TRA LA VITA E LA MORTE: GLI STATI VEGETATIVI
FRANCESCO GALOFARO
Zombie, what’s in your head?
(Dolores Mary O’Riordan)
Tanti anni fa, nel libro che dedicai ad Eluana Englaro (Eluana Englaro. La contesa sulla fine della vita), scrissi che equiparare chi si trova in stato vegetativo a uno zombi non è solo indelicato, ma anche, dal punto di vista di chi allora si batteva per i testamenti biologici, un errore politico. Mi riferivo a Umberto Veronesi, che aveva dichiarato: “C’è un migliaio di famiglie distrutte dalla penosa presenza di questi morti viventi. Il disagio per i congiunti è grande, riguarda la sfera affettiva ma anche sociale, economica”. Per conformarsi al ritratto del laicista, spacciato all’epoca dalla parte più conservatrice del Paese, non si sarebbero potute scegliere parole più efficaci. Tuttavia, riflettere sul rapporto tra quel dibattito e lo zombi, inteso come elemento della mitologia contemporanea, può essere, per molti versi, produttivo. Lo zombi è una figura onnipervasiva. Secondo Paolo Fabbri, “il Vampiro è (ancora, ma per poco) l’elegante abitatore di dimore e sepolcri, gli Zombi frequentano fosse comuni in periferia e supermercati middle class, parchi di attrazioni, isole-prigione e persino set del Grande Fratello”. Gli zombi abitano anche i luoghi della politica: le piazze, sotto forma di flash mob e performance alternative alle processioni tradizionali, e i palazzi, dove gli zombi a volte ritornano in mancanza di vere trasformazioni.
Un confine conteso
C’è un elemento che accomuna senza dubbio lo zombi e gli stati vegetativi. Sono entrambi collocati alla soglia tra la vita e la morte. Ciò fa del primo un mitema che permette di interpretare il disagio che proviamo nel discutere del secondo. I “non-morti” inquietano perché l’assenza della morte è sì implicata, ma non implica in alcun modo la presenza della vita. Per rimanere sul tema degli stati vegetativi, il discorso “laicista” e, specularmente, quello che ho definito “cattolicista”, proprio di un cattolicesimo conservatore indisponibile alla negoziazione, differivano e probabilmente differiscono tuttora per via di una differenza inconciliabile nel modo in cui categorizzano gli stati vegetativi su tre livelli semiologicalmente distinti: i valori di fondo; il punto di vista da cui essi sono raccontati; il modo in cui lo stato vegetativo è enunciato.
Il conflitto sui valori
Circa i valori, ho già anticipato la posizione laica: chi si trova in stato vegetativo non è (ancora) morto senza che con ciò possa tornare in vita. Per quel che riguarda quella cattolica, a Veronesi, che parlava di morti viventi, Rosi Bindi obiettò che si trattava di persone ancora in vita. Dunque, la parte cattolica identificava gli stati vegetativi con la vita biologica a tutti gli effetti; la parte laica sosteneva non trattarsi più di vita umana, intesa come degna di essere vissuta. Questa opposizione di fondo ne spiega un’altra: per il laico, si tratta di lasciar morire chi non è morto; per il cattolico, si tratta di uccidere chi è ancora vivo.
Il punto di vista sul racconto
Per quanto riguarda il racconto degli stati vegetativi, il discorso laico assume il punto di vista del protagonista del racconto. Il laico si pone la domanda: “e se succedesse a me, cosa vorrei che fosse della mia vita?”. Il laico rivendica la possibilità di autodeterminarsi nelle proprie scelte anche oltre la fine della coscienza. Scriveva Beppino Englaro, padre di Eluana “Rivendico il diritto di dire ‘No, grazie’, lo splendore della speranza non fa per me. Questa vita-non-vita tenetevela, lasciate morire chi è ridotto così, grazie”. Al contrario, il discorso cattolico assume invece la prospettiva del buon samaritano, contraddistinta dal dovere di aiutare. All’autodeterminazione del laico contrappone il concetto di alleanza terapeutica tra medico e paziente; pur restando indisponibile a discutere di testamenti biologici, all’epoca apriva a una legge sulla tutela della vita in casi di malattia inguaribile o grande disabilità.
La nozione di persona
La posizione di Rosi Bindi che ho introdotto sopra aggiunge un elemento alla discussione: la questione della persona e del suo status filosofico-giuridico. La scoperta della persona da parte della filosofia cattolica è molto recente. Vero è che Boezio aveva definito la persona “naturae rationalis individua substantia” (‘sostanza individuale di natura razionale’). Tuttavia, nelle sue opere filosofiche, Karol Wojtyła scrive che la definizione scolastica di persona non è certamente in grado di cogliere il valore della differenza individuale, fondamento dell’etica, e per questo occorreva rivolgersi alla riflessione fenomenologica e ad autori come Max Scheler. La nozione filosofica di persona è dibattuta: se per Edith Stein il riconoscimento dell’Altro come persona è la base della fondazione di comunità etiche; per Simone Weil ciò che è sacro è l’individuo nella sua interezza: non posso amputare un braccio a qualcuno sostenendo di non aver violato la sua “persona”; il sacro è dunque impersonale. Simone Weil considera “mediocre” la nozione di giuridica di persona, perché presuppone un titolare dei diritti che possieda la forza di farli valere; precisamente quel che non accade nel caso di chi si trova in stato vegetativo.
