CURA DELLA CITTÀ: COOPERAZIONE, DIRITTO E RAPPORTI SOCIALI

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JACOPO VOLPI

1. Qualora cercassimo di affrontare un’analisi, il più possibile perspicua, con riguardo ai rapporti fra individuo e autorità (o, analogamente: fra soggetti e potere, fra cittadini e istituzioni), ci si renderebbe facilmente conto come tali termini risultino sovente fortemente polarizzati all’interno di una dinamica escludente ed oppositiva che li rende, fra loro, antitetici, distanziandoli dalla loro necessaria contiguità. Se mutiamo l’angolo prospettico, tuttavia, subito ci si avvede come, tali termini, prima facie antagonisti, meriterebbero, per converso, di essere riconcettualizzati, al fine di giungere ad una più ampia possibilità di articolazione, la quale, senza eliminare il contrasto, ne permetta di rintracciare un punto d’accordo, un compromesso. L’individuo, pertanto, invece di pensarsi nell’ottica di una entità irrelata priva di sbocchi concreti, potrebbe essere ricondotto a un complesso di configurazioni teoriche che lo ricolleghino all’idea di singolo come persona, ossia a una concezione del soggetto come realtà costitutivamente relazionale: un individuo, sì, ma “socialmente atteggiato” (avrebbe detto il Bobbio ‘personalista’); mentre l’autorità politica – od ogni ente sovradeterminato espressivo di funzioni in grado di incidere sulla situazione (giuridica e non) del singolo – si potrebbe tentare di delinearla (in un esercizio che, va da sé, alterna ‘realtà’ e ‘utopia’, oscillando fra essere e dover essere) come entità valoriale correlata a determinazioni e dimensioni specifiche, spogliandola di quell’insieme corposo di misticismo che sembra classicamente circonfonderla.

L’individuo, così, può essere reinterpretato nella sua concretezza, contestuale e determinata. Un soggetto che cerchi nell’incontro con l’altro la sua cifra caratterizzante e che identifichi nella comunità personale – che è compartecipazione ad una condivisa visione esistenziale e collaborazione per approssimarsi ad essa –, il criterio regolativo e costitutivo delle relazioni sociali. Questa esigenza deve abbandonare varie eventualità, allo scopo di non fraintendersi sulla dinamica di fondazione della soggettività nei suoi rapporti con gli enti oggettivati della realtà sociale: in prima istanza, si deve evitare, seguendo Kierkegaard, la spersonalizzazione nella massa, in cui il singolo perde consistenza per “sciogliersi” in un processo indefinito di attività e di atteggiamenti confusi, verso cui la moltitudine della folla, quale luogo dell’inautenticità, prova a sospingerlo. Dentro questo processo, il richiamo agli istinti basici, alla subordinazione priva di confronto dialogico e, soprattutto, all’esigenza della sottomissione al carisma di un soggetto-guida, rischiano di vanificare le possibilità positive di incremento, ideale e valoriale, della soggettività individuale (in senso etico, ma anche democratico).

In secondo luogo, un ulteriore ambito da cui è necessario prendere le distanze, onde pervenire ad una corretta tematizzazione del concetto di persona all’interno di un rinnovato orizzonte politico-giuridico, è quello di relativizzare il valore delle forme di gruppo improntate a meri scopi d’interesse, ove il fine, assurgendo a criterio dominante, svolge un ruolo esclusivo per l’orientamento delle condotte. Sebbene, qui, l’assunzione fondamentale della determinazione e della definizione del fine rilevante della società possa mutare a seconda del telos che si decida di conseguire (un’associazione culturale, ad esempio, può ben costituirsi con la forma di una società di interessi, perseguendo il fine ‘culturale’ come suo scopo precipuo), proprio la indicazione del fine isola o, viemeglio, cristallizza le potenzialità di cooperazione e di collaborazione, a favore di qualsivoglia metodica o prassi d’azione che consenta l’opportunità del raggiungimento del fine stesso, vincolando lo spazio d’agire all’interno degli obiettivi da realizzare. La tipica e più tradizionale società di interessi è comunemente rappresentata dalla impresa economica, che assume come fine capitale della propria sussistenza il conseguimento del profitto: il raggiungimento di quest’ultimo legittima altresì i mezzi per perseguirlo, snaturando i legami dei soggetti associati e avvilendo la possibilità di comunicazione interpersonale.

