PRENDERSI CURA DELLA CURA – EDITORIALE
FERDINANDO MENGA
La cura costituisce uno degli elementi strutturali delle nostre esistenze. In effetti, diveniamo ciò che siamo e riusciamo a condurre una vita degna di tal nome solo attraverso pratiche di cura, i cui effetti cominciano a manifestarsi nei nostri vissuti sin dalla tenera età.
Tuttavia, nonostante detenga un’estensione capillarizzata del genere, lungo l’itinerario della nostra tradizione culturale, la cura si è trovata pressoché sempre a essere sorprendentemente relegata in una dimensione di marginalità, d’importanza secondaria, laddove invece i grandi temi che hanno dominato la “grande politica” sono stati altri: libertà, giustizia, azione, autorità, e così via. Pertanto, è come se la nostra tradizione si fosse curata sempre troppo poco della cura.
Bisogna domandarsi come mai questa discrasia, questa opposizione peculiare fra un’importanza talmente evidente e una dimensione d’attenzione così marginale.
Una traiettoria di risposta, a mio avviso, convincente a tale interrogativo è quella che connette suddetta marginalizzazione – ovvero, opacizzazione – della cura al corrispondente tentativo di rimozione dell’elemento di vulnerabilità e interdipendenza a cui essa rinvia. Elemento, quest’ultimo, che evidentemente risulta insopportabile a una cultura prevalentemente improntata al modello antropologico-economico, prima liberale e poi neoliberale, che celebra – e viene guidato da – una visione della soggettività forte, pienamente autonoma e prestazionale. Una soggettività che – come si intuisce – finisce per costituire, in ultima istanza, il motore stesso per il funzionamento del meccanismo tecno-capitalistico della produzione e del mercato. In tale quadro, la marginalizzazione della cura, quindi, non risulta essere affatto fortuita o accidentale; ma, al contrario, fa il paio con una relegazione della vulnerabilità che un sistema fondato sul paradigma della produzione e prestazione funzionalizzante non può tollerare.
Allo stesso tempo, sappiamo però che se vulnerabilità e cura rappresentano davvero tratti fondamentali dell’esistenza, il tentativo della loro marginalizzazione non potrà mai compiersi in una definitiva cancellazione. Al contrario, tale tentativo non potrà fare altro che innescare il meccanismo di una rimozione destinato a esplodere in momenti particolari di crisi; e a manifestarsi tanto più drammaticamente, quanto più l’elemento traumatico rimosso cova sotto la cenere.
Ora, come si è manifestato di recente agli occhi di tutti, è stata proprio la pandemia da Covid-19 ad aver rappresentato uno di questi grandi momenti critici di ritorno del rimosso. In effetti, è come se la convinzione di fondo del soggetto dominatore contemporaneo, all’apice della sua attività di predazione del pianeta, lungi dal trovare istanze di conferma ulteriore, si fosse sgretolata sotto i colpi inferti dalla forma più estrema di vulnerabilità e di necessità di cura mai esperite.
In tale prospettiva, dunque, la pandemia, al pari di ogni evento traumatico di portata davvero strutturale, si è rivelata occasione per tornare a ricongiungerci con i tratti costitutivi della nostra esistenza: ossia, la necessità di accogliere la nostra vulnerabilità originaria e la decisività di progettare traiettorie di cura tali da rendere possibile tanto una coabitazione in equilibrio con le risorse finite del nostro pianeta, quanto una convivenza con chi, grazie a noi o a causa nostra, potrà avere accesso o meno, in futuro, a una vita degna d’essere vissuta.
In particolar modo, durante la prima fase pandemica, la percezione pervasiva di una tale posta in gioco sembrava aver permeato il tessuto dei nostri vissuti e il terreno dei discorsi istituzionali. Insomma, è come se la sospensione forzata delle nostre vite avesse propiziato la possibilità di una comprensione profonda circa la decisività di riconfigurare i nostri stili di vita e i nostri progetti politico-economici planetari; progetti, questi, tali da doversi finalmente orientare a una presa in cura dell’oggi e a un atteggiamento responsabile per un futuro davvero abitabile.
Purtroppo, però, la pandemia, si è rivelata uno scossone, per quanto poderoso, non abbastanza forte da farci virare dal sentiero consueto. Terminata infatti la sua fase acuta, presto si è tornati al businness as usual: uno status quo votato alla solita politica scellerata basata su squilibri e dissimmetrie fortissime tanto nei confronti dei vulnerabili di oggi, quanto dei vulnerabili di domani. Anzi, è addirittura aumentata la caccia predatoria e usurpatoria orientata all’accaparramento sempre più estensivo di energia e risorse. La guerra in Ucraina, se vogliamo, ha finito addirittura per legittimare ulteriormente una preoccupazione esclusivamente rivolta al presente e miope verso le pratiche attuali di un’incuria, le cui conseguenze saranno tutte scaricate sulle spalle dei soggetti futuri.
Di positivo, contro questo trend, forse c’è da registrare soltanto la caparbia protesta da parte dei millennials, i quali stanno dimostrando di avere autenticamente a cuore la cura dell’ambiente e la sopravvivenza del pianeta. La loro azione non concede alcuno sconto all’esasperata ripresa post-pandemica di stampo neoliberista e tutta concentrata su un processo indisturbato teso al solo produrre, depredare, consumare e accrescere. Contro l’opzione politico-temporale corrente, che è quella di concentrarsi sul presente, fregandosene del futuro, il monito di questi giovani è invece quello di porre il futuro a problema etico – problema di cura e responsabilità.
Probabilmente il loro impeto potrà tradire un eccesso d’ingenuità. Ma è necessario ricordarsi, al riguardo, che questa ingenuità non è poi molto dissimile dal tenore di responsabilità a cui, per esempio, è la nostra stessa Costituzione ad aver aderito da un anno a questa parte: ovvero, dal momento in cui, con la modifica dell’art. 9, quest’ultima assume esplicitamente la tutela degli ecosistemi e dell’ambiente nell’interesse delle future generazioni.
E ricordiamocelo pure: la Costituzione è esattamente quel documento che determina di cosa è fatto il Noi politico che essa stessa riflette.
Saremo dunque all’altezza di noi stessi?
DIRITTO ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Cura/Incuria Endoxa maggio 2023 Ferdinando Menga