L’ETICA DELLA CURA:TRA CONTROLLO SOCIALE E POTER-ESSERE-ALTRIMENTI
FABIO CIARAMELLI
C’è un’implicita ‘evidenza’, assai diffusa nel discorso sociale e culturale dominate, secondo la quale esisterebbe – e risulterebbe anche immediatamente accessibile – un modello unitario (uno schema predefinito) dell’esistenza concreta dell’essere umano compiuto o realizzato. In base a questo presupposto, il più delle volte non argomentato e dunque irriflesso, non può che risultare già definita e determinata la finalità della ‘cura’, e quest’ultima dovrebbe rapportarsi al suo ‘oggetto’ avendo già chiaro quale debba essere l’esito del proprio intervento e di conseguenza quali possano e debbano essere i mezzi più razionali, cioè più efficaci, per raggiungere un tale obiettivo finale.
Sulla base d’una simile ‘evidenza’ – consistente, è bene ribadirlo, nel dare per scontata l’esistenza e l’immediata accessibilità d’un modello predefinito della compiuta realizzazione dell’essere umano concreto –, la cura dovrebbe avere un effetto di normalizzazione e omologazione, divenendo un proficuo e vantaggioso strumento di ‘adattamento’ e magari anche di ottimizzazione.
Il ‘controllo sociale’, secondo le famose analisi dedicatevi da Foucault, ha in realtà un obiettivo più ambizioso e pervasivo della pura e semplice sanzione delle infrazioni normative; esso, cioè, non si limita a svolgere una funzione di volta in volta retributiva e neanche una funzione globalmente rieducativa, ma consiste invece nel radicalizzare e generalizzare la funzione socialmente preventiva della punizione. In questo senso, Foucault ha potuto vedere nella società contemporanea una “società disciplinare”, mirante essenzialmente a neutralizzare a priori l’eventuale pericolosità dei comportamenti individuali. A ben vedere, la società disciplinare non ha come suo primo intento quello di punire le infrazioni degli individui, ma invece si propone di correggere le loro potenzialità, uniformandole a priori a un ben preciso modello di comportamento unitario. In tal modo, il controllo sociale viene a basarsi su una preliminare decisione normativa, che – dice Foucault – “definisce come reprensibile ciò che è nocivo alla società, definendo così in negativo ciò che le è utile”. Il modello di benessere individuale e sociale sottinteso a questa “normalizzazione” che, caratterizzando lo statuto del potere disciplinare, fonda il costituirsi delle stesse procedure legali, comporta la sottomissione implicita o esplicita delle vite individuali all’uniformità dell’Uno.
Ai prodromi di questa pretesa unificatrice e omologatrice del controllo sociale, si sono vigorosamente – eroicamente – contrapposti all’alba della modernità tanto Etienne de La Boétie quanto il nostro Giordano Bruno, per il quale – cito – “non è armonia e concordia dov’è unità, dove un essere vuole assorbire tutto l’essere, ma dove è ordine e analogia di cose diverse, dove ogni cosa serve la sua natura” (celeberrimo passo, tratto da Gli eroici furori, che Aldo Masullo ha posto in esergo a un suo aureo libretto su Giordano Bruno, maestro di anarchia, Edizioni Saletta dell’Uva, Caserta 2016). Sennonché, come aveva già detto poco prima di Bruno il giovanissimo La Boétie nella sua denuncia della “servitù volontaria”, la natura “ha mostrato in ogni cosa che non voleva tanto farci tutti uno ma tutti unici”. Il che significa che se ogni cosa deve servire la propria natura affinché vi sia, sul piano collettivo, armonia e concordia, occorre evitare assolutamente l’assoggettamento e l’omologazione di tutti all’Uno.
Perché vi sia qualcosa come una “etica della cura”, è necessario dare spazio all’unicità di ciascuno, salvaguardando e valorizzando le diversità dei singoli – e di conseguenza l’alterazione che in tal modo si produce nello spazio sociale.
Lévinas adoperava spesso un’espressione illuminante: l’humain épris de sens. Potremmo tradurre liberamente “l’umano affamato e assetato di senso”. Il senso è ciò verso cui tende, ciò che richiede, ciò che più intensamente desidera l’essere umano nella sua singolarità. Insomma, il senso – nella sua irriducibile alterità – è l’interfaccia della psiche e quest’ultima – nella sua stessa singolarità – è un’istanza radicale di senso.
