosofia, e questo già solo limitandosi alle iniziative editoriali poco fa menzionate, le quali dedicano compendi tanto a filosofi contemporanei quanto a filosofi del periodo medioevale o antico. È una semplice osservazione, oltretutto occasionale, che però può orientarci a collocare la filosofia su un piano diverso rispetto a quello del cosiddetto progresso scientifico, rispetto cioè a quella gradualità in virtù della quale le osservazioni sulla natura di Galilei o di Aristotele non sono contemplate e riportate dai manuali di fisica – tutt’al più da quelli di storia o filosofia della scienza – in quanto oramai superate e inutilizzabili nei contesti della ricerca scientifica.

Se perciò acquisiamo questo tratto – la mancanza di progresso e dunque di quella gradualità è attestata dagli sviluppi scientifici in ogni ambito – come intrinseco alla filosofia, in quali termini si pone la questione di un percorso, graduale e progressivo, che vi possa introdurre? Dove cioè individuare un passaggio, analogo a quello che avviene attraverso l’apprendimento di addizioni e sottrazioni nell’ambito del calcolo e che senza soluzione di continuità può spingersi sino ai più raffinati specialismi della matematica, che possa condurre dalle più immediate esigenze del vivere quotidiano alla (pratica della) filosofia?

Alcuni autori, alcuni passaggi contenuti in opere anche molto distanti nel tempo, riescono forse a dirci qualcosa a riguardo; e, va osservato, ci riescono anche a grande distanza di tempo proprio perché non sono toccati dal progressivo andamento delle ricerche scientifiche, che consumano in continuazione i propri precedenti. Ci riescono, insomma, grazie a quella esteriorità rispetto al cosiddetto progresso che contraddistingue il lavoro filosofico. Mi limito dunque a indicare alcuni luoghi in cui la filosofia, in maniera più o meno esplicita, si è decisamente smarcata dalla possibilità che una qualche attività o esercitazione possa svolgere una funzione propedeutica. E il primo di questi luoghi è quello in cui in maniera esplicita e completa viene allestita una immagine della filosofia destinata a rimanere fondativamente insuperata. È il cosiddetto racconto della caverna che, all’inizio del settimo libro della Repubblica di Platone, racconta della nostra condizione, della condizione umana. Non lo riepilogo, né lo ripercorro, ne riporto solo un brevissimo passaggio, quello in cui compare nel testo il verbo periagein con il quale Socrate indica una torsione del collo, atto non privo di sofferenza, cui viene sottoposto il prigioniero liberato da quelle catene che gli consentono di guardare esclusivamente le ombre sul fondo della caverna, e che per lui sono la realtà. Sappiamo che anche il percorso che condurrà l’uomo liberato alla luce del sole sarà doloroso e faticoso, ma tutto incomincia nel momento in cui gli viene, improvvisamente e non si sa da chi né si sa perché, girata la testa: “poniamo che uno fosse sciolto e subito costretto ad alzarsi, a girare il collo, a camminare e a levare lo sguardo in su verso la luce e, facendo tutto questo, provasse dolore…”. Uno strappo, una separazione improvvisa e quasi innaturale porta, secondo Platone, alla filosofia.

Secondo luogo, molto più vicino al nostro presente. È il 1942 e Martin Heidegger scrive un breve testo a commento della “Introduzione” alla Fenomenologia dello spirito di Hegel, dove a un certo punto leggiamo: “Un’“introduzione” nel pensiero filosofico è impossibile; qui infatti non si dà alcuno slittamento continuo e inaspettato dal pensiero quotidiano al pensiero che pensa, poiché quest’ultimo tratta dell’essere e l’essere non si lascia mai e in nessun luogo incontrare come ente tra gli enti. Qui si dà soltanto il salto e il saltar-dentro. Un’“introduzione” in questo caso può soltanto servire a preparare il salto, vale a dire a portare nel campo visivo il baratro che deve essere saltato”.

A fare eco a Heidegger, possiamo scegliere un filosofo (quasi) suo contemporaneo e molto distante per provenienza, orientamento e forse soprattutto stile. Ecco dunque alcune considerazioni di Henri Bergson, tratte da La Pensée et le mouvant, il libro con cui si conclude il suo lavoro filosofico e che suggella gli aspetti metodologici più rilevanti di tutto il suo percorso: “Filosofare consiste nell’invertire la direzione abituale del lavoro di pensiero”; “Si tratterà di distogliere l’attenzione dall’aspetto praticamente interessante dell’universo e di rivolgerla verso ciò che, praticamente, non serve a niente. Tale conversione dell’attenzione è la filosofia stessa”; “la filosofia dovrebbe essere uno sforzo per oltrepassare la condizione umana”.

Un ultimo autore, a questo punto, per riequilibrare la presenza di pensatori contemporanei e dell’antichità di questa breve rassegna. Eraclito: “Nessuno, fra tutti coloro le cui espressioni ho ascoltato, si è spinto sino a questo: riconoscere che la sapienza [sophon, la filosofia] è separata da tutte le cose”.

Molti altri esempi potrebbero senz’altro rafforzare ulteriormente l’immagine della filosofia come un pensare, un agire prima ancora che un sapere, il quale richiede in primo luogo non già una preparazione o una formazione, bensì qualcosa che non saprei definire diversamente da un mettersi in gioco. Preparazione e formazione senz’altro dovranno seguire e seguiranno, come mi affretto sempre a dire – dopo avere letto le frasi di poco fa – agli studenti che frequentano il mio corso di Propedeutica filosofica.

ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA

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