L’altro rischio, invece, più sottile, è quello che risiede nella società vitale (tematizzata da Emmanuel Mounier, ritrascrivendo e reinterpretando la società chiusa di Henri Bergson) in cui i soggetti, sebbene non avvolti dalla dimensione fagocitante della realtà massificata, ma neanche rivolti alla mera realizzazione del fine in sé considerato, vivono, nondimeno, dentro un unico flusso vitale, secondo criteri d’ordine puramente funzionali, necessari a garantire le più adatte condizioni di vita in termini generali.

2. Queste riflessioni ci portano a sottolineare come l’esigenza di impostare una rinnovata concettualizzazione dei rapporti sociali risieda nella necessità di configurare l’ambito della comunità in un’ottica intrinsecamente relazionale, collaborativa e cooperante. Tale visione è uso pensarla in termini antitetici rispetto alla sfera della giuridicità, tantoché, in vari contributi del personalismo novecentesco, le diverse scansioni delle forme di vita associata isolano la componente giuridica come momento chiuso ed autonomo, ancora incapace di sviluppare nel soggetto opportunità effettive di relazione fruttuosa con il prossimo. L’individuo che opera nel diritto è ancora un individuo non aperto alla ricchezza dell’incontro interpersonale e in cui i rapporti con gli altri si istituiscono sulla base di una matrice di stampo essenzialmente utilitario: la società giuridica permane intrisa di elementi contrattualistici e strettamente dipendente da forme ideologiche che legano i soggetti individuali sulla base di meri legami di convenienza.

Si tratta, invece, di far retroagire l’ambito della comunità personale – che è rapporto cooperativo e collaborativo – oltre i suoi consueti margini di operatività (amore, famiglia, amicizie) e innestarlo anche nelle dinamiche (maggiormente) astratte dei rapporti sociali. Terreno, quest’ultimo – spesso fondato sulla drammaticità del conflitto –, in cui tale possibilità risulta più faticosamente realizzabile ed attuabile ma che, in un certo senso, meriterebbe un tentativo di perseguimento: far confluire, infatti, la succitata prospettiva collaborativa e cooperante all’interno della concettualizzazione delle strutture giuridiche e delle istituzioni politiche può rafforzare quella concretezza del vivere quotidiano che sovente dinanzi ai processi di burocratizzazione e di ‘livellamento’ amministrativo si va a perdere, snaturando il valore primigenio della relazione.

In ragione di ciò, il soggetto non si rapporterà soltanto con macroentità globali o con mastodontiche entità di dominio, ma, altresì, con realtà singolari, specifiche, locali, con luoghi particolari e determinati, in cui la vita di tutti i giorni si articola e si sviluppa. La città, da intendersi come luogo simbolico per la costruzione e la cura delle relazioni sociali, assume qui un ruolo primigenio; ma anche i singoli spazi in cui la persona si trova strettamente inserita: quelli che, solitamente, si definiscono ‘corpi intermedi’. Allora, anche l’attenzione al ‘bene comune’ può concepirsi come una presa in cura di tutto ciò che, a livello definitorio (artefatti, opere, prodotti culturali), gode non già del possesso esclusivo di un singolo ma che, bensì, si misura con la dimensione di un ‘possesso’ collettivo, il cui titolare sia, dunque, la comunità nel suo insieme, la quale coopera e collabora per accrescerlo e sostenerlo.

3. La scansione concettuale che è stata sopra delineata e che si ravvisa in molte riflessioni del personalismo del Novecento europeo, e in altri autori che hanno cercato di agganciare la sfera del diritto con ambiti ulteriori, “esterni” al ‘giuridico’, ha sempre un corrispettivo sul piano istituzionale: elemento che rivela, ancor più, come tali aspetti della solidarietà e della cooperazione, ispirati alla necessità dell’incontro e della relazione, possano fare ingresso nella dinamica giuridica dei rapporti intersoggettivi e nell’architettura degli enti politici e istituzionali.

