PIZZA/FILM, AMORE, E FANTASIA

MV5BMWYxMDI0ZjAtYjlhMS00N2Y4LTljMTItMjQzMDk1M2QyZmM4XkEyXkFqcGdeQXVyMTMyNTU2MjY@._V1_EUSEBIO CICCOTTI

  1. Un antefatto di cronaca

C’era una volta una focaCceria che vinse una piccola, silenziosa, ma vitale, sfida, contro McDonald’s. “Una focacceria? E dove?”. Chiederanno i bambini. “Ad Altamura, un paesino della Puglia”. “Che tipo di sfida? Come quella di Barletta?”. “All’incirca. Ecco i fatti, bambini”.

“Il grande colosso mondiale dell’hamburger e delle patatine, che voi ben conoscete, la McDonald’s (chissà quanti compleanni ci avete passato lì dentro!), un giorno arriva dalle nostre parti, in questo accogliente paese delle Murge, in Puglia. Un piccolo ambiente, in confronto alle metropoli, come ce ne sono a migliaia nel nostro Paese; del resto, lo sapete, l’Italia è in gran parte composta di paesi e paesini. Un posto tranquillo e poetico come lo era, e ancora oggi lo è, per esempio, Recanati”.

“Dove c’era Giacomo Leopardi?”

“Esatto!  E apre un bel McDonald’s.”

“Che bello, il McDOnald’s! Se c’era al tempo di Leopardi ci andava anche lui!”.

“Certo, se ci fosse stato ci sarebbe andato pure Giacomino…magari con quella mamma poco disponibile a portarlo in giro, troppo impegnata ad andare a messa tutte le mattine! Ma non mi fate perdere il filo. Ascoltatemi un attimo. Vi racconto della sfida”.

La McDonald’s apre il ristorante in Altamura e pare che i clienti non manchino. Soprattutto i vecchietti che trovano un posto dove andare a sedersi, prendendo un caffè, e nessuno li manda via. Ovviamente i bambini come voi, gli adolescenti e i giovani, ci vanno eccome. Il caso vuole che un signore altamurano, un certo Luca Di Gesù (un destino nel nome?) che da anni si occupa di cucina, e ha una focacceria in un’altra parte del paese, gli venga offerto di aprire un secondo ‘punto-focacceria’ proprio di fronte al McDonald’s. Senza considerare il colosso, non aspettandosi chissà quanti clienti, chissà quel incassi, il buon Di Gesù apre la piccola focacceria. Egli e la moglie preparano la base della focaccia, lievito, farina e acqua, la lavorano, la fanno “riposare”, la condiscono con pomodorini e olio extravergine, qualche “odore”. Ecco la facaccia pronta, calda calda.

Pian piano, gli altamurani intossicati o forse stanchi di hamburger e patatine, cominciano a ri-apprezzare la focaccia locale. Nel giro di pochi mesi gli incassi della Mc Donald’s crollano. Dall’America arrivano ispettori a studiare la debacle: inevitabile chiudere il punto McDonald’s. E lasciare Altamura. La focaccia ha vinto. La focaccia-Davide ha battuto il gigante Golia-McDonald’s.”  

Focaccia blues (2009) di Nico Cirasola

Per raccontare la storia del Davide-Focaccia che batte Golia-McDonald’s il regista Nico Cirasola sceglie il racconto dei fatti, ma ricostruito tra testimonianze e finzione, Le testimonianze(spezzettate) degli abitanti di Altamura, sono alternate a un percorso etno-antropologico nella provincia barese, con, sul versante della finzione, una accennata storia d’amore tra un giovane fruttivendolo, Dante Cappiello (Dante Marmone), amante del cinema, e la bella del rione, una donna matura, Rosa (Tiziana Schiavarelli), dalle sinuose forme felliniane, cliente di Dante, ma restia alla sua velata corte, per via di certe arie che si dà. Durante il prosieguo del racconto ella sarà interessata al misterioso ispettore (Luigi Sardiello), afasico, inviato forse dalla McDonald’s, in questo spicchio del sud Italia, per studiare il primo caso di fallimento della grande catena internazionale dell’hamburger.

