SUL PARNASO, LUGLIO 2018: NICCOLÒ MACHIAVELLI INCONTRA ZYGMUNT BAUMAN E ULRICH BECK
PAOLO CASCAVILLA

Machiavelli. Noi qui sul Parnaso vediamo male le cose che accadono sulla terra. Da lontano bene, poi man mano che si avvicinano sfumano, si annebbiano. E ci lasciano nell’incertezza. Che ne è dello Stato sovrano da me pensato per l’Italia? Sono vere quelle notizie che raccontano di nuovi organismi sovranazionali, e che l’Italia come altre nazioni sono annullate in uno Stato nuovo, nell’Europa?
Bauman. È una unione di pace, che rende più forti e porta benessere. Nuovi Stati si sono formati sulla terra, forti, popolosi, ricchi. L’Italia e altri Stati dell’Europa sono una piccola cosa. Ma contano se sono insieme. E contano per la storia, l’arte, la scienza…. Questo nuovo Stato deve ancora unirsi e fortificarsi, per ora ci sono molte divisioni. L’Europa Unita può essere una grande e nuova avventura.
Machiavelli. Io ho studiato i principati veri, non quelli immaginari, ho studiato l’arte del governo, come si vive, non come si dovrebbe vivere. Mettere insieme gli uomini di una stessa terra e lingua è difficile, figurarsi come sarà mettere insieme tanti popoli con lingue diverse, gelosi e invidiosi… È però un’esperienza bella e interessante, una buona cosa se mette fine a tante spaventose guerre. Ma i popoli non sono leali, specie per progetti lunghi, vogliono vedere subito i vantaggi. C’è bisogno di uomini abili, di grande virtù per guidare genti eterogenee, pronte a entusiasmarsi e poi alle prime difficoltà diventano sospettose e diffidenti. Devono parlare con una sola voce. Ci sono? Non ci sono anche fomentatori di discordie? Uomini che per il loro potere accontentano il popolo, lo assecondano… Questo nuovo Stato ha buone leggi e buone armi? Quando si mettono insieme Stati abituati a governarsi da soli è difficile introdurre ordinamenti nuovi e cancellare quelli vecchi!
Beck. Ci vogliono persone virtuose e coraggiose che sappiano portare nuove idee e persuadere al bene comune. Più che le parole servono buoni esempi per costruire gli argini e convogliare i fiumi precipitosi, frenare coloro che alimentano false speranze e paure e che cavalcano i populismi che dilagano in tutto il mondo.
Machiavelli. Sì. Uomini risoluti di ardita virtù e padroni di sé, capaci di affrontare le avversità della fortuna. Spiriti nobili che devono anteporre al loro utile quello dello Stato. È notevole la forza di quelli che difendono interessi particolari e si battono accanitamente per conservare la supremazia, ingannando il popolo. Costoro, difendendo un bene già posseduto, si muovono con partigianeria rispetto a coloro che devono beneficiare di un bene futuro. E nei momenti di crisi e difficoltà i difensori del passato sanno camuffarsi e si proclamano amanti della libertà, del benessere generale. Fanno promesse e dicono che proteggono da tutte le paure. Accanto a uomini virtuosi, occorre affiancare, lo ripeto, le buone leggi e le buone armi. Chi governa non può fondarsi sopra quello che vede nei tempi quieti e favorevoli, perché allora ognuno corre e promette, è disposto persino a morire, ma nei tempi avversi quando lo Stato ha bisogno di cittadini, allora se ne trovano pochi. I governanti saggi devono mostrare i vantaggi del bene comune, tenere alto il rispetto verso lo Stato. E i populismi di cui parli?
Beck. Dilagano ovunque, assumono aspetti diversi, sono animati da uno spirito di rivolta contro le élite, le classi dirigenti, ritenute favorevoli a una mondializzazione economica dimentica delle esigenze dei popoli. Insomma mettono sotto accusa gli organismi internazionali per la loro inefficienza, vogliono riaffermare la sovranità dello Stato, si oppongono alle migrazioni che incrinano le identità dei popoli… Le società odierne sono dominate dall’incertezza, gli individui non hanno più gli ancoraggi che li tenevano legati a contesti definiti e a visioni determinate. Sono società del rischio. Ciascuno deve da solo trovare un posto nel mondo. La vita è un grande bazar, molti i beni a disposizione, ma tante, troppe sono le vite scartate.
