TRACTATUS 101 – EDITORIALE
PIER MARRONE
Sono passati 101 anni dalla pubblicazione dell’edizione tedesca del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein, un’opera che non è enfatico definire epocale. Quell’edizione precede di un anno la traduzione inglese che verrà fatta da un giovanissimo Frank Ramsey, che aveva appreso, così si narra, il tedesco in una settimana, grazie alla sua straordinaria intelligenza. Wittgenstein stesso era all’epoca piuttosto giovane. Superata di poco la trentina condensava in questo breve capolavoro quanto aveva maturato negli anni di frequentazione a Cambridge sotto la guida di Bertrand Russell. Russell stesso vedeva in Wittgenstein chi avrebbe potuto continuare la sua opera nel campo della logica, per la quale si sentiva completamente esaurito dopo aver scritto i tre volumi dei Principia Mathematica assieme a Withehead.
Attorno a quest’opera e alla sua gestazione circolano continuamente persone che si affacciano alla vita o che hanno raggiunto la maturità da poco, come Russell che conobbe Wittgenstein quando questi aveva ventidue anni. Anche in questo senso, è facile pensare al Tractatus come un’introduzione. Il numero 101 del resto è il codice che in certe università individua i corsi propedeutici, quelli che dovrebbero essere introduttivi a altri corsi, nel senso che le conoscenze che intendono far acquisire sono intese come quelle grosso modo basilari. D’altra parte, ci sono parti in questa opera esoterica che hanno palesemente a che fare con temi tradizionalmente esistenziali, cose quali il senso del mondo, il nostro posto in quello che è il mondo del quale facciamo esperienza, l’importanza dell’etica e dell’estetica. Solamente, di tutto questo si dice che si tratta nello stesso tempo delle cose maggiormente importanti ci siano e quelle alle quali non possiamo sottrarci, ma anche quelle delle quali è impossibile parlare sensatamente, perché si tratta di qualcosa che si colloca al di fuori del mondo come campo dell’esperienza che può essere razionalmente descritto. Questa introduzione alla filosofia e al pensiero razionale dovrebbe essere anche la sua conclusione, poiché Wittgenstein riteneva che i problemi fondamentali della filosofia fossero stati finalmente risolti, mostrando che si trattava in definitiva di falsi problemi prodotti da confusioni logico-linguistiche.
È naturalmente in qualche misura sconcertante che qualcuno prenda la parola per dire che su problemi che potrebbero riguardare tutti noi non si possa dire nulla di realmente sensato, ossia di pertinente alla conoscenza, perché Wittgenstein non aveva nulla in contrario che si continuasse a parlare di etica, di religione, che le persone continuassero ad andare al cinema a vedere i western dei quali era così appassionato, o a leggere racconti polizieschi dei quali era un consumatore vorace. Tutto questo continua a essere fatto ma non fa propriamente parte del mondo, ossia della totalità dei fatti che nel mondo accadono. Il nostro accesso al mondo avviene attraverso la forma logica delle proposizioni che possono essere vere o false. Su tutte le altre esperienze, quelle realmente importanti, non si possono produrre enunciati che sono veri o falsi. Tutto questo non impediva a Wittgenstein di dare credito a una ciarlataneria come Sesso e carattere di Otto Weininger e si può immaginare che gli desse credito perché per almeno un certo periodo abbia ritenuto che contenesse delle verità di un qualche genere, ossia delle proposizioni sensate. Eppure Sesso e carattere è una fantasiosa e apodittica ricostruzione della decadenza della quale si sarebbero resi responsabili le figure della “donna” e dell’“ebreo”. Si fatica a credere che un prodotto dell’intelligenza europea come Wittgenstein potesse dare credito a tali fandonie, eppure le fandonie, le credenze assurde, perfino le credenze criminali non nascono dal nulla. Nascono da altre credenze. Queste altre credenze devono essere sottoposte a critica, perché la filosofia prima di essere una teoria o prima di sistematizzarsi in qualsiasi teoria è un’attività. In questo senso, è un’attività che non conosce conclusione, perché non è nient’altro che la possibilità di fare domande su qualsiasi argomento. Si può ragionevolmente sostenere che le domande, che pure non possono essere vere o false, siano prive di senso? Gli articoli che appaiono in questo numero della nostra rivista convergono forse tutti verso questa dimensione dell’interrogazione come autentica, anche perché maggiormente rischiosa, modalità di intendere l’attività del pensiero e della cultura.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Endoxa Novembre 2022 Pier Marrone Tractatus 101