Cirasola informa lo spettatore sin dai titoli di testa circa il tema del film, quindi sappiamo chi ha vinto, ma non come. È azzerata la classica suspense della soluzione finale, ma attivata la curiosità dei passaggi intermedi, ossia come “è andata” la vicenda. Il film ci racconterà del duello gentile, che potremmo ribattezzare “la disfida di Altamura”, tra la focaccia pugliese (la cultura italiana) e l’hamburger americano (ormai innestato nelle culture di tutti i Paesi del pianeta), trasmettendo allo spettatore la semplice curiosità per il racconto.

Ecco che appunto i titoli di testa del film si sovrappongono, in un rimando anaforico-metaforico e contrappuntistico, ai titoli dei maggiori quotidiani internazionali. “Il pane di Altamura batte Mc Donald’s (“Avvenire”); “The Bread Is Famously Good, but it Killed Mc Donald’s”(“The New York Times”), “Bäcker besiegt McDonald’s” (“Der Standard”); “Così con funghi e pane ha battuto McDonald’s” (“la Repubblica”); “El panadero que batió McDonald’s” (“El Mundo”); “Na Itália, uma padaria derrotou McDonald’s (“O Estado de S. Paulo”).

Prima di questi doppi titoli, Cirasola premette una presentazione, affidata al proiezionista di un piccolo cinema d’essai di Altamura, Michele Placido. Il noto attore e regista ci parla del fascino della “pizza” del film, con il suo particolare odore di acetone. La rigira tra le mani, l’annusa, ricorda la propria infanzia e il suo esser cresciuto vedendo film, “in bianco e nero”, nel cinema del paese (è evidente un’allusione a Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore). L’omaggio del proiezionista al “vecchio” cinema, nella forma fisica della pizza del film in 35 mm., rimanda chiaramente, e Placido lo dice, alla tonda pizza-focaccia: insomma una difesa in un parallelo sia della tradizione culinaria del sud Italia che del buon cinema; entrambi, suggerisce Placido, rischiano di sparire surclassati da prodotto seriale.

Inoltre, nella difesa della pizza-film, ossia del vecchio cinema con la macchina di proiezione, inquadrata in dettaglio da Cirasola, Placido allude al cinema su pellicola in via di estinzione, sostituito dal digitale. Nelle sale non arriva più la pizza del film ma il prodotto film “viaggia” via web, tramite supporto digitale. La pellicola finirà nei musei, come i proiettori e le moviole.

Cirasola elegge a “guida” della diegesi una sorta di Virgilio, che accompagna lo spettatore nella ricostruzione dei fatti. È il giornalista free-lance Onofrio Pepe (1950-2000: giornalista free lance, è stato operatore culturale e uomo politico del PCI) che in effetti, nel 2008, fece un viaggio in USA per far conoscere agli americani proprio la battaglia vinta dalla focacceria di Altamura nei confronti del ristorante McDonald’s. 

Il racconto, dunque, alterna il viaggio di Onofrio a New York, alla vita dei cittadini di Altamura. La prima sequenza in esterni del film è dunque l’arrivo a New York.  Seguiamo Onofrio nei suoi incontri con gli italiani che vivono lì, con i ristoratori americani, spesso sono asiatici, ai quali mostra orgoglioso le pagine del “New York Times” in cui si parla della vittoria del “bread” italiano contro il colosso McDonald’s.

Cirasola, appena introdotto il viaggio a New York, lo interrompe tornando ad Altamura. Ecco che entrano in campo ed escono i vecchi artigiani del paese. Si presentano, con nome e cognome: il barbiere, il fabbro, la pasticcera, il calzolaio, il macellaio, il sellaio, il panettiere, ecc.  Personaggi da documentario, a loro volta presenti accanto alla vita quotidiana del fruttivendolo Dante. Questi è seguito mentre si reca nei campi ad acquistare, dagli agricoltori, le verdure, gli ortaggi e la frutta. Dichiara orgoglioso “non vado ai mercati generali, perché qui i prodotti sono freschi”. Con la sua Ape a tre ruote, trasporta i prodotti appena raccolti nel suo negozietto, in paese. 