Ma il senso non ha una sua oggettività universale, necessaria, calcolabile. La dimensione affettiva del senso va tenuta distinta dalla dimensione scientifico-conoscitiva della verità. La confusione tra i due ambiti, come suggerisce Hannah Arendt, è l’errore di fondo – la fondamentale “fallacia metafisica” – della filosofia speculativa. La psiche non è mossa dalla ricerca scientifica della verità ma dalla passione per il senso. Nelle civiltà tradizionali le due dimensioni potevano sovrapporsi dal momento che esse si fondavano sulla intuizione intellettuale della verità trascendente e sacra: ma nella società moderna, da Kant in poi, la ricerca della verità e l’elaborazione del senso prendono strade diverse.
Il disagio psichico – la sofferenza individuale – è dunque l’altra faccia della crisi della civiltà moderna, della sua incapacità di elaborare significati collettivi che siano in grado di soddisfare l’esigenza di senso dei singoli: d’un senso che non può mai ridursi a un insieme d’oggetti da possedere e consumare. Sono i significati e i valori istituiti sul piano sociale a poter fungere da motivazioni capaci di mobilitare e soddisfare l’esigenza di senso della psiche, senza soffocarne la vitalità e senza pretendere di saturarne l’inquietudine. L’oggettività del mondo dei significati pubblici e dei valori sociali, che si istituzionalizzano nelle stesse norme giuridiche, non ha né può minimamente avere l’universalità e la necessità della logica, non attiene cioè all’ambito scientifico o ontologico della verità, ma viceversa a quello etico del senso. Qui l’oggettività è sempre e soltanto oggettività istituita e perciò per essenza destituibile. Il senso umano – il senso di cui l’umano è appassionato – è rimando relazionale, quindi alterazione vitale, fuoriuscita da sé, orientamento verso l’alterità.
Il problema dell’etica della cura, a partire dalla messa in discussione delle evidenze date per scontate da cui siamo partiti, sta nel fatto che questa dimensione del senso, proprio per il suo essere etica e relazionale (e non logica, ontologica o autoreferenziale), non può esser semplicemente ‘ripristinata’. Non si tratta d’una dimensione preliminarmente già data e costituita, ma di un qualcosa che deve di volta in volta essere elaborato e rielaborato, tanto sul piano sociale quanto sul piano individuale.
Forse è questa la ragione profonda per cui Freud diceva che educare, psicoanalizzare e governare sono “le tre professioni impossibili”. L’obiettivo che esse perseguono è infatti rigorosamente estraneo ad ogni forma di ‘controllo sociale’ proveniente dall’esterno, a patto, beninteso che esse si propongano il benessere dei singoli, nelle loro unicità, cioè la loro autonomia: un qualcosa di completamente diverso dalla manipolazione degli esseri umani o dal condurli surrettiziamente a raggiungere uno standard di prestazioni individuali già preliminarmente determinato; qualcosa di irriducibile alla ‘normalizzazione’ analizzata da Foucault nella società disciplinare. L’obiettivo preso di mira dalle tre professioni impossibili è sprovvisto di eidos, non è dunque né prevedibile né determinabile a priori, in quanto per definizione può essere realizzato solo dai diretti interessati, si direbbe oggi dagli “stakeholders”.
L’etica della cura si propone di far nascere di volta in volta nel singolo essere umano il desiderio della sua auto-trasformazione: un desiderio che però manca di eidos (cioè di modello ontologico universale e necessario) e che, di conseguenza, non ha un unico telos (un’unica finalità, predeterminata e ben definita); un desiderio, perciò, che – come ogni desiderio – può trasmettersi solo per contagio.
Non avendo di mira il ripristino o il conseguimento della presunta normalità della condizione umana, l’etica della cura si sottrae alle necessità della natura e di conseguenza non può che fare esclusivamente riferimento al poter-essere-altrimenti che caratterizza l’agire umano nella sua originalità e responsabilità.
ENDOXA - BIMESTRALE FILOSOFIA Senza categoria Cura/Incuria Endoxa maggio 2023 Fabio Ciaramelli