Se alla folla, come già accennato, fa da ‘contraltare’ un soggetto carismatico che mette in ordine il complessivo atteggiarsi della massa informe del gruppo (dis)organizzato, in cui il soggetto viene privato della mancanza di capacità deliberativa sul piano dell’autonomia personale, venendo dunque spogliato anche del suo connotato essenziale di soggetto responsabile, alla società di interessi (che abbiamo sopra tipicamente declinato nell’impresa economica) corrisponde usualmente l’ambito della decisione esecutiva – quello che, ad esempio, coincide tipicamente con lo spazio decisionale dei consigli d’amministrazione: un organo compatto, numericamente esiguo, snello nelle procedure decisorie e nelle forme di deliberazione, e a cui vengono affidate tutte le risoluzioni fondamentali per garantire la sussistenza dell’ente in quanto tale.

La visione di una comunità personale – che è anche sinonimo di mutua partecipazione ad una prospettiva esistenziale –, invece, cercando di coniugarsi con la società giuridica – che alcuni personalisti come Jean Lacroix o Emmanuel Mounier ancora distinguevano come fase non piena dello sviluppo della collettività e dei soggetti personali –, ha l’ambizione di inserire, all’interno delle compagini istituzionali, dinamiche collaboranti e cooperative, improntate all’incontro e al reciproco comprendersi, e che trovano nella Weltanschauung democratica il requisito principale del loro caratterizzarsi: è il dialogo (vitale, ad esempio, nella riflessione sul “sociale” in Karl Jaspers), qui, che assurge a circostanza determinante e che permette di impostare una rivisitazione semantica del momento democratico non soltanto come mero intreccio di forme procedurali o come insieme coordinato di regole organizzative (che pur sono necessarie), ma, altresì, come esercizio della ragione critica attraverso il vaglio delle argomentazioni fra soggetti autonomamente responsabili, fra persone.

Inoltre, tale esigenza democratica deve altresì ancorarsi alla necessità di rivalutazione dell’elemento locale, comunale, cittadino del vivere associato. Al di là di ogni forma di istanza globalistica che cerchi di appiattire la realtà fenomenica su una tavola liscia priva di frammentazione e di differenze, la necessità del dialogo responsabile si deve declinare in un coordinarsi intersoggettivo che si situi, però, entro un luogo di pubblico incontro e confronto, in cui le difficoltà e le fratture che possono subentrare in ragione della vicendevole estraneità possano colmarsi proprio attraverso una vicinanza strutturale, che dia l’occasione di costruire una dimensione dialogica foriera di riflessioni creative e di accrescimento reciproco.

In questo senso, si reclama la necessità di una maggiore concretizzazione del soggetto all’interno del vivere quotidiano, oltre ogni ipostatizzazione astratta che possa condurre ad una obliterazione del momento genuinamente sociale che convive all’interno dell’Io. E una riflessione concreta sul diritto e sulle sue qualità basilari dovrebbe, in tal senso, operare e lavorare, da una parte, attraverso la valorizzazione della normatività quale stadio primigenio dell’ordine giuridico che consenta, quantomeno a grandi linee, di distinguere la sfera dei comportamenti leciti da quella dei comportamenti illeciti e, dall’altra, attraverso l’implementazione, in seno alla dinamica giuridica, delle esigenze di relazionalità e di intrinseca socialità.

È in questi termini che la città – luogo idealtipico di incontro interindividuale – può assumere i caratteri di uno contesto in cui operi e regni la cura collettiva per il patrimonio comune – che è patrimonio di idee e di cose, di cultura e di memoria; patrimonio che non assume la connotazione di alcunché di succedaneo, che si aggiunge ai beni individuali, rimanendo disponibile al pubblico dominio, ma patrimonio comune in cui tutti possano contribuire attraverso un processo di confronto e di dialogo, che porti a scoprire le potenzialità inespresse dell’agire collettivo e degli spazi comuni come possibilità di ulteriore inveramento di quelle realtà, già esistenti e solide, in cui gli esseri umani articolano l’esigenza del mutuo darsi e vicendevole alimentarsi.

DIRITTO ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Senza categoria

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