Sino a questo punto il film sembra scorrere sul binario del documentario. Improvvisamente una autovettura sportiva gialla, misteriosamente, si aggira nelle campagne di Altamura. Si sente la voce over del navigatore. Pare che il misterioso conducente abbia perso l’orientamento. La vettura, in un incrocio, procede senza dare precedenza, rischiando un incidente: proprio con l’Ape di Dante. Ecco, siamo nella fiction che irrompe nel documentario. Quando lo spettatore vedrà il giovane uomo, fuori dall’auto, capirà che forse è un ispettore inviato dalla McDonald’s. Il giallo della vettura rimanda al colore della grande catena.

Qui si ferma la fiction e torniamo al documentario., Un giornalista di “Liberation”, Alain Joszef ci racconta come abbia appreso dalla stampa italiana della focacceria di Altamura e come l’abbia rilanciata in Francia. Quello che lo colpisce non è tanto la vittoria dai “David contro Golia”, quanto la riflessione sulla globalizzazione che “è un fenomeno acquisito, ha aspetti positivi, ma da un’altra parte la globalizzazione annienta le tradizioni la cultura locale. E questo non va bene. La storia di questa focacceria che vince la concorrenza contro il fast-food simboleggia la resistenza alla globalizzazione”.

Cirasola lascia al giornalista, finalmente, l’onore di introdurre narrativamente il proprietario e cuoco, Luca di Gesù, colui che ha osato aprire la focacceria, in uno spazio di cento metri quadri, di fronte al grande fabbricato che ospita il Mac Donald’s.

Ora siamo nella focacceria di Luca di Gesù, che continua l’attività di fornaio dei suoi bisnonni, iniziata nel 1898, tre anni dopo la nascita del cinema ad opera dei fratelli Auguste e Louis Lumière. Egli ci racconta come per caso, e non per sfida, abbia trovato uno spazio disponibile per aprire un secondo “punto vendita di focacce”. Aggiunge che “feci una riflessione da semplice commerciante. Se al McDonald’s si recano cento persone, forse dieci entreranno anche da me”.

Torniamo al misterioso personaggio dall’auto gialla. Per tutto il film, egli non proferirà parola. Osserverà la vita del paese, assaggerà la focaccia, che non apprezzerà, a giudicare dalla sua espressione, e poi ripartirà. Sconfitto.

La sfida, sottintesa tra l’uomo McDonald’s e Dante si sposta ovviamente sull’affascinante Rosa che lo straniero tenta di sedurre con la sua bella auto sportiva, contrapposta alla proletaria Ape di Dante. Incontrata Rosa per caso egli le offre un passaggio in auto che ella accetta. Lo invita in casa a vedere come si impasta la focaccia. L’uomo osserva attentamente Rosa, con aria di sufficienza, vagamente interessato alle sue forme, mentre la donna impasta la base. La fissa mentre ella lavora poi la focaccia, muovendo inevitabilmente il suo corpo, con il seno tenuto a fatica dentro un ammiccante décolleté. Poi Rosa guarnisce la focaccia con i pomodorini e l’olio, infine la inforna. Quando è cotta, la estrae dal forno, taglia degli spicchi, e ne offre uno al misterioso uomo. Questi, come anticipato, non l’apprezza. Rosa, da quel momento, non lo guarderà più con interesse.

Il tizio lascia la città. Rosa torna a far la spesa da Dante, senza più darsi delle arie. Nel sottofinale, Rosa e Dante sono nella piccola Ape per le stradine della campagna pugliese, vanno ad acquistare i prodotti dai contadini. Incrociano la vettura gialla del misterioso uomo McDonald’s in panne, con il tizio allampanato e disperato, intorno al cofano aperto.

Nello stesso tempo Onofrio ha terminato il suo viaggio a New York, ha visitato la sede museo del McDonald’s, ha tributato omaggio al cibo che ha globalizzato il mondo. Ma ha anche raccontando a tutti quelli che ha incontrato della sfida vinta dal Davide focacceria italiana, contro il ristorante McDonald’s costringendolo alla chiusura.