Bauman. La vita è vissuta solo nel presente, sono accantonate le grandi questioni etiche: bene comune, giustizia, futuro del pianeta. Si sono create enormi disuguaglianze nelle società occidentali e tra i popoli. Ci sono tutte le ragioni della protesta, ma rispondere con la chiusura, la difesa di un passato immaginato, uniforme, protettivo non ha prospettive. C’è bisogno di un nuovo pensiero critico e creativo. Di fronte a un mondo che corre, i singoli stati nazionali non riescono a far amare il futuro. Per questo ci sono stati uomini europei che si sono inventati un’altra meta da conquistare, una Europa Unita. Molte le difficoltà emerse, ma bisogna provare, e oggi di fronte ai rischi planetari si deve insieme trovare una risposta. La previsione dei rischi può portare a risposte nuove e a non chiudersi impauriti. Purtroppo i fenomeni di esclusione sociale, le migrazioni, le disuguaglianze sono occasioni e pretesti per costruire barriere, e inventare capri espiatori su cui scaricare timori, alimentati e amplificati, per mantenere la presa sugli uomini e tenerli in una condizione di ansia.
Machiavelli. Sempre gli uomini hanno avuto paura… della peste, di quelli che venivano da lontano, da altri paesi. Uno Stato con ordinamenti certi aiuta e protegge. Lo Stato nazionale da me pensato è una risposta alle paure. Ora se questa Europa protegge… Gli uomini devono difenderla contro quelli che vogliono tornare indietro e alimentano le paure per mantenere il potere, il loro potere.
Beck. Il mondo è percepito carico di rischi: la terra si riscalda, i ghiacciai si sciolgono, il livello delle acque cresce… Se non si corre ai ripari la storia del mondo potrebbe finire. Gli Stati nazionali non riescono ad affrontare i problemi. Si dividono tra loro; novità positive provengono oggi dalle città, dalle metropoli con milioni di abitanti che stanno affrontando efficacemente molte questioni. Potrebbero essere un esempio positivo da estendere ad altri popoli. Gli uomini sulla terra sono disorientati da eventi che si susseguono e ai quali si stenta a dare un significato. Non si tratta di cambiamenti e trasformazioni, ma di metamorfosi. Una metamorfosi del mondo. Il rischio climatico indica la strada per salvare il mondo in pericolo e ci fa capire che le nazioni da sole non ce la fanno. Il mondo non sta finendo, come dicono i predicatori di catastrofe, e nemmeno è vicino alla salvezza. Emerge un quadro, invece, che ci parla di rischi di catastrofe e chiama in causa la capacità di operare, il modo di essere nel mondo, di pensare il mondo, di immaginare, di fare politica. Gli Stati nazionali non sono la soluzione, sono il problema; sono paralizzati da veti, diffidenti, e la classe politica è prigioniera delle paure che ha creato. È urgente una nuova cultura civica della responsabilità, che superi antagonismi vecchi e crei nuove alleanze, faccia avvertire la vulnerabilità di tutti e la responsabilità di tutti.
Bauman. Non ci sono più ideologie. C’è solo la paura. I governi sono ossessionati dalla gestione delle paure, non riescono a pensare altre soluzioni che luoghi di concentramento, spazi di sospensione dei diritti. I rifugiati sono stabili dal 1960: il 3,5% della popolazione mondiale. Prima si muovevano all’interno del Continente africano. Erano invisibili. La novità di questi anni è che una parte, in verità molto esigua, desidera venire in Occidente.
