SOVRANITÀ ALIMENTARE: DA QUELLA DEGLI STATI A QUELLA DEI CITTADINI

277719260_c6f3d9a3c5_bPIERO RICCARDI

Corpisenzaorgani, descrivono Deleuze/Guattari e non avevano ancora visto i consumatori post-vietatotoccarelamerce, perché la merce non si può più toccare, solo vedere, sul display, di un computer, di un cellulare, l’app sempre pronta e il carrello appollaiato in alto a destra che ci scruta,  ci rimprovera e ci ammicca, consumatori sempre meno abitanti dei luoghi dove si vive, sempre più deterritorializzati. Chi è più in grado di rispondere da dove arrivano l’acqua, l’energia, il cibo mentre galleggiano nel cloud dell’acquisto continuo?

Il cibo è stato l’ultimo a entrare nella vorace irrefrenabile commoditizzazione dei beni trasformati in merce.  Digeriti da quella “duplice attività di astrazione ed estrazione”, di cui parlano Michael Hardt e Antonio Negri. Astrazione produttiva/estrazione di informazioni. Una spirale di perdita di valore che non è solo sociale, ambientale, psichica.

Il cibo come chiave per ritrovare i luoghi, i luoghi dell’esserci. Ripartire dal cibo di un luogo significa parlare di sovranità alimentare, che non è certo l’insulsa sovranità alimentare di stati/nazione/patrie, macchie scolorite di vecchie cartine politiche da sussidiario, dalle linee di confine sempre più labili che neppure la frettolosa costruzione poliziesca di muri, reali e immaginari, riesce più a dargli una qualche consistenza. Sars-CoV-2 ci ha messo del suo.

Dunque, occorre parlare della sovranità alimentare dei cittadini, – che parola antica – come singoli individui che entrano nei processi decisionali e dei singoli come parte di una comunità/luogo di condivisione partecipativa.

Da cosa ci dobbiamo guardare le spalle quando parliamo di sovranità alimentare dei cittadini?

Il primo aspetto è quello che riguarda  i brevetti.  Su semi, frutti, piante, animali. E’ il problema – immenso e funesto – della loro brevettabilità, è il problema se si possa possedere il genoma di semi, frutti, piante, animali e detenerne dunque lo sfruttamento –  “astrazione e estrazione” –  prima ancora di affrontare il chi debba possederlo.

Un secondo punto è la diretta conseguenza del primo e riguarda cosa seminare, cosa produrre, come produrre, il prezzo del cibo. Se una volta i padroni erano i proprietari terrieri, oggi i padroni del cibo sono i proprietari dei brevetti agricoli. Sono loro, insieme alla Grande distribuzione organizzata, a stabilire cosa seminare, quali i protocolli di coltivazione, il prezzo del cibo. Gli agricoltori sono i nuovi braccianti che non decidono nulla, non possiedono le piante brevettate – che siano mele, pere o pesche – che appartengono al detentore del brevetto, e non possiedono neppure i frutti dovendo, per contratto, consegnarle al detentore del brevetto che ne decide anche il prezzo. E in caso di mancato conferimento dei frutti, l’agricoltore viene costretto a estirpare a sue spese le piante stesse. Che non gli appartengono.  Lo dice il contratto – ma non si dice contratto – lo chiamano club di filiera!

Stessa cosa accade negli allevamenti animali, sia convenzionali che pure, ormai, in quelli del bioindustriale. Qui vigono i contratti di soccida – questa sì una parola antica – . In breve, pochi grandi gruppi detengono la genetica di polli, maiali, gamberi e forniscono agli allevatori gli animali di un giorno, il mangime, gli antibiotici e il veterinario, dall’altra troviamo gli allevatori che mettono i capannoni, l’acqua,  l’elettricità e le loro braccia. Gli allevatori, al termine di brevissimi cicli di allevamento, devono consegnare animali che non sono i loro e vengono pagati in base a un coefficiente di rendimento tra mangime consumato e carne prodotta: in pratica pochi spiccioli a chilo.

Entrambi, braccianti-agricoltori e braccianti-allevatori, quando gli si chiede se non sia il caso di uscire da questa dipendenza produttiva, ovvero di seminare piante e allevare animali senza brevetto, rispondono “e poi a chi vendo?”.

Un terzo aspetto riguarda  il ruolo di istituzioni di ricerca pubbliche, Università comprese che si occupano di cibo, nutrizione, agricoltura, che, ridotte a subire logiche aziendali e costrette a trovare i fondi per finanziarsi, sempre più spesso cadono preda di grandi agglomerati agrochimico-farmaceutici- sementieri dove i confini tra ricerca, scienza, tecnologia e brevetti sono sempre più sfocati nel dogma dell’inevitabilità. “La tecnologia è data per scontata e a essa tutto il resto deve adattarsi”, per usare le parole di Kate Crawford. Dopo la natura, anche la tecnologia è un semplice attributo del capitale. Domanda: e oggi dovremmo affidare la missione della sostenibilità – concetto ampiamente messo a nudo nella sua mistificazione da Timothy Morton – a quanti con la stessa logica hanno modificato la composizione chimica dell’atmosfera, la temperatura della superficie terrestre e reso a rischio la possibilità di continuare a produrre cibo attraverso l’agricoltura? (E per primi proprio quelli che ancora praticano un’agricoltura pulita e libera dagli schemi industriali).