  1. Estetica del racconto. Tra documentario e fiction

Nico Cirasola aveva due soluzioni di genere e, conseguentemente, estetiche: il documentario e la fiction. Il cinema sin dagli anni Sessanta (Jan Svankmajer) in poi, con una forte intensificazione negli anni Novanta, ha creato una crasi tra i due generi attraverso il docu-film e la variegata famiglia del mockumentary. Il racconto oscilla tra i due generi in unico racconto, mescolando anche le due diverse soluzioni estetiche.

Se per il documentario abbiamo un prevalere di primi piani e mezze figure, soprattutto nelle interviste, per la finzione Cirasola “libera” la camera dalle costrizioni della ripresa da vicino, a favore di campi lunghi, e C.L.L., con panoramiche ariose. Intende far muovere lo spettatore dalla sua poltrona conducendolo nella campagna della Murgia.

Dal punto di vista fotografico-simbolico, presentare la campagna pugliese costantemente con i toni di cieli nordici, quasi alla Turner, attraversati da gruppi di nuvole (nembostrati isolati), bianchi, grigio-neri, o aranciati dal tramonto, è azione drammaturgica di contrasto.

Cirasola ha evitato, sapientemente, la cartolina del sud mediterraneo con il cielo blu e i campi imbionditi dal grano maturo. Non ne aveva bisogno: per tutto il film si parla di cibo locale. Si inquadrano piccole strade provinciali, viuzze e negozietti. Il cielo è “europeo”, come a dire: questa è una storia italiana ma potrebbe accadere in ogni paese del mondo. Qui si racconta di un pezzo di cultura locale chiamata a resistere alla globalizzazione quando questa si rivela un rullo compressore.

Il risultato estetico di Focaccia blues è dettato dal linguaggio del reportage: si inseriscono nel montaggio anche movimenti di macchina volutamente non levigati e una fotografia non leccata, con coscienti sbalzi cromatici. Per cui le riprese di New York, affidate a dei collaboratori e realizzate con mezzi di fortuna, pur nei limiti, sono al massimo della resa. Dispiace che alcuni recensori si siano soffermati su questi aspetti letti come difetti (S. Coccia, 09/04/2009, www.movieplayer.it). A nostro avviso la forza del film è nel soggetto e nel racconto, per cui se alcuni attacchi e inquadrature appaiono amatoriali perché i mezzi non consentono di meglio, la ricerca del “perfezionismo” nella fotografia o nella singola inquadratura va in secondo piano.

  1. Italianità versus globalizzazione?

Credo che la lettura del giornalista di “Liberation” sia quella più pertinente per rivedere l’opposizione di local versus global. In effetti, dagli anni Novanta, si avanzano proposte per uscire dalla sterile opposizione, e si inizia a parlare, sociologicamente, di glocal, ossia di salvaguardare il locale all’interno di un processo inarrestabile e, per molti versi, positivo, della globalizzazione. Si dibatte sul come non perdere le singole tradizioni, e le differenti culture, di fronte alla cultura di massa, alle culture dominanti. Un discorso sociologico iniziato il secolo scorso dalla Scuola di Francoforte, di taglio marxista, e che oggi al di là dell’accezione classista che si voglia mantenere, presenta sicuramente una fisonomia almeno “neo-esistenzialista”. Il soggetto è felice e soddisfatto, si sente realizzato, nell’essere “gettato” in un mondo livellato dalla globalizzazione?

Vedere Focaccia blues, forse, ci invita a riflettere sul piano filosofico, almeno su due aspetti. Il primo è sul conoscere l’altro, andandogli incontro, invitandolo a condividere il nostro cibo, simboleggiata dalla focaccia. Per il cristiano, una sorta di laico pane eucaristico. Il secondo, come altra faccia della stessa medaglia, è attivare un canale comunicativo che colleghi le tradizioni del cibo: la focaccia come forza dialogica.  Comunicare il proprio modo di essere, la propria tradizione, il proprio cibo, per accogliere quello dell’altro.

Nico Cirasola, con Focaccia blues, ha portato nel cinema una sorta di filosofia del cibo dialogante. Dalla riscoperta della focaccia pugliese, al fungo cardoncello dell’area barese, al fungo lampacione del foggiano.

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