Beck. Partiamo dalle città, che stanno sperimentando soluzioni positive di fronte ai rischi globali della mobilità urbana, dei rifiuti, del consumo di energia, dell’uso di fonti rinnovabili. Raccolgono la sfida. Invece delle Nazioni Unite, parliamo di Città Unite. Nelle città emerge un’altra logica, non quella di amico – nemico, ma quella della cooperazione. Insomma l’esperienza quotidiana dei rischi globali porta ad apprendere nuovi comportamenti. Dal basso. Anche i migranti diventano trasmettitori di un nuovo atteggiamento nei confronti del mondo. Possiamo parlare di Comunità che avvertono il rischio e si prendono cura del mondo.
Machiavelli. Ma come possono le città divenire la base di un’azione politica democratica? Quale rapporto con lo Stato nazionale? È interessante pensare che possano nascere nuove collaborazioni, cooperazioni, alleanze, un nuovo modo di esercitare il potere. E la democrazia? Come evitare che siano pochi a decidere? Le città potranno assumere una centralità simile a quella della Toscana nel mio tempo? La democrazia è nata nella polis, ma quante le divisioni interne, e con le città vicine! E poi per avere la pace e l’ordine si è dovuto far riferimento alla monarchia e all’Impero. Penso alla mia Firenze, alla fine della Repubblica di cui ero segretario, alle congiure, alle lacerazioni… Oggi, mi dite, gli Stati nazionali stanno fallendo e le città potrebbero tornare ad essere il terreno sociale di una nuova sperimentazione politica. Come potranno, però, dare risposte all’incertezza e all’insicurezza se le leve del potere sono altrove? E i giovani non si ribellano? Non creano? Sanno dove andare?
Beck. La città è il laboratorio di nuove forme di cittadinanza, di nuovi modi di abitare il mondo, anche di reinventare la democrazia. Lo sguardo nazionale non aiuta più, nelle città si vivono mutamenti e metamorfosi che investono tutti: ricchi e poveri, credenti e non credenti, giovani e anziani. Una metamorfosi che nasce non da fallimenti, ma dai successi di una straordinaria modernizzazione. I problemi sorgono ed esplodono perché tutti i paesi e i popoli adeguano sistemi produttivi e standard di vita a quelli occidentali. I giovani vivono in un mondo nuovo, non sanno la strada, ma sanno che bisogna andare. Lo stesso mondo dei migranti (chiamati invasori e terroristi) è un arcipelago. Le famiglie dei migranti sono un crogiolo di scontri e mutamenti. Si raccontano solo alcuni casi tragici, ma intenso e acceso è il confronto tra padri e figlie, che conoscono le leggi, le norme, sanno parlare… conoscono più dei padri. Confusione? Ci sono cose che non riusciamo ad afferrare. Finora i diritti umani sono stati garantiti dagli Stati nazionali, ora in questo modo sarà più ardua la distinzione tra cittadini e non cittadini, connazionali e stranieri. Non si è mai sopita l’idea dell’uguaglianza, e oggi più di ieri non si accettano le cose come stanno e le differenze tra chi ha e chi non ha, tra i paesi ricchi e il resto del mondo… Gli esclusi conoscono e usano i nuovi strumenti di informazione, e non si fanno intimidire. “Vogliamo entrare”, questo è il grido, che fa tremare i muri e le sbarre. Qui i giovani laureati senza lavoro con le paure e le insicurezze, là quelli che insistono a voler venire, anche se sono avvisati che qui non c’è quello che percepiscono a distanza. I governi dimenticano le generazioni future e allontanano i rifiuti, i debiti, le industrie inquinanti in altri paesi e in altri tempi. Praticano il rinvio irresponsabile in cambio del consenso: sanno che le alluvioni cresceranno, l’acqua salirà… e non provvedono a tutelare le vulnerabilità dei futuri cittadini. Sapere, prevedere, riparare diviene una questione di giustizia. Certo c’è un problema di conoscenze, il rischio di esperti di troppo, la necessità di istruzione diffusa, la vigilanza sulle negazioni dei rischi… Partire dalle città significa collaborare con nuovi intellettuali legati al territorio, alle città, nelle quali si è diffusa una nuova cultura del fare e del risolvere i problemi.