Il quarto riguarda inquinamento ed efficienza:  la produzione agricola industrializzata è avulsa dalla cura del territorio e del paesaggio; produce molto lavoro nero e malpagato; è la causa principale, con i suoi pesticidi e fertilizzanti di chimica di sintesi, dell’inquinamento di fiumi, laghi e falde profonde (per l’Italia vedere dati Ispra); consuma più energia di quanta ne produca in cibo; genera una enorme quantità di sprechi che finiscono nella spazzatura; e infine, insieme a tutto l’indotto, compresa l’ industria di trasformazione e di distribuzione del cibo, è causa della maggiore produzione di gas climalteranti (fonte Ipcc/Onu), di cui essa stessa è la prima vittima;

Un quinto aspetto della sovranità alimentare è legato a chi quel cibo compra. Sempre più numerosi sono i cittadini che non sanno cosa comprano,  che comprano ciò che gli viene offerto e sono vittime di quegli stessi cibi diventati indigeribili, che non nutrono più come dovrebbero o provocano obesità, diabete, cancro, malattie cardiovascolari, intolleranze e allergie. Da qui l’uso sempre più diffuso e necessario – nei paesi ricchi – di integratori alimentari, di vitamine e sali minerali, di probiotici e di fermenti vivi, come pure di latte e formaggi senza lattosio (il latte oggi è prodotto da mucche costrette geneticamente a produrre 70/80 litri al giorno invece di 20) o ancora di pasta, pane e biscotti senza glutine (un glutine, quello dei nuovi grani ibridi, così diverso da quello dei grani antichi). Così, è sempre maggiore il numero di chi si rivolge a un dietologo/a perché semplicemente non sa più mangiare,  e i dietologi/ghe – almeno quelli che se ne rendono conto – sono costretti a  lavorare con cibi che non sono più quello che dovrebbero essere.

Il sesto punto riguarda la disuguaglianza: la produzione di cibo genera disuguaglianze sociali sempre più marcate – locali e mondiali, tra paesi ricchi e paesi poveri, tra ristrette classi abbienti e classi sempre più impoverite, tra Sud e Nord del mondo –  scissa tra un mitico cibo di qualità per pochissimi e cibo seriale per la massa degli umani.

Per ultimo il tema dei temi, il più complesso per le molteplici implicazioni che porta con sé: la produzione e il consumo di carne nel sistema cibo è comunque lo si giri uno dei paradigmi di insostenibilità dell’attuale modello agroindustriale. A prescindere se si debba continuare a considerare la carne necessaria all’alimentazione umana, o se, come pone la questione Emanuele Coccia, che “in quanto esseri eterotrofi, è sbagliato vedere nell’atto di mangiare esclusivamente una forma di sacrificio e di violenza”, ovvero che “la vita si nutre di vita”,  va posto l’interrogativo se gli umani abbiano il diritto di allevare gli animali in uno stato di fatto di schiavitù per cibarsene a piacimento. Perché ormai è chiaro che al punto in cui siamo arrivati,  quello della carne è oggi  un modello produttivo senza senso: per la salute del pianeta, per il rispetto e la salute degli animali e della stessa salute umana. L’assurdità di consumare 7/10 proteine vegetali – perfettamente adatte all’alimentazione umana – per ottenere 1 proteina animale, l’abnorme consumo di acqua che c’è dietro un semplice hamburgher, i pesanti disboscamenti degli ultimi polmoni verdi del pianeta per produrre cibo per gli allevamenti industriali, le malattie cardiovascolari e tumorali nella salute umana per l’eccesso di consumo di carne, rivelano tutta la gravità del problema nel prezzo della carne troppo al di sotto dei suoi costi reali, poiché non vengono calcolate le pesanti esternalità negative che il modello industriale di allevamento produce.

Ma forse, l’aspetto della carne non è l’ultimo paradosso da cui guardarsi le spalle se vogliamo parlare di cibo, del nostro cibo. Ce n’è uno più subdolo che porta fino in fondo quella “duplice attività di astrazione e estrazione”:

Si tratta di quel fenomeno per cui si stanno affermando sulle nostre tavole una serie di prodotti privati delle loro proprietà ritenute dannose: caffè senza caffeina, vino e birra senza alcol, pasta senza glutine, latte senza lattosio, panna senza grasso. Prodotti privati della loro sostanza, “di quel nocciolo duro del Reale che ancora resiste”, dice Zizek: il vino ha tutti i profumi, colori, sapori del vino vero senza più esserlo, “la Realtà virtuale è esperita come realtà pur senza esserlo. Tutto è permesso, puoi godere di qualsiasi cosa, a condizione che sia spogliata della sostanza che la rende pericolosa”.

Le prime bistecche artificiali, senza carne,  sono già pronte e permetteranno di essere vegetariani pur mangiando carne.

“Grande industria e grande agricoltura gestita industrialmente operano di concerto. Se, in origine, esse si separano perché la prima devasta e rovina maggiormente la forza lavoro e quindi la forza naturale dell’uomo  e la seconda più direttamente la forza naturale della terra, nel corso ulteriore dello sviluppo esse si danno la mano. In quanto il sistema industriale applicato ai campi sfibra gli stessi lavoratori e, da parte loro, industria e commercio forniscono all’agricoltura i mezzi per esaurire il suolo.” (K.Marx, Il Capitale, libro III)

Food Warehouse” by goldberg is licensed under CC BY-SA 2.0.

BIOTECNOLOGIE ENDOXA - BIMESTRALE STORIA DELLE IDEE

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