L’enunciazione
Questa opposizione tra personale e impersonale è quanto mai pertinente per introdurre la terza differenza tra il discorso laico e cattolico sugli stati vegetativi: quella dell’enunciazione. Il grande linguista Émile Benveniste distingue i pronomi io/tu dall’egli. I primi sono personali, mentre “egli” è non-personale. Persona è chi può dire “io” nel discorso; Persona è anche quel “tu” cui mi rivolgo il quale, al proprio turno, potrà a propria volta dire “io”. Dell’egli invece si parla senza che possa intervenire nel dialogo, con le modalità enunciative proprie non più del discorso, ma della storia. Non si usa il tempo presente, come nel dialogo, ma il preterito. Quindi, nel discorso cattolico sulla bioetica, il problema è se si riesce ancora a rivolgersi a una persona in stato vegetativo come a un “tu”. Alle suore che assistevano Eluana Englaro riusciva facilmente: “sembra che voglia comunicare. Addirittura (…) abbozza sorrisi”, dichiarò all’epoca Albina, la direttrice della struttura in cui Eluana era ricoverata. “La portiamo in giardino, a volte sembra quasi che ci sorrida (…) Dopo undici anni è diventata una di noi”. Lo stesso accade nei video di Terri Schiavo che la famiglia diffuse per mobilitare l’opinione pubblica allo scopo di impedire al marito di procedere con la sospensione delle cure: in essi, il medico e i familiari si rivolgono a Terri e lei sembra reagire, con movimenti e vocalizzazioni che i neurologi interpretano come involontari. Detto questo, pur nella differenza degli strumenti interpretativi, sia lo scienziato sia il familiare utilizzano lo stesso criterio. Come scrisse Carlo Alberto Defanti, il neurologo di Eluana Englaro: “non si può non riconoscere che l’unico modo che abbiamo, nel mondo reale, per accedere alla coscienza altrui è proprio l’osservazione dell’altrui comportamento”. Dopo l’inutile protrarsi delle cure per decenni, non stupisce che un marito o un padre possano non essere più in grado di rivolgersi con un “tu” alla propria moglie, alla propria figlia. Qualcosa di simile, secondo Luc Boltanski, accade nei reparti di ginecologia. Quando la gravidanza viene portata avanti, medici e infermiere parlano del feto come di un bimbo e ci si rivolge a lui come a un “tu”. Quando invece occorre un aborto, il feto diventa un “esso”, lo scarto di un progetto mancato o di un breve sogno seguito da un tragico risveglio.
Una soglia convenzionale
Come semiotico, la mia analisi deve terminare qui: non posso prendere parte in causa. La semiotica – diceva Umberto Eco – è come la radiologia: il radiologo indica dov’è il problema, ma spetta al chirurgo decidere come intervenire. Come semiotico, i casi vegetativi ci dicono che la soglia tra la vita e la morte e il criterio per deciderla è convenzionale e culturale. I religiosi impiegano un criterio metafisico, ma – paradossalmente – si rivolgono a alla comunità scientifica o a una sua parte perché ne dimostri la pertinenza. D’altro canto, la comunità scientifica ha modificato i criteri per giudicare la sopravvenienza della morte per rendere possibili i trapianti. Anche chi non fa parte della comunità scientifica si rende conto di quanto sia labile la soglia che permette di entrare in relazione con i nostri affetti.
Un dolore senza fine?
Per consolarla della perdita della figlia amata, Plutarco consigliava alla moglie di mantenersi salda nel proprio dolore, “entro i limiti, così come lo dico a me stesso. Certo, lo so e posso impostare una misura alla grandezza della nostra perdita, se la prendo di per sé; ma se trovassi qualsiasi stravaganza in te, data dal dolore, questo sarà più grave per me più di quanto sia successo”. Il dolore di chi ci è vicino ci impedisce di contenere il nostro, in una sorta di contagio senza termine. Bisognerebbe dunque permettere alle persone di contenere il proprio dolore entro un limite: questo è ciò che è in gioco nel discutere e nel decidere della soglia tra vita e morte, dei testamenti biologici e dell’eutanasia.
Chi sono i veri zombi
A questo proposito, smettendo i panni del semiotico, ritengo che l’infuriare della polemica all’epoca abbia talvolta accantonato ogni carità, esacerbando il dolore oltre il necessario. Non si tratta solo delle parole infelici di Veronesi, o di Marco Pannella (“se si fosse trattato Wojtyła come si è trattata Eluana Englaro egli sarebbe ancora vivo”); non si tratta neppure dei militanti contrari alla sospensione dell’alimentazione che si spingevano a portare bottiglie d’acqua fin sul portone della clinica di Eluana Englaro, distribuendo volantini, attaccando manifesti, assediando un luogo di dolore e di silenzio. Si tratta piuttosto dell’indisponibilità al dialogo; della cinica decisione di aprire un conflitto politico; di spaccare l’opinione pubblica per mobilitare gli elettorati rispettivi; di sparare su eventuali pontieri; Un’eclissi, fortunatamente temporanea, dell’intelligenza che suscita un interrogativo inquietante: che in realtà gli zombi, i veri morti viventi, fossero tra noi.
“My brain” by Digital Shotgun is licensed under CC BY-ND 2.0.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA SEMIOTICA STORIA DELLE IDEE Endoxa gennaio 2023 Francesco Galofaro Zombie