Bauman. Vanno bene questi processi urbani, ma resta il nodo delle nuove potenze dell’Asia e delle Americhe, che stanno procedendo a passi enormi e l’Europa resta indietro. L’Europa con le sue risorse culturali può indirizzare il futuro? Il sogno europeo resiste ancora? In pochi anni, dopo una lunga crisi, si sono risvegliati i vecchi demoni del nazionalismo e del sovranismo, con leader politici che difendono identità e tradizioni nazionali, mostrano un rapporto osmotico con il popolo, esprimono fastidio e intolleranza con coloro che sono critici… Può contare ancora l’Europa? Può essere il faro di quella rivoluzione dal basso di cui parlava Ulrich Beck?
Machiavelli. Non è chiaro che cosa si intende per Europa. Parliamo di quell’entità geografica che si estende dalle colonne d’Ercole e si allunga verso Est fino alle brume delle pianure slave. È la cultura del regno del latino, dei dotti che giravano per le tante università, dei pellegrini che si incontravano lungo le vie che conducevano ai luoghi sacri? È la cultura del Rinascimento, delle scoperte scientifiche, di nuove terre? È l’Europa che ha inventato la cultura, come indagine critica e azione creativa? Ma non dobbiamo dimenticare le ferite, l’intolleranza, gli stermini… Oggi esiste una coscienza europea?
Bauman. L’Europa si presenta chiusa e aperta, ossessionata dai confini e allergica alle frontiere, amante della fissità e disponibile al superamento, alla trasgressione. Coscienza europea? Devo dire che poco è stato fatto. Giovani leader europei governano alla luce di un solo principio: l’Europa fortezza chiusa e il Mediterraneo luogo di sbarramento e di naufragi. Un’Europa che ha sepolto il diritto d’asilo, e chiede ai paesi africani di creare campi di raccolta, finanziati dall’Europa. Si dice di aiutare gli africani in Africa, ma nulla si fa in questa direzione, ed è il sostegno mancato a produrre le partenze dei giovani e le insicurezze del pianeta, che milioni di europei condividono con miliardi di poveri. L’Europa, madre di grandi rivoluzioni, può contribuire a risolvere i problemi mondiali, sostituendo ai muri e ai rigidi confini, la cooperazione, la solidarietà, la tolleranza, la fratellanza. Lo può fare, e, dopo la nazione, può inventare l’umanità, se dà priorità alla lotta contro le disuguaglianze e se comprende che il mondo non si divide tra barbarie e civiltà.
Machiavelli. La vulnerabilità è alla base di ogni potere, al quale si chiede di offrire protezione da tutto ciò che minaccia. È la qualità dell’aiuto che fa la differenza. Può prevenire, costruire argini ai fiumi, creare sicurezza per tutti, oppure aspettare l’alluvione per poi aiutare gli sventurati colpiti.
Beck. Sembra scomparsa la politica in Occidente. Non si parla d’altro che di strategie di sicurezza e di difesa. Un impoverimento del pensiero, che crea apatia, assenza di partecipazione, calo della passione, dell’impegno, delle idee, della complessità. Soffocati dalle paure, non ci sono progetti per costruire una casa comune, una nuova casa dei diritti e dei doveri.
Bauman. L’Europa può essere un’alternativa a questo mondo hobbesiano e ai nuovi potenti imperi. Lo Stato sociale resta un capolavoro nell’arte di riconoscere i conflitti e di accettare le ragioni delle vittime dell’ingiustizia, offrendo nuove opportunità. L’Europa è stata per secoli la culla dell’ermeneutica, della comprensione, dell’arte dell’interpretazione. I suoi abitanti hanno sempre comunicato tra loro. È stata e resta la madre patria della traduzione perenne. Ha imparato l’arte del dialogo senza annullare l’identità di ognuno, mostrando una capacità di parlare, ascoltare, insegnare, apprendere, capire, farsi capire. Un’Europa che ha amato le strade, dove i popoli si sono incontrati e non le tane, dove ci si rifugia in preda a paure e a incubi, che purtroppo hanno fatto negli ultimi anni passi da gigante. Nonostante nei paesi europei si viva nelle società più sicure che siano mai esistite, ci si sente esposti e vulnerabili. Non c’è un deficit di protezione, quanto una richiesta senza fine di protezione, una inesauribile ricerca di sicurezza.
Beck. La società è costituita da individui isolati che hanno bisogno sempre più di protezione, con il terrore di perdere i beni che hanno e che sono disposti a difendere con le unghie e i denti dagli intrusi; sospettosi e pieni di risentimento verso stranieri e migranti, attaccati a nicchie locali identitarie. Non servono parole e slogan rassicuranti, quanto piuttosto la ricostruzione di un tessuto sociale lacerato, riconoscendo come valore importante la comunità, la diffusa voglia di comunità.
Machiavelli. Un quadro carico di pericoli, più dei miei tempi, quando vedevo l’Italia divisa, interessi e avidità interne alle città, attraversata da eserciti. Allora come oggi pongo il problema delle buone leggi e delle buone armi. Ed anche il rispetto dei cittadini. Se si offendono e si mostra nei loro confronti diffidenza e scarsa stima, e se sono reputati vili e non affidabili, allora si semina solo rancore e risentimento. La fiducia è difficile da acquistare e mantenere. È oggi possibile una democrazia post nazionale? La condivisione di rischi futuri può sostituire i legami etnici e culturali, derivanti da una condivisione del passato, di un destino, di una storia comune? L’Europa è solo un legittimo matrimonio di convenienza? Può valere per l’Europa quel patriottismo eroico che costituisce la memoria degli Stati nazionali e che, apparentemente dimenticato, risorge come è accaduto in tanti conflitti? L’Europa non può riprodurre in grande lo Stato nazionale, così come questo non è nato come replica in grande delle città. Il mio Principe era realismo e anche sogno, invenzione, profezia. So che è stato pure ripensato come organismo collettivo, il partito, che poi è divenuto corpo burocratico fazioso e oppressivo con la scomparsa dei diritti e delle differenze. Ma la mia idea di Stato è nei Discorsi intorno alla prima deca di Tito Livio. Lì parlo del governo del popolo. E il mio Stato non può avere una doppia morale, una per i potenti e una per i cittadini, una per chi governa e una per chi è governato. È davvero un’avventura, difficile ed entusiasmante, costituire gli Stati Uniti d’Europa… Per compierla è necessario amare i conflitti. Roma, si dice, è stata grande, nonostante la disunione tra patrizi e plebei. No. Io dico Roma è stata grande perché vi erano conflitti e disunione. Le repubbliche fondate su ampie basi popolari non avranno mai vita tranquilla, in esse ci sono umori diversi. Roma antica aveva istituzioni per tenere insieme gli umori dei grandi e quelli del popolo, questo ha permesso di raggiungere il bene comune, che fa grandi le città. Non esiste la repubblica eterna. E mai ci sarà una repubblica sicura se non ha con le sue leggi predisposto ogni cosa perché il governo resti nelle mani dell’intera comunità dei cittadini e non finisca in quelle di individui e gruppi tirannici. Sempre è in agguato la corruzione, che è anteporre il proprio partito al bene comune. È una triste verità che la maggioranza del popolo non è virtuosa, è indifferente e questo comporta che il popolo si lasci corrompere da chi persegue fini di dominio privato, si fa avvolgere in un autoinganno collettivo e da false immagini; una cecità che spesso colpisce anche i cittadini più virtuosi. Autoinganni così forti che giungono a forme autodistruttive. La corruzione, l’ozio, la poca attitudine alla vita libera nascono dalle disuguaglianze, e ne consegue che le buone repubbliche sono quelle che hanno mantenuto ricco il pubblico e poveri i cittadini. La partecipazione e l’impegno per il pubblico servizio costituiscono la condizione essenziale per mantenere la libertà personale e quella di tutti, e solo se i cittadini metteranno a disposizione della comunità i propri talenti si potrà favorire il